SPORTELLO DI ASCOLTO PSICOLOGICO GRATUITO

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SPORTELLO DI ASCOLTO PSICOLOGICO GRATUITO: Ascolto telefonico e telematico per prevenire/sostenere disagi psicologici Inoltre: prima consultazione in sede gratuita Mail: donatella.ghisu@yahoo.it /telefono: 392 5543431

D.ssa Donatella Ghisu

Psicologa, Counsellor Psicologico e Socio-educativo, Anali Transazionale, Specialista in Psicoterapia Breve Strategica, Psicopedagogista, Specialista in: Disturbi alcol correlati, Chil Abuse, Psicologia forense, Disturbi dell'Apprendimento e del Comportamento, Trainer EMDR. Mi occupo di coppie, adolescenti ed adulti a livello individuale e di gruppo. Sostegno alla genitorialità, agli insegnanti nonché alle aziende pubbliche e private.

domenica 27 novembre 2011

Dinamiche psicologiche, relazionali e comunicative nel processo educativo: l’incidenza della qualità nel rapporto genitori-figli




v     Da 20 anni mi occupo e mi interesso, del rapporto genitori-figli prima come educatrice di asilo nido, insegnante di scuola materna, educatrice di minorati sensoriali e insegnante di scuola elementare; poi come psicologa e psicoterapeuta. Per tale ragione ho voluto approfondire gli studi con diversi master e corsi di specializzazione perché, nel corso degli anni, ho constatato quanto sia fonte di disagio, per i genitori nell’educare i figli e nella relazione con essi, la scarsa e a volte nulla, conoscenza a volte di se stessi, a volte dei figli stessi.

v     Proprio per questo, ho capito e notato che la conoscenza delle necessità e dei bisogni propri e dei figli –appunto- può esser di sostegno e incoraggiamento in quella che io, ma non solo io, definisco un’ARTE.
Un’arte che, tuttavia, non si riceve come scienza infusa e che non è data una volta per tutte: non si nasce genitori, né automaticamente lo si diviene nel momento in cui nascono dei figli se non dal punto di vista anagrafico e affettivo. La capacità, la possibilità, la facilità, in qualche modo, di procreare non è, automaticamente, sinonimo della capacità e facilità d’essere genitori, nel senso stretto del termine.

v     Sicuramente, per quel che attiene al punto di vista educativo e relazionale, tutto cambia. Per diventare insegnanti ed educatori da sempre esistono corsi di studio anche universitari, percorsi costruiti ad hoc, con i relativi tirocini che prevedono dei supervisori cui fare riferimento, coi quali confrontarsi e ai quali chiedere supporto, conferme e suggerimenti.

v     Per divenire genitori no: e sì che se nel primo caso –a mio parere e sempre per esperienza personale- è sicuramente più semplice acquisire determinate competenze [ma mi riferisco qui a quelle prettamente educative, poiché quelle relazionali difficilmente si possono imparare una volta per tutte] e, per certi aspetti, mantenerle inalterate; nel secondo caso, ossia nel caso dei genitori, è senz’altro più complesso.

Ma qual è la differenza?

v     La differenza è davvero “semplice”, ma nel contempo assai complessa, poiché, davvero va a toccare molteplici aspetti e tutti tra loro strettamente correlati e interrelati, ma sicuramente riconducibili ad un’unica peculiarità: l’affettività.

v     L’implicazione affettiva, l’essere coinvolti dal punto di vista emotivo, cambia completamente il punto d’osservazione, cambia completamente le lenti degli occhiali coi quali ci si ritrova a guardare e osservare le situazioni familiari. È sicuramente molto difficile mantenere l’oggettività quando si è coinvolti emotivamente, no?

Sovente capita, quando ci troviamo coinvolti, in particolare, in situazioni che toccano anche aspetti emotivi che comportano scelte, decisioni per le quali abbiamo da rimanere legati a dati di realtà, di sforzarci e, per certi aspetti anche di essere convinti, di mantenerci “oggettivi”, poiché ci sforziamo di mettere da parte emozioni e sentimenti, per riuscire a stare sul “razionale”. Ma è anche vero che, di fatto, una parte seppur minima di soggettività proprio legata alla sfera emotiva, ai nostri desideri e bisogni si “insinua”. In altre parole e per dirla con F. Perls (padre della terapia della Gestalt), non esiste l’oggettività, in quanto nell’esser oggettivi siamo, sempre e comunque, soggettivi, perché anche nei dati di realtà ci mettiamo ciò che attiene a noi stessi: alla nostra personale percezione delle cose e al nostro personale modo di interpretare la realtà stessa, influenzata dalle nostre arcaiche esperienze di vita, alle nostre credenze e convinzioni.
E questo è ancor più vero in riferimento alla relazione tra genitori e figli.

v     La colorazione affettiva che assume la relazione genitori-figli è altro e non è solo una, in effetti, perché è come se si trattasse di un prisma estremamente sfaccettato il quale rimanda colori diversi, ora più intensi ora più tenui; ora singoli e distinguibili ora molteplici e confondibili con altri, in base a come lo si pone, alla posizione che assume e in base al modo in cui lo si guarda.

E tutto questo da cosa dipende? O meglio, da cosa dipendono tutti questi cambiamenti di colore e della sua intensità?

v     Dall’aspetto affettivo, dalle emozioni che di volta in volta, emergono nell’uno o nell’altro membro della famiglia; emozioni che son comunque anche legate alle diverse età dei membri stessi, ma anche dal ciclo di vita che la famiglia sta attraversando e si trova in quel dato momento.

v     Il ciclo di vita familiare è essenzialmente legato anche, ma non solo, alle età dei suoi componenti e, soprattutto, dei figli stessi e, nel contempo e cosa affatto trascurabile, da quelle della realtà sociale in cui la famiglia è inserita e vive e delle famiglie d’origine.

v     Devo dire che il ciclo di vita familiare così come quello individuale, fondamentalmente, resta invariato nel tempo. E, a ben vedere, è caratterizzato sempre dalle stesse fasi.                                                         
In quello familiare:
Ø      La fase che precede il matrimonio;
Ø      Il matrimonio e quindi la formazione della nuova coppia coniugale;
Ø      La nascita di un figlio con tutte le fasi inerenti quest’ultimo in giovane età;
Ø      Quello della fase adolescenziale dei figli in cui avviene un primo svincolo di questi dalla famiglia;
Ø      La fase in cui i figli si allontanano fisicamente dalla famiglia d’origine o per lavoro e scelta personale o per costituire una nuova famiglia, lasciando così il “nido vuoto”;
Ø      La famiglia nella fase terminale col pensionamento, la vecchiaia e così via.
Ovviamente, ogni fase prevede un cambiamento, un assestamento, un adeguamento dei suoi componenti ed è anche vero che se i componenti stessi e tutto il sistema non sono pronti a questo, iniziano le difficoltà, i problemi, le crisi che, spesso, sfociano in eventi dolorosi e drammatici.

*      E ciò su cui voglio focalizzarmi è proprio la fase inerente la relazione coi figli e, rispetto a questa, quella che, nella fattispecie, riguarda proprio l’aspetto relazionale ed educativo.

*      Come ho già detto, fondamentalmente, le fasi del ciclo di vita son sempre le stesse in ogni famiglia. È anche vero, però, che qualcosa sembra esser cambiata.

*      In effetti si nota una certa differenza tra le famiglie di oggi e quelle di un tempo nemmeno tanto lontano, poi.

*      Guardando anche solo alle nostre famiglie e, comunque, alle famiglie di 40-50 anni fa e dunque ai nostri genitori, si percepisce una differenza nella relazione tra loro e noi e tra noi e i nostri figli.

*      Viene da chiedersi in cosa consiste tale cambiamento e perché, tale cambiamento.

*      È chiaro ed evidente, dunque, il cambiamento e l’evoluzione che la società ha avuto già del dopoguerra, col passaggio dalla famiglia patriarcale [una famiglia numerosa, comandata dal padre "patriarca", cioè il capo e in cui i figli maschi prendevano moglie e restavano in famiglia facendone aumentare i componenti: genitori, figli, zii, zie, nipoti, nonno, nonna... Essere in  tanti aumentava  la  forza-lavoro perché per lavorare nei campi servivano molte braccia. La scuola passava in secondo piano: era più importante lavorare per poter mangiare che imparare a leggere e a scrivere] alla famiglia nucleare [comunità riproduttiva composta da madre, padre e figli che spessissimo vivono lontano dai genitori . La famiglia nucleare nelle società occidentali è la forma più diffusa di famiglia. Oltre a questa esistono diverse altre forme di famiglia o di matrimonio, ovviamente].

*      Nelle famiglie odierne il numero dei componenti è notevolmente diminuito con un aumento di quelle che optano per il figlio unico. Da qui il rovesciamento degli alberi genealogici nel senso che ora, sull’unico genito, si riversano le attenzioni di genitori, nonni, zie e zii, sempre più spesso single.

*      C’è anche da considerare il cambiamento della condizione femminile e il miglioramento [se così vogliamo chiamarlo, ma che, per certi aspetti, così è] della situazione lavorativa della donna.

*      Questo fa sì che la donna sia oggi, spesso, più autonoma dal punto di vista economico, cosa che si riverbera inevitabilmente sulla sua autostima e su una maggiore forza e autonomia di pensiero, decisione e azione.

*      Proprio per tale ragione, soprattutto la vita familiare è sicuramente impostata in maniera differente rispetto al passato, laddove la donna che lavora anche fuori casa, ha maggiori responsabilità e oneri che vanno a sommarsi a quelli acquisiti col matrimonio e la maternità.

*      Non ultima è la possibilità della donna, grazie proprio alla sua indipendenza economica, di svincolarsi, staccarsi e poter fare a meno, se lo vuole, del vincolo matrimoniale, laddove questo diviene senza senso e perciò indesiderato per i più svariati motivi.

*      La donna quindi non è più costretta a perpetrare il suo matrimonio, la sua convivenza e dipendenza economica ed emotiva con un uomo (il marito) dal quale ora è libera di separarsi.

*      Nel nostro millennio, a bene vedere, le esigenze della vita familiare sono cambiate e i desideri, i bisogni, sia dei genitori, sia dei figli, cambiano ogni giorno che passa,  e sono questi ultimi a diventare sempre più i principali protagonisti e vittime, allo stesso tempo.

*      L’infanzia, definita come quel riferimento prezioso di sogni, di fantasie, di fisicità, di giochi, di sentimenti, di scoperte, di paure, si manifesta nei confronti dello stile di vita della società moderna, caratterizzata dal consumismo, come un disagio psicofisico.

*      In altre parole, i bambini stanno perdendo la loro diversità: non è più lasciato loro il tempo per stupirsi e scoprire il mondo. Infatti, appena aprono gli occhi devono consumare, essere adulti e competere con gli altri.

*      La nostra è una società che consuma l’infanzia (laddove per infanzia intendo la fanciullezza, ossia ogni età che precede la vita adulta), la sua freschezza, i suoi sogni, la sua fantasia e i suoi gesti.

*      Pertanto, è importante poter usufruire di una «valutazione qualitativa» nel processo educativo, che pone l’accento sull’integrazione di diversi fattori che agiscono su ciascuno di noi e, più in particolare, sui bambini: la valenza affettiva, la conoscenza psicologica, la modalità relazionale e comunicativa e, infine, la valutazione soggettiva dell’espressione del sé.

*      Comunque sia, i genitori, impegnati nel processo di formazione dei propri figli per mandato biologico, psicologico e sociale, risulterebbero così i veri agenti “significativi” di tale possibile integrazione. Diventa, a questo punto, relativamente spontaneo pensare che educare i propri figli è un fatto naturale per un genitore.

Che cosa si deve intendere per processo educativo?

*      Il concetto di educazione è senza dubbio molto più ampio di quanto si creda comunemente: coinvolge tutti gli stimoli che provengono dal mondo esterno, dalle cure familiari ai contatti con il mondo della scuola e con il sociale.

*      L’educazione interessa quindi la crescita psicologica e fisica di ciascuno di noi. La parola educare, infatti, deriva dal verbo latino ex ducere, che significa «tirar fuori», «sviluppare», portare a compimento; in altre parole, educare vuol dire aiutare a crescere in modo positivo.

*      In senso molto lato, il termine educazione sta ad indicare il processo di formazione dell’uomo (inteso sia come individuo sia come gruppo) nella direzione di una lenta ma autentica scoperta e chiarificazione di sé, ovvero delle proprie peculiari caratteristiche.

*      Il processo educativo è, dunque, quell’atto educativo che,  in qualche modo, prevede un intervento che ha una continuità nel tempo: in pratica, è una procedura formativa che dura tutta la vita.

*      Educare un figlio oggi, significa rivelare ai genitori (sarebbe più giusto parlare di educatori), i segreti per difenderlo dalla TV che diventa sempre più la “baby-sitter domestica”, dal computer che indubbiamente rimaneggia le relazioni interpersonali verso un modello sempre più diadico: «io-computer», dal cibo (problemi alimentari come, ad esempio, anoressia e bulimia sono in continuo aumento), dalla dipendenza da telefonino (o “cellularemania”), dalla droga, dai videogames, ecc., cioè da tutti quei prodotti del presunto ed inefficace benessere attuale, che creano appunto dipendenza e quindi isolamento sociale.

*      Le nuove identità infantili e adolescenziali, oggi paiono il risultato di creazioni non più del contesto familiare o comunitario, bensì di tutti questi strumenti che tengono in serbo, isolando un bambino/ragazzo per ogni fascia di età. I figli diventano comunque esseri “a rischio”.

*      Questo processo rappresenta però un momento critico speculare: pesa cioè non solo sui bambini ma anche sui genitori.

*      Infatti, è sempre questa realtà, che costringe questi ultimi a capire e ascoltare meno i bisogni dei loro figli, poiché è più potente l’influenza dell’attuale sistema sociale dei consumi e della globalizzazione dei mercati che si riflette sui ritmi di vita delle persone, della società e sugli impegni lavorativi di noi tutti.

*      Il mondo dei grandi è sempre più caratterizzato da modelli di persone come super-manager, super-man, semidei…, in pratica, tutti “super” impegnati nel ricercare la propria realizzazione, ma poco empatici, incapaci di ascoltare e parlare con i loro figli e con la speranza di compensare alla loro assenza attraverso regali sempre più mega, con l’illusione che, accontentandoli e dando loro ciò che desiderano di materiale, di fatto poi riescano a porre una pezza nella loro assenza affettiva.

*      Nella nostra società risulta chiaro come il sistema famiglia si presenta con delle problematiche che non rendano il genitore pienamente consapevole e responsabile del suo ruolo (impegni di lavoro frenetici e totalizzanti, crisi di coppia, separazioni, immaturità psicologiche che portano a rivestire il ruolo di madre-padre in modo poco responsabile, incertezza per il futuro e il lavoro, ecc.).

*      Sembra quindi evidenziarsi uno sviluppo umano e socioculturale in continuo espandersi, dove i genitori sembra non abbiano più “tempo e spazio”, a causa degli impegni, per poter stare con il proprio bambino, mostrando così carenza di valori affettivo-emotivi e ludici che nella normale vita quotidiana frantumano e disturbano la relazione e i suoi aspetti interattivi.

*      Ma la qualità della relazione genitori-figli, quale mezzo e oggetto della comunicazione, induce a sottolineare l’importanza degli aspetti personali, relazionali e sociali che permettono di privilegiare nel rapporto la dimensione dell’ascolto, in senso lato, allo scopo di cogliere le difficoltà del bambino.

*      Il come educare i propri figli richiede dunque dei momenti di confronto e di relazione con loro, ovviamente, che valorizzino il proprio ruolo, le proprie risorse, che diano la possibilità di esternare le dinamiche interiori e fare in modo che siano affettivamente sostenuti.

*      Essere genitore non garantisce il saper fare i genitori, risulta chiaro che questo ruolo (o mestiere!) non è così facile. Di certo, non esiste un decalogo del bravo genitore: non esistono né genitori né figli perfetti e non ci sono nozioni scientifiche o informazioni tecnico pratiche che possano dire con assoluta certezza cosa sia giusto fare o non fare con un figlio, o libri che possano spiegare come non sbagliare mai.

*      Col grande Bruno Bettelheim possiamo confermare che “nel lavoro di crescere i figli, le cose importanti si fanno momento per momento, mentre accadono i fatti della vita. Non esistono lezioni né momenti specifici per imparare”.

*      Fare il genitore è, pertanto, un’ “impresa creativa” che si formula in modo soggettivo, che nasce dal confronto delle esperienze della propria vita e stili comportamentali acquisiti empiricamente, si evolve attraverso la consapevolezza delle proprie modalità relazionali e comunicative e si consolida nel riconoscere il cambiamento (visto, appunto, come aspetto caratteristico di qualunque crescita) come una risorsa, e non come aspetto negativo.

*      In questo senso, abbiamo da ricordare sempre che la comunicazione è molto importante nel rapporto genitori-figli poiché è una conditio sine qua non, fondamentale e indispensabile della vita umana e dell’ordinamento sociale.

*      Ma per comunicare nella relazione coi propri figli abbiamo da ascoltare i loro bisogni per salvare insieme a loro anche gli adulti e così l’umanità. [Qui apro una parentesi, per spiegare cosa intendo per “salvare insieme ai figli anche gli adulti e l’umanità”:  Ogni cosa che noi facciamo, in bene e in male, è imitata, presa e appresa dai minori e le acquisizioni fatte che si porteranno dietro, caratterizzeranno la loro vita futura e la vita di coloro coi quali entreranno poi in relazione, ivi compresi quelli che saranno li loro figli].     
Per riuscire a fare questo, credo sia necessario imparare ad ascoltare i propri bisogni e a riconoscere e distinguere le proprie emozioni da quelle dei bambini.

*      Per ascoltare le emozioni dei propri figli è indispensabile tener conto del fatto che, nella crescita umana, intervengono un insieme di fattori, quali: l’unicità del figlio e il suo personale modo di rispondere agli stimoli; l’unicità dei genitori che si pongono di fronte al proprio figlio con il loro peculiare modo d’essere; infine, l’unicità della loro interazione dovuta al particolare incontro di quel determinato individuo con quei genitori.

*      Questo significa che il processo di crescita è molto complesso e va al di là di semplici interazioni causa-effetto del tipo “Se attiverò questo comportamento, otterrò questa reazione”.

*      Molto importanti, sono i comportamenti, gli atteggiamenti e gli stili che i genitori possono dare a loro stessi e al figlio, al fine di facilitare un “sano” sviluppo di quest’ultimo e una loro efficace interazione.

*      Ci sarebbe davvero tanto ancora da dire, in un discorso che è davvero impossibile esaurire in poche parole: è pur vero, tuttavia, che il messaggio principale che io vorrei inviare tramite questo articolo, è che, proprio come si evince dal titolo stesso, è necessario sapersi prender cura di sé, per potersi prender cura dei propri figli e, soprattutto, che se è vero che è importante conoscere le fasi di evoluzione dei propri figli, caratterizzati da determinati bisogni e mete di sviluppo differenti per ogni fase; è altrettanto vero che è necessario tener conto dei comportamenti che aiutano i figli ad attraversare quella determinata fase evolutiva definiti “compiti” dei genitori verso i figli stessi; e, ancora, conoscere i potenziali problemi dovuti ad un’inadeguata genitorizzazione, evidenziando gli interventi che possono, invero, sortire effetti positivi sulla crescita. È, inoltre, vero che i GENITORI hanno da ricordare e considerare e mai da metter da parte, i PERMESSI che hanno bisogno di dare a se stessi e i bisogni che è importante soddisfare, per essere in grado di avere cura dei propri figli nel momento in cui ri-sperimenteranno insieme a questi ultimi, quel determinato stadio di sviluppo.

mercoledì 29 giugno 2011

L'Analisi Transazionale nella scuola



L'Analisi Transazionale può senz'altro accrescere l'efficacia in quasi tutte le imprese umane nelle quali le persone siano in interazione con altre persone.
L'AT è utilizzata in una grande varità di setting educativi e organizzativi. Ciascuno di essi ha le proprie caratteristiche ed esigenze.
La teoria fondamentale dell'AT è la stessa per il lavoro educativo e organizzazionale (EO) che per le applicazioni cliniche. Ma vi sono delle differenze di acentuazione e di tecniche. 
Nel lavoro clinico il contratto è di solito bilaterale, perché è negoziato tra terapeuta e paziente. All'opposto i contratti nei setting EO sono il più delle volte trilaterali. Il contratto d'affari sarà negoziato tra il terapeuta e l'ente a favore di altri membri di questo ente. Per esempio, un'azienda può assumere un fromatore di AT per lavorare coi suoi dipendenti. Il contratto di trattamento probabilmente sarà anch'esso almeno in parte negoziato tra il terapeuta e l'ente, più che coi singoli o i gruppi coi quali egli lavorerà effettivamente.
Questo implica che tutte le parti devono essere particolarmente attente a mantenere chiare e nette procedure contrattuali per evitare dei giochi a tre. Per esempio un'azienda può assegnare dei dipendenti a un corso di formazione in AT anche se questi non hanno nessuna motivazione iniziale a seguirlo. A meno che il punto di partenza sia reso esplicito nellke trattative di contratto tra l'azienda, il terapeuta e i membri del gruppo, ci sono immediate possibilità che tutte e tre le parti assumano dei ruoli del triangolo drammatico con successivi passaggi e giochi.
Nel lavoro con le EO il terapeuta fugne da facilitatore, da addestratore o allenatore pià che da terapeuta.  Il più delle volte inviterà i membri del gruppo ad affrontare ciò che sta avvenendo a livello sociale più che a livello psicologico.
Nel lavoro con le EO, dunque, il terapeuta si incentrerà il più delle volte su come la persona o il gruppo possono risolvere nel modo più efficace dei problemi pensando e agendo nel presente piuttosto che esplorando quale problema del passato debba risolvere una persona. 

L'autonomia implica chiarezza di pensiero ed efficacia nel risolvere i problemi. L'educatore mira ad aiutare i propri studenti a sviluppare queste capacità. Pertanto l'autonomia è un obiettivo generale altrettanto importante nei setting educativi come nel lavoro clinico.
L'educatore di solito avrà modo di rapportarsi coi propri studenti su un periodo più lungo e in modo più personale di quanto sia possibile al terapeuta di organizzazioni. Per la natura stessa dei setting educativi è particolarmente probabile che gli studenti possano mettere il viso di qualcun altro su quello dell'insegnante e che questi a sua volta possa rispondere a queste riproposizioni del passato, assumendo un ruolo Genitoriale. Può evitare di farlo acquisendo una coscienza della teoria del copione e imparando il contenuto del proprio copione.
Le teorie dell'AT sullo sviluppo infantile possono guidare l'educatore ad affrontare efficacemente i giovani in svariate fasi dello sviluppo.

STATI DELL'IO

Il modello fondamentale degli stati dell'Io è chiaramente comprensibile ai bambini sin dall'età in cui cominciano ad andare a scuola. La semplicità di linguaggio dell'AT aiuta in questo. Esaminando il contributo e le motivazioni di tutti e tre gli stati dell'Io, gli studenti diventano più capaci di imparare con una chiara consapevolezza delle proprie intenzioni e desideri. Le esperienze d'apprendimento stesse sono, probabilmente, più efficaci se fanno appello a tutti e tre gli stati dell'Io. E' particolarmente importante rendersi conto che il Bambino Libero è la fonte della creatività e dell'energia nella personalità e va coinvolto nel processo di apprendimento.
Lo stesso educatore deve avere libero accesso a tutti e tre i propri stati dell'Io. Per gran parte del tempo egli esibirà una capacità di problem solving propria dell'Adulto. Spesso avrà bisogno di porre dei netti limiti a partire dal Genitore Normativo positivo e di prendersi cura degli altri a partire dal Genitore Affettivo positivo. Può entrare nel proprio Bambino per modellare la spontaneità, la capacità intuitiva e la gioia dell'apprendere.


TRANSAZIONI , CAREZZE, STRUTTURAZIONE del TEMPO

L'analisi delle transazioni è utile nel mantenere la cominicazione tra gli insegnanti e gli studenti chiara, produttiva e libera da programmi nascosti. L'impiego delle opzioni può aiutare sia gli insegnanti sia gli studenti a uscire dalle interazioni "bloccate" Genitore-Bambino.
Individuare ed evitare il comportamento Spinta può essere di grande aiuto nel chiarire la cominicazionie. C'è una grande differenza tra imparare qualcosa e cercare d'impararla. Chi tiene una lezione giunge più chiaramente agli altri quando si prende il tempo necessario invece di sbrigarsi. Gli studenti migliorano le loro tecniche di studio quando si accontentano di studiare abbastanza, invece di cercare di essere perfetti studiando tutto.
L'attenzione agli schemi delle carezze e della strutturazione del tempo è impoertante nella scuola in modo molto simile che nel lavoro con le organizzazioni. L'aula e la sala conferenze sono dei terreni di coltura di giochi e racketeering [1] particolarmente fertili. 
Gli studenti possono effettuare giochi quali "Lo Stupido", "Non Puoi Costringermi a" o "Fammi Qualcosa" (col suo potenziale passaggo a "Guarda Cosa mi hai Fatto Fare"). Gli insegnanti possono giocare a "Non è la Volontà che mi Manca", "Sto Solo Cercando di Aiutarti", "Perchè non..." o "Il Difetto". Una conoscenza dell'analisi dei giochi permette agli studenti e agli insegnanti di evitare questi scambi improduttivi e di passare all'attività d'insegnamento o di apprendimento.
L'impiego della stipulazione dei contratti aiuta gli educatori e i discenti a raggiungere un chiaro e manifesto accordo su cosa devono fare e sul modo migliore per ottenerlo.


AFFRONTARE LA PASSIVITA'

Nei setting educativi è particolarmente probabile che ci si aspetti una simbiosi. Questa aspettativa può persino essere manifesta in alcune culture nelle quali gli insegnanti sono tradizionalmente tenuti a impersonare il ruolo di Genitore e di Adulto mentre lo studente fa il Bambino. Gi attuali approcci all'educazione sono d'accordo con l'AT nel considerare questa una svalutazione delle capacità di entrambe le parti.
Una conoscenza dei concetti schiffiani aiuta gli insegnanti e gli studenti a rimanere fuori della simbiosi e a fare pieno impiego di tutti e tre gli stati dell'Io. Gli educatori possono imparare a riconoscere i quattro comportamnti passivi e ad affrontarli, invece di entrare nei giochi. Se il setting istituzionale lo rende possibile si possono costituire dei gruppi e delle classi di esercitazione che forniscano un ambiente reattivo nel quale insegnanti e studenti si assumano la reciproca responsabilità di promuovere chiarezza di pensiero e attiva risoluzione dei problemi.

venerdì 24 giugno 2011

Incidenti stradali e EMDR

Come sconfiggere la paura di rimettersi alla guida dopo un incidente stradale 

 A seguito di un incidente stradale possono emergere difficoltà legate al rimettersi alla guida. Tali difficoltà possono emergere nel periodo immediatamente successivo all’incidente ed essere facilmente attribuite all'evento stesso; oppure, possono emergere anche a distanza di mesi o anni magari sotto forma di attacchi di panico o ansia legata alla guida e difficilmente vengono ricollegati all'incidente avvenuto tempo prima. Anche i bambini possono essere vittime di traumi psicologici legati ad incidenti stradali, persino in età pre-verbale. Bambini che hanno subito incidenti stradali prima dei tre anni di età non ricordano l’evento (la memoria esplicita non si era ancora sviluppata), ma permane in loro una memoria implicita, ovvero non consapevole, e corporea di quanto è accaduto. Il malessere che provano quando salgono in macchina potrebbe essere legato a quell’incidente a cui nessuno aveva mai pensato in precedenza. In tutti questi casi rivolgersi ad uno psicologo con formazione EMDR (Eye Movement Desensitization and Reprocessing) può essere d’aiuto".
 Rimettersi alla guida, infatti, spesso fa paura perché si riattiva il ricordo del pericolo, e quindi c’è l’evitamento. Rimane bloccato il ricordo con la sensazione negativa e la persona fa fatica a guidare di nuovo per questo collegamento emotivo che fa. L’EMDR sblocca questo meccanismo e la persona non associa più la guida alla paura.

martedì 31 maggio 2011

Il processo evolutivo


La funzione genitoriale è quella di educare un bambino fino alla maturità e all’indipendenza, in modo che egli sia sano. E’ condizione necessaria alla realizzazione di questo compito la formazione di una smbiosi sana, seguita da una sua risoluzione che proceda gradualmente e a un passo proporzionato al funzionamento biologico e sociale del bambino e alle richieste dell’ambiente in cui il bambino vive.

GENITORIZZAZIONE
 
Sicuramente la prima responsabilità dei genitori è di proteggere i propri figli dalle minacce fisiche alla loro sopravvivenza e al loro sviluppo sano.
A un primo livello ciò significa controllare che essi abbiano cibo, calore e riparo. Poiché i bambini sono per un certo periodo di tempo incapaci di anticipare gli eventi futuri o di pianificare mete non immediate, i genitori assolvono queste funzioni in relazione a molti aspetti della salute fisica, quali la nutrizione, l’esercizio fisico, le cure mediche e dentistivhe. L’attività dei genitori in quest’ambito sarà incorporata nel Genitore del figlio sotto forma di messaggi del tipo “Prenditi cura di te stesso” o “Tu sei importante” e nel Bambino come apprendimento di abitudini.
Man mano che crescono i figli si assumono crescenti responsabilità per quelle funzioni che richiedono una pianificazione preliminare, e la realizzazione efficace di queste funzioni è un’indicazione che essi hanno della loro autonomia e della consapevolezza del loro valore.
Un’altra responsabilità genitoriale è la facilitazione del funzionamento sociale dei figli. Durante tutto il periodo della maturazione esistono delle mete identificabili di apprendimento socciale che sono le più coerenti con la maturazione biologica del bambino e con le richieste dell’ambiente sociale. Se queste mete non vengono raggiunte all’età prescritta, la successiva consapevolezza di questa mancanza e l’effettiva risoluzione o non risoluzione del problema, andranno probabilmente a scapito delle risorse di energie, delle mete evolutive di quel periodo e del senso di essere OK del bambino.
Gli stati dell’Io di un neonato si possono visualizzare come spazi vuoti. Tali spazi sono riempiti man mano che l’infante cresce, osserva e impara. I genitori influenzano in larga misura il tipo di messaggi, di definizioni e di idee che verranno incorporati in ogni stato dell’Io. E’ consigliabile che i genitori siano consapevoli delle mete che essi hanno rispetto ai propri figli e che le mete siano attentamente vagliate in vista dei requisiti di funzionamento sano in relazione sia alle richieste interne, sia a quelle esterne.
Una struttura genitoriale sensata e coerente è necessaria per fornire un’adeguata protezione, non solo per il benessere fisico del figlio, ma anche per stabilire un clima in cui il bambino possa crescere sano, verificare i propri limiti e arrivare a un massimo sviluppo di sponaneità e creatività. Devono esserci opportunità per l’intimità, e anche per la separazione, fiducia nella capacità di risolvere problemi e difucia nell’essere OK degli estranei e dell’ambiente sociale allargato.
Per ogni bambino è importante incorporare dei messaggi specifici:
1) – puoi risolvere i problemi;
2) – puoi pensare;
3) – puoi fare le cose.
In ogni stadio sono importanti le carezze.
I bambini hanno bisogno di carezze sia positive sia negative: alla fine del periodo di simbiosi la somma totale deve essere a favore di quelle positive, ma durante particolari periodi può essere appropriata una prevalenza delle negative.
E’ da sottolineare che anche in questi casi i bambini ottengono carezze positive dall’investimento e dall’interessamento dei genitori per loro. Dopo il periodo orale è importante che le carezze diventino in parte condizionali, cioè riguardanti gli aspetti sia interni, sia esterni del bambino, così da facilitare la consapevolezza sociale e anche per assicurare che il figlio abbia una consapevolezza certa della sollecitudine dei suoi genitori.
Un errore frequente nella genitorizzazione si determina quando i bambini non ricevono abbastanza messaggi su “cosa fare”, in quanto è quasi inevitabile che da ciò i bambini incorporino messaggi sul “non fare”.
In questo caso, possono predere la capacità di usare questi messaggi in assenza di messaggi prescrittivi concernenti, quali alternative comportamentali siano socialmente accettabili. Una esagerazione del non fare, oltre a non facilitare un funzinamento efficace, può molto probabilmente determinare agitazine.
Una buona regola pratica è che, ogni qualvolta viene detto ai bambini cosa non fare, venga anche detto loro cosa fare al posto di ciò che viene vietato. Questo contribuirà a costruire una fiducia in se stessi in quanto OK e nelle proprie capacità di risolvere i rpoblemi, stabilirà una struttura per verificare i propri limiti e insegnerà a pensare.
E’ importante che il genitore sia potente. I bambini hanno bisogno di icorporare un genitore che faccia far loro le cose che non vogliono fare e che impedisca loro di fare cose che non dovrebbero fare. La locuzione “dovresti” ha il solo risultato di far sì che i bambini si sentano non-Ok, se essi sanno che cosa “dovrebbero”, ma non sono in grado di farlo.
Durante la crescita, i bambini devono prendre su di sé la responsabilità di fare la cosa “giusta” e verificarla facendo la cosa sbagliata. Il genitore deve essere sufficientemente flessibile da permettere al figlio di usare questo procediemnto e, quindi, di reagire con le carezze appropriate al caso, positive o negative.

giovedì 12 maggio 2011

Cos'è il MIP e perché

Anche quest’anno la Dott.ssa Donatella Ghisu partecipa al programma MIP 2011, Maggio di Informazione Psicologica,  un’iniziativa di Psycommunity, la comunità web degli psicologi italiani che si impegnano, a titolo volontario, a promuovere eventi e manifestazioni culturali inerenti la psicologia. Molte sono le potenzialità applicative della psicologia per il benessere dell’individuo, della coppia, della famiglia, dei gruppi e della società.
Il MIP, che avrà luogo per il quarto anno consecutivo, si pone gli obiettivi di diffondere un’adeguata cultura del benessere psicologico, di sensibilizzare alla prevenzione del disagio psichico, di facilitare l’incontro con lo psicologo e lo psicoterapeuta, di divulgare corrette informazioni e sfatare pregiudizi, d’incoraggiare e promuovere la cultura psicologica in Italia, di far conoscere gli ambiti di applicazione della psicologia, di fare chiarezza sulla professionalità dello psicologo e dello psicoterapeuta.
Per tutto il mese di maggio 2011 gli psicologi presenti in tutte le città italiane metteranno gratuitamente la propria esperienza e le proprie conoscenze a disposizione delle persone, incontrandole e fornendo informazioni sulla prevenzione e sul benessere psicologici, sulla psicologia e sugli psicologi.
Gli psicologi offriranno un colloquio psicologico gratuito a chi ne farà richiesta.

Edizione MIP 2011 – Prenota il tuo Colloquio Gratuito qui!  http://www.elencopsicologi.it/nominativo.asp?cod=3266

Si svolgeranno, inoltre, presso gli studi degli psicologi e presso luoghi pubblici: iniziative, seminari, incontri a tema ed esperienziali del tutto gratuiti a carattere informativo su tutti gli ambiti di applicazione della psicologia.
Ogni utente del MIP, inoltre, riceverà materiale informativo gratuito.


domenica 8 maggio 2011

Perchè la Psicoterapia

Un disturbo psichico, prima di diventare tale, spesso, rimane per lungo tempo un disagio trascurato, nella magica attesa “che passi”.
Contrariamente a quanto avviene quando il corpo risulta malato, il disagio e la sofferenza psichica talvolta non vengono “ascoltati”, con la conseguenza di un inasprimento della sintomatologia e un aumento progressivo del dolore psichico.
La psicoterapia è un’importante risorsa nei casi conclamati, ma anche una preziosa attività di prevenzione in situazioni di disagio o di assenza di benessere.
A questo proposito, mi pare importante riflettere sulla definizione di “salute” fornita dall’Organizzazione Mondiale della Sanità che parla di: “uno stato di completo benessere fisico, psichico e sociale e non semplicemente assenza di malattia o di infermità.”
La salute è da intendere, quindi, come sviluppo delle proprie potenzialità, come attuazione di cambiamenti che vadano in favore di se stessi, come ricerca di benessere.
La psicoterapia è un percorso fatto a due, terapeuta e cliente, con un obiettivo condiviso. Si tratta di un rapporto paritario nell’ambito del quale ognuno mette a disposizione le proprie competenze in vista del cambiamento: il terapeuta attinge alle sue conoscenze teoriche e tecniche, nonché umane, acquisite nel corso della sua formazione; il cliente attinge alla conoscenza che ha di sé, del suo disagio, della sua sofferenza, ma anche alla sua voglia di cambiare e di uscire dal tunnel in cui sente di essere entrato.
L’idea centrale dell’Analisi Transazionale è che l’essere umano, in qualsiasi età e in qualsiasi condizione psicologica si trovi, può ritrovare in se stesso le potenzialità di cui ha bisogno per vivere a pieno la propria esistenza.
Trovo molto suggestiva la metafora utilizzata dallo psicoanalista Armando B. Ferrari (2005) il quale, per descrivere il modello terapeutico da lui utilizzato, parla del “pulviscolo di Giotto”; egli si riferisce all’opera di restauro iniziata dopo il violento terremoto che, nel 1997, danneggiò la Basilica di San Francesco ad Assisi all’interno della quale si trovava una importante serie di affreschi di Giotto.
Sebbene questi affreschi siano stati praticamente polverizzati dal terremoto, un’èquipe di tecnici ne ha ricostruita una parte. Analogamente, analista e analizzato, nel percorso terapeutico, ricostruiscono un nuovo modo di pensare la vita, anche a partire da situazioni che possono far pensare ad una “polverizzazione” delle capacità di vivere la vita con gioia e pienezza, anche quando di queste capacità non rimangono che semplici frammenti.

sabato 2 aprile 2011

Smettere di fumare



Il tabagismo è una dipendenza comportamentale, pertanto ogni fumatore presenta caratteristiche differenti di tolleranza e craving in relazione alla nicotina. 
L’intervento psicologico per il fumatore prevede pertanto l’attuazione di un programma personalizzato, variabile in funzione dei bisogni e dei problemi portati dal singolo individuo e di quelli eventualmente individuati nel corso degli incontri.
Il duplice scopo è quello di intervenire sulla dipendenza fisica da nicotina e sulla dipendenza psicologica legata all’atto del fumare, attraverso il quale si portano a compimento tutta una serie di rituali come accendere la sigaretta, portarla alla bocca, tenerla tra le mani, che impegnano in modo significativo il tempo della persona, soddisfacendo così a diversi bisogni emotivi, sociali, oltre che fisici. 

FALSE CREDENZE SUL FUMO:
VERO O FALSO?
1.      L’unico metodo efficace per smettere di fumare è la forza di volontà:  FALSO
La forza di volontà è utile, ma non è sufficiente nei casi di forte dipendenza nei quali sono necessari supporti terapeutici (agopuntura, omeopatia, psicoterapia, gruppi di autoaiuto) altrimenti raramente si smette.
1.          Pipa e sigari fanno meno male:  FALSO.
La nicotina e altre sostanze tossiche entrano indistintamente in circolo attraverso le mucose della bocca e creano gli stessi disastri di chi fuma le sigarette.
2.          Il fumo provoca tumori ai polmoni solo nelle persone predisposte:  FALSO.
Il 90% dei tumori ai polmoni è dovuto alle sigarette, sia nei forti che nei modesti fumatori.
4. Fumare sigarette leggere fa meno male:  FALSO.
Le sostanze nocive che derivano dalle sigarette non sono solo le percentuali di  nicotina presenti, ma anche le sostanze inalate, durante il processo di combustione che sono simili a quelle dei gas di scarico delle macchine.
3.          Quando si smette di fumare si ingrassa di almeno 10 Kg:  FALSO.
Se si aumenta sensibilmente di peso è perché si è sostituita, dopo il periodo di  crisi d’astinenza, durante la quale aumenta il desiderio di mangiare dolci, la dipendenza dal fumo con quella del cibo e ci si butta sul mangiare. È importante perciò evitarlo controllando la quantità di cibo che si consuma.

giovedì 31 marzo 2011

Quando l'amore diventa violenza: lo STALKING


Il termine stalking deriva dall’inglese “to stalk” che vuol dire inseguire, appostarsi durante la caccia, ed è utilizzato per indicare una sistematica violazione della libertà personale. Comprende un vasto campionario comportamentale che va dalle telefonate, lettere anonime, sms, pedinamenti ossessivi, inseguimenti ecc. La modalità più diffusa è la telefonata, ma sono in aumento anche gli sms e il cyberstalking ovvero attraverso le chat
CHI È LO STALKER: Può essere qualcuno che conosciamo bene come un ex partner, o che abbiamo conosciuto occasionalmente come un vicino di casa o uno sconosciuto magari incontrato al supermercato.
LE MOTIVAZIONI DELLO STALKER: lo stalker ha desiderio di avvicinare una persona da cui si sente ossessionato, vuole recuperare il partner perso, vuole cominciare una nuova relazione, vuole vendicarsi. Sperimenta un forte bisogno di relazionarsi, è immaturo emotivamente, egocentrico, sente una forte esigenza di riconoscimento e attenzione, spesso è preda dei suoi impulsi.
Alcuni studi compiuti su questo fenomeno (Mullen P. E. & al., 2000) hanno distinto due categorie di comportamenti attraverso i quali si può attuare lo stalking: La prima tipologia comprende le comunicazioni intrusive, che includono tutti i comportamenti con scopo di trasmettere messaggi sulle proprie emozioni, sui bisogni, sugli impulsi, sui desideri o sulle intenzioni, sia relativi a stati affettivi amorosi che a vissuti di odio, rancore o vendetta. I metodi di persecuzione adottati, di conseguenza, sono forme di comunicazione con l’ausilio di strumenti come telefono, lettere, sms, e-mail o perfino graffiti o murales. Il secondo tipo di comportamenti di stalking è costituito dai contatti, che possono essere attuati sia attraverso comportamenti di controllo diretto, quali ad esempio pedinare o sorvegliare, che mediante comportamenti di confronto diretto, quali visite sotto casa o sul posto di lavoro, minacce o aggressioni. Generalmente non si ritrovano due tipologie separate “pure” di stalkers, ma molestie in forme miste in cui alla prima tipologia, in genere segue la seconda specie di azioni.
A tal proposito, sono particolarmente importanti tre caratteristiche di una molestia perché si possa parlare di “stalking”:
1. l’attore della molestia, lo stalker, agisce nei confronti di una persona che è designata come vittima in virtù di un investimento ideo-affettivo, basato su una situazione relazionale reale oppure parzialmente o totalmente immaginata
2. lo stalking si manifesta attraverso una serie di comportamenti basati sulla comunicazione e/o sul contatto, ma in ogni caso connotati dalla ripetizione, insistenza e intrusività;
3. la pressione psicologica legata alla “coazione” comportamentale dello stalker e al terrorismo psicologico effettuato, pongono la vittima, definita stalking victim, in uno stato di allerta, di emergenza e di stress psicologico. Questi vissuti emotivamente forti possono essere legati sia alla percezione dei comportamenti persecutori come sgraditi, intrusivi e fastidiosi, che alla preoccupazione e all’angoscia derivanti dalla paura per la propria incolumità.
Una ricerca australiana del 2001 ha identificato 5 tipologie di stalker: Il risentito, il respinto, il bisognoso di affetto, il corteggiatore incompetente e il predatore.
Il risentito: Agisce spinto dal desiderio di vendetta per un torto che ritiene di aver subito. Si tratta di una categoria piuttosto pericolosa che può ledere prima l’immagine della persona e poi la persona stessa. Il problema più grave è legato alla scarsa analisi della realtà: perché il risentimento fa considerare giustificati i propri comportamenti che, producendo sensazioni di controllo sulla realtà, tendono a loro volta a rinforzarli.
Il respinto:  è un persecutore che diventa tale in reazione ad un rifiuto. È in genere un ex che mira a ristabilire la relazione oppure a vendicarsi per l’abbandono. Spesso oscilla tra i due desideri, manifestando comportamenti estremamente duraturi nel tempo che non si lasciano intimorire dalle reazioni negative manifestate dalla vittima: la persecuzione infatti rappresenta comunque una forma di relazione che rassicura rispetto alla perdita totale, percepita come intollerabile. Nella psicologia di questo tipo di “inseguitore assillante” gioca un ruolo cruciale il modello di attaccamento sviluppato che è una delle forme di tipo insicuro, in grado di scatenare angosce legate all’abbandono che creano una tendenza interiore, più o meno consapevole, a considerare l’assenza dell’altro come una minaccia di annientamento e di annullamento del Sé.
Il bisognoso di affetto: è in cerca di un rapporto intimo di qualsiasi tipo, materno, romantico, amichevole, con un partner idealizzato. La vittima in genere viene considerata, per via di una generalizzazione a partire da una o più caratteristiche osservate anche superficialmente, vicina al “partner o amico/a ideale”, una persona che si ritiene possa aiutare, attraverso la relazione desiderata, a risolvere la propria mancanza di amore o affetto. Spesso il rifiuto dell’altro viene negato e reinterpretato sviluppando la convinzione che egli abbia bisogno di sbloccarsi e superare qualche difficoltà psicologica o concreta. Questa categoria include anche la forma definita “delirio erotomane”, in cui il bisogno di affetto viene erotizzato e lo/la stalker tende a leggere nelle risposte della vittima un desiderio a cui lei/lui resiste. L’idea di un rifiuto, vissuto come un’intollerabile attacco all’Io, viene respinta con grande energia e strutturando un’alta difesa basata sull’allontanamento della percezione reale dell’altro, delle sue reazioni e della relazione reale che viene sostituita da quella immaginaria.
Il corteggiatore incompetente: il suo  comportamento è alimentato dalla sua scarsa o inesistente competenza relazionale che si traduce in comportamenti opprimenti, espliciti e, quando non riesce a raggiungere i risultati sperati, anche aggressivi e villani. Questo tipo di molestatore è generalmente meno resistente nel tempo nel perseguire la persecuzione della stessa vittima, ma tende a riproporre i propri schemi comportamentali cambiando persona da molestare.
Il predatore: ha un unico scopo: il rapporto sessuale con la vittima. Egli prova soddisfazione e una sensazione di potenza nell’osservarla di nascosto e nel pianificare l’agguato, la vittima rappresenta infatti un oggetto compensatorio di carenze personali, affettive e sociali. La paura, infatti, eccita questo tipo di stalker che prova un senso di potere nell’organizzare l’assalto. Questo genere di stalking può colpire anche bambini e può essere agito anche da persone con disturbi nella sfera sessuale, quali pedofili o feticisti.
Non tutti gli stalkers sono malati o affetti da una patologia psichiatrica, il loro problema principale è da cercare nella difficoltà che incontrano nel rapportarsi con gli altri, l’unica modalità che conoscono è l’imposizione violenta e aggressiva sull’altro e l’invasione della vita privata altrui.
In Italia solo recentemente lo stalking viene considerato reato ed è perseguibile con la reclusione, la polizia interviene solo se ci sono minacce di morte o lesioni alla persona, per questo a volte purtroppo si interviene troppo tardi, il limite tra una condotta accettabile e un a ossessiva è davvero sottile e spesso soggettivo. Infatti per alcune persone dieci telefonate al giorno sono normali.
COSA FARE:  Dal momento che non tutte le situazioni di stalking sono uguali, non è possibile generalizzare facilmente delle modalità comportamentali di difesa che devono essere adattate alle circostanze e alle diverse tipologie di persecutori. Esistono tuttavia alcune regole utili: Innanzitutto, inutile negare il problema. Spesso, dal momento che nessuno vuole considerarsi una “vittima”, si tende a evitare di riconoscersi in pericolo, finendo per sottovalutare il rischio e aiutando così lo stalker. Il primo passo è allora sempre quello di riconoscere il problema e di adottare delle precauzioni maggiori. Occorre informarsi sull’argomento e comprendere i rischi reali, seguendo dei comportamenti volti a scoraggiare, quando è possibile, gli atti di molestia assillante.
Se la molestia consiste nella richiesta di iniziare o ristabilire una relazione indesiderata, è necessario essere fermi nel “dire di no” una sola volta e in modo chiaro. Altri sforzi di convincere il proprio persecutore insistente, comprese improvvisate interpretazioni psicologiche che lo/la additano come bisognoso di aiuto e di cure, saranno lette come reazioni ai suoi comportamenti e quindi rappresenteranno dei rinforzi, in quanto attenzioni. Anche la restituzione di un regalo non gradito, una telefonata di rabbia o una risposta negativa ad una lettera sono segnali di attenzione che rinforzano lo stalking.
Comportamenti molto efficaci per difendersi dal rischio di aggressioni sono quelli prudenti in cui si esce senza seguire abitudini routinarie e prevedibili, in orari maggiormente affollati e in luoghi non isolati, magari adottando un cane addestrato alla difesa, un modo che si è rivelato molto utile sia come concreta difesa che per aumentare la sensazione di sicurezza.
Se le molestie sono telefoniche, non cambiare numero. Anche in questo caso, le frustrazioni aumenterebbero la motivazione allo stalking. È meglio cercare di ottenere una seconda linea, lasciando che la vecchia linea diventi quella su cui il molestatore può continuare a telefonare, magari mentre azzerate la suoneria e rispondete gradualmente sempre meno.
Per produrre prove della molestia alla polizia, non lasciarsi prendere dalla rabbia o dalla paura e raccogliere più dati possibili sui fastidi subiti.
È utile mantenere sempre a portata di mano un cellulare in più per chiamare in caso di emergenza. Se si pensa di essere in pericolo o seguiti, non andare mai di corsa a casa o da un amico, ma recarsi dalle forze dell’ordine.
LE CONSEGUENZE DELLO STALKING: Purtroppo  molto spesso, i comportamenti di stalking possono essere protratti a lungo con conseguenze psicologiche negative principalmente per la vittima.Quest’ultima, per quanto possa essere breve il periodo in cui viene perseguitata, rischia di conservare a lungo delle vere e proprie ferite. Le conseguenze dello stalking infatti,  sono spesso diverse e si trascinano per molto tempo cronicizzandosi. In base al tipo di atti subiti e alle emozioni sperimentate possono determinarsi stati d’ansia e problemi di insonnia o incubi, ma anche flashback e veri e propri quadri di Disturbo Post Traumatico da Stress.
Si può parlare di stalking quando la persona subisce almeno una decina di comportamenti molesti nell’arco di un mese, ma non dimentichiamo che quello che nasce come un gesto di amore o cortesia può presto divenire un atto persecutorio.