SPORTELLO DI ASCOLTO PSICOLOGICO GRATUITO

SPORTELLO DI  ASCOLTO PSICOLOGICO GRATUITO
SPORTELLO DI ASCOLTO PSICOLOGICO GRATUITO: Ascolto telefonico e telematico per prevenire/sostenere disagi psicologici Inoltre: prima consultazione in sede gratuita Mail: donatella.ghisu@yahoo.it /telefono: 392 5543431

D.ssa Donatella Ghisu

Psicologa, Counsellor Psicologico e Socio-educativo, Anali Transazionale, Specialista in Psicoterapia Breve Strategica, Psicopedagogista, Specialista in: Disturbi alcol correlati, Chil Abuse, Psicologia forense, Disturbi dell'Apprendimento e del Comportamento, Trainer EMDR. Mi occupo di coppie, adolescenti ed adulti a livello individuale e di gruppo. Sostegno alla genitorialità, agli insegnanti nonché alle aziende pubbliche e private.

domenica 30 gennaio 2011

L’Analisi Transazionale e la Psicoterapia Analitico Transazionale


L’Analisi Transazionale (A.T.), fondata da Eric Berne (1910-1970), è una teoria sia psicologica che sociale, caratterizzata da un contratto bilaterale di crescita e cambiamento. Come sistema di psicoterapia l’Analisi Transazionale viene utilizzata nel trattamento di disturbi psicologici di ogni tipo, essendo un metodo di psicoterapia individuale, di coppia, di gruppo e familiare.
Le prime pubblicazioni sull’Analisi Transazionale risalgono al 1949, quando lo psichiatra canadese E. Berne diede luce ad una serie di riflessioni e iniziò a creare le fondamenta teoriche dell’A.T. Le osservazioni di Berne si concentrarono sulle variazioni di comportamento che avevano luogo in una persona quando si attivava uno stimolo nuovo. Egli cominciò a porre attenzione a quei cambiamenti nell’espressione del viso, nell’intonazione delle parole, nella postura del corpo, nel portamento, nei gesti, nella strutturazione delle frasi etc. Notò allora che ogni persona racchiudeva in sé diverse modalità di comportamento e di volta in volta ognuna di esse prendeva il sopravvento nella personalità dell’individuo. Ad esempio la persona qualche volta si comportava da Bambino, qualche volta da Adulto, qualche volta da Genitore, e a queste strutture di personalità ben definite diede il nome di stati dell’Io. In seguito approfondì il modo in cui queste strutture di personalità si relazionavano con il mondo esterno e cominciò ad analizzare le transazioni (unità di scambio reciproco tra due persone). Scoprì quindi che alcune transazioni avevano scopi ulteriori e che servivano a manipolare gli altri in “giochi” psicologici. Inoltre si accorse che spesso le persone si comportavano in modi preordinati, proprio come se stessero recitando un copione su di un palcoscenico. Questi modi preordinati e non facilmente individuabili dalla persona che li mette in atto, sono la causa del ripetersi di esperienze spiacevoli che paragonabili a dei “ritornelli”, nella vita della persona stessa. Esempi di ritornelli sono i seguenti: una persona che viene continuamente delusa e/o lasciata; un’altra che perde ripetutamente il lavoro; una che si da fare per qualcun altro senza essere corrisposta; una che desidera attenzioni e più le cerca più gli altri non gliele danno; una che viene costantemente invaso dagli altri; una che vive intensamente ma subito dopo si annoia altrettanto intensamente, ecc.
All’inizio l’attenzione di Berne è prevalentemente legata alla fenomenologia e allo studio della struttura della personalità, successivamente egli si concentrò sulla comunicazione latente e manifesta, mettendo a frutto i suoi interessi sulla cibernetica di Weiner e Korzysky. Nella terza fase il fulcro centrale dei suoi studi fu l’analisi del copione, ovvero lo studio del piano di vita delle persone.
L’A.T. è una corrente della psicologia umanistica-esistenziale (Maslow, Rogers, Perls, Allport) e in tal senso non corrisponde semplicemente alla concezione medica della guarigione da una malattia. Infatti, la sofferenza psichica viene vista come un blocco di crescita del potenziale
psicofisico dell’essere umano (Novellino, 2003).
Ci sono alcuni presupposti filosofici che caratterizzano l’A.T. e che è importante considerare:
Assunti Filosofici dell’Analisi Transazionale
- ogni individuo è ok (va bene così com’è): le persone sono uguali tra loro ed ognuna ha valore in quanto persona, indipendentemente dalla sua razza e dal suo contesto socio-culturale;
- ogni persona ha la capacità di pensare e di autodeterminarsi: ognuno può decidere che cosa fare della propria vita ed ha la capacità di crescere e di imparare qualunque esperienza abbia avuto anche negativa;
- le decisioni prese possono essere modificate: ciascuna persona prende delle decisioni e ne è responsabile ed è anche responsabile di cambiarle quando non sono più funzionali.

A.T. e modello decisionale

La teoria dell’Analisi Transazionale è basata su un modello decisionale. Ciascuno di noi impara comportamenti specifici e decide un piano di vita nell’infanzia. Benché le nostre decisioni infantili siano fortemente influenzate dai genitori e da altre persone, siamo noi stessi che prendiamo queste decisioni nel modo peculiare di ogni persona. Dal momento che siamo noi ad aver deciso il nostro piano di vita, abbiamo anche il potere di cambiarlo, prendendo nuove decisioni in qualsiasi momento.

Contrattualità dell’A.T

La metodologia di intervento dell’A.T. si fonda sulla contrattualità: la relazione terapeutica è vista come un accordo tra terapeuta e cliente, i quali hanno una responsabilità congiunta nel lavorare per raggiungere gli obiettivi di terapia definiti in modo chiaro e specifico. “Il paziente viene quindi responsabilizzato dall’inizio a porsi come controparte attiva di un professionista il cui compito non è quello di risolvere i problemi del paziente, bensì quello di aiutare a comprendere come finora si è bloccato dal risolverli da solo”. (Novellino, 1998).
I contratti di terapia, attraverso i quali viene specificamente stabilita la meta della terapia, possono essere distinti in contratti di controllo sociale e contratti di autonomia.
I contratti di controllo sociale (terapia breve) sono accordi di terapia tesi a risolvere un problema specifico e hanno come obiettivo un cambiamento comportamentale e il suo mantenimento nel tempo.
Per contratti di autonomia (terapia che può richiedere anni) si intendono, invece, quei contratti in cui la meta della terapia non è solo un cambiamento comportamentale ma un cambiamento del copione della persona, per cui la terapia non è rivolta solo ad un sollievo dai sintomi, bensì alla ristrutturazione della personalità.
Per spiegare questa differenza usiamo una metafora ideata da Berne: ciascun individuo nasce principe o principessa ed esperienze negative precoci convincono alcune persone ad essere ranocchi, da ciò deriva lo sviluppo della patologia. Gli obiettivi terapeutici possono essere due: il primo tende al miglioramento, ad un progresso che equivale ad uno star meglio come ranocchi; il secondo tende a curare, a guarire che significa togliersi la pelle del ranocchio e riprendere nuovamente lo sviluppo interrotto del principe o della principessa.

Sviluppo dell’Analisi Transazionale

È importante considerare che lo sviluppo dell’A.T. corrisponde solo in parte con la storia e la vita di Eric Berne. Un caposaldo dell’A.T. è tuttora la sua integrazione con la Gestalt (grazie all’opera dei Goulding, allievi di Perls), ma l’A.T. integra al suo interno anche la tradizione teorica della teoria delle relazioni oggettuali in campo psicoanalitico, oltre a tecniche cognitiviste e comportamentali. Importanti sviluppi neopsicoanalitici si sono avuti anche grazie al contributo di autori italiani (Moiso e Novellino) che hanno inserito nel quadro teorico concetti clinici psicoanalitici utili soprattutto per il lavoro sugli stati borderline (scissione dell’Io, controtransfert ecc).
Negli ultimi anni l’A.T., grazie al contributo di studiosi anglosassoni, sta integrando all’interno del suo assetto teorico anche le più recenti acquisizioni operate dalle neuroscienze, in particolare le basi neurofisiologiche degli stati dell’Io, l’accesso alle memorie implicite e la formazione delle memorie episodiche.
In Italia, oltre al già citato approccio psicodinamico di Novellino, è molto attivo il gruppo di ricerca di Pio Scilligo, il quale sta sviluppando un'ulteriore integrazione dell’A.T. con il modello SASB di Lorna Smith Benjamin.
L’A.T. ha avuto una progressiva espansione a livello mondiale e una strutturazione in organizzazioni nazionali e internazionali. L’ITAA (International Transactional Analysis Association) assicura rigorosi standard formativi e tutela il titolo di Analista Transazionale la cui formazione è riconosciuta solo se svolta con formatori riconosciuti dall’ITAA o dalle associazioni continentali affiliate: in Europa abbiamo l’EATA (European Association Transactional Analysis).
Principi di base dell’Analisi Transazionale
Per illustrare i principi di base dell’A.T. teniamo presente che essa può essere suddivisa in quattro aree (Novellino, 2003):
Area
 Oggetto

Analisi strutturale
Processi intrapsichici
Analisi delle transazioni
Processi relazionali
Analisi dei giochi psicologici
Processi relazionali distorti che conducono ad un rafforzamento della patologia
Analisi del Copione
Programma di vita basato su esperienze infantili che conducono a decisioni autolimitanti.

1) Analisi Strutturale:

Per comprendere il comportamento di una persona, occorre essere consapevoli di quello che succede al suo interno. Per realizzare questa analisi possiamo suddividere la personalità in diverse parti, consistente ognuna in una struttura integrata di pensieri, emozioni e comportamenti, a cui diamo il nome di stati dell’Io. L’analisi strutturale permette di rappresentare le componenti storiche e biologiche della personalità e si occupa del contenuto dello stato dell’Io; per rappresentare il suo funzionamento si ricorre all’analisi funzionale, che descrive come una persona usa i suoi stati dell’Io per rapportarsi a se stesso e agli altri.

STATI DELL’IO

Berne definisce uno stato dell’Io come un insieme coerente di pensieri, sentimenti ed esperienze direttamente correlate ad un insieme coerente di modelli di comportamento. Sebbene ogni persona possiede infiniti stati dell’Io l’autore li raggruppò in tre grossi insiemi chiaramente distinti e osservabili, diagrammati con tre cerchi sovrapposti:


alalisi



Il Genitore (G)
Il Genitore è l’insieme di pensieri, sentimenti e comportamenti che incorporiamo dall’esterno durante la nostra infanzia ed adolescenza dalla relazione con le figure significative: i nostri genitori reali (o chi ne fa le veci), dai parenti, maestri, insegnanti, o da tutte quelle persone autorevoli che incontriamo negli anni della nostra formazione. Per esempio un genitore si può accorgere che a volte assume un comportamento simile a quello dei propri genitori quando sta utilizzando in modo automatico il proprio Stato dell’Io G. Esternamente l’attivazione di questo stato dell’Io si identifica spesso in comportamenti pregiudiziali, critici o protettivi; mentre dall’interno è vissuto come vecchi messaggi Genitoriali che continuano ad influenzare il Bambino interno.
Funzionalmente si può avere il Genitore Normativo o Critico (GN) quando si manifestano atteggiamenti di divieto e di comandi, il sancire regole, dettare le leggi ecc ed il Genitore Affettivo (GA), che invece si prende cura, mostra attenzione, premura, da sostegno ed è comprensivo etc.

L’Adulto (A)
L’Adulto è un insieme obiettivo di pensieri, sentimenti e comportamenti coerenti con la situazione che stiamo vivendo (qui ed ora) e indica la nostra capacità di elaborare continuamente nuovi dati. Infatti, per gestire la nostra realtà attuale abbiamo bisogno di trovare in continuazione strategie efficaci senza subire interferenze limitanti da Stati dell’io arcaici o incorporati dall’esterno.

Il Bambino (B)
Il Bambino è l’insieme di pensieri, sentimenti e comportamenti che risalgono alla nostra infanzia. Contiene le registrazioni delle prime esperienze di vita e delle “posizioni” che il bambino ha assunto verso se stesso e gli altri. A livello strutturale è uno Stato dell’Io arcaico e si manifesta come vecchi comportamenti dell’infanzia: così come la persona reagiva da bambino. 
Si parla di Bambino Adattato (BA) se attiviamo un comportamento correlato all’influenza genitoriale e Bambino Libero (BL) quando esibiamo forme di comportamento autonomo, senza l’influsso genitoriale. Sia il BA che il BL possono essere positivi o negativi a seconda che siano efficaci ed adeguati alla situazione. La struttura del B è quella parte della nostra personalità che ci fornisce le motivazioni principali del nostro agire.
Per facilitare la comprensione farò degli esempi (adattati da Wollams & Brown, 1978):
Il GA + si prende cura di un’altra persona con amore, quando quest’ultima ne ha bisogno e lo desidera – “Certo farò questo per te”.
Il GA – è sia troppo permissivo, sia troppo affettivo, in quanto fa per gli altri cose che non erano richieste o di cui non avevano bisogno – “Fammi fare questo per te”.
Il GC + è forte e dogmatico e prende le difese dei diritti suoi o degli altri senza umiliare nessuno – “basta! Questo non è giusto!”
Il GC – cerca di togliere l’autostima ad un’altra persona – “perché fai sempre così”?
L’A calcola le probabilità usando termini definibili operativamente – “Se usiamo questo tipo di acciaio c’è un’alta probabilità che il ponte resisterà a un vento di 150 miglia all’ora”.
Il BA + ottiene ciò che vuole o almeno evita il dolore compiacendo a ciò che, secondo lui, i “grandi" si aspettano da lui – “Sissignore”, a un superiore e “per piacere” e “grazie” quando sono richiesti.
Il BA – si comporta in modo autodistruttivo per ottenere l’attenzione degli altri – dimentica di fare il saluto al Generale, e poi si meraviglia che le cose vadano sempre così male per lui.
Il BL + esprime direttamente quello che passa nella sua mente, si diverte, vive in intimità con gli altri e non fa del male a nessuno nel far ciò – “Ehi, giochiamo”
Il BL – fa del male agli altri o a se stesso nell’esprimersi e nel divertirsi – “Andiamo più veloci” anche quando è pericoloso. Ci sono pochi esempi di questo comportamento. Per lo più molti comportamenti che a prima vista possono essere del BL negativo sono in realtà azioni del BA autodistruttivo.
È importante sottolineare che ciascuno di noi possiede ed utilizza tutti e tre gli Stati dell’Io, sebbene possa esservi la tendenza a utilizzare in modo privilegiato uno dei tre. Vi è patologia quando vi sono i meccanismi dell’esclusione (una persona può funzionare solo con uno o due stati dell’Io) e della contaminazione (la persona utilizza informazioni non corrette come dati di realtà, ovvero il suo A non costruisce criticamente la realtà attuale ma prende per buoni dati provenienti dal G o dal B).
L’Analista Transazionale guida il paziente al riconoscimento e alla consapevolezza degli stati dell’Io che la persona attiva affinché egli possa utilizzarli tutti e tre in modo positivo, arricchendo così le proprie opzioni e migliorando la qualità della propria vita e delle proprie relazioni. L’obiettivo principale del terapeuta AT è, infatti, decontaminare l’A, in tal modo il paziente potrà agire nel presente in modo appropriato ed efficace, integrando nel suo modo di agire sia gli insegnamenti introiettati nel suo G, sia le esperienze vissute e contenute nel suo B. L’A integrato ascolta e verifica i dati che arrivano dagli altri stati dell’Io: esamina se le informazioni provenienti dal G sono avvalorate dalla realtà dei fatti e se sono funzionali, come pure se quelle provenienti dal suo B sono aggiornate e appropriate ala realtà attuale.

2) Analisi delle transazioni:

L’Analisi Transazionale prende il nome dalle transazioni, definita come l’unità del rapporto sociale: ogni volta che una persona è in relazione con un’altra persona si avranno delle transazioni. Ogni transazione è composta da uno stimolo e da una risposta; le transazioni vengono scambiate tra i rispettivi stati dell’Io di due persone.
Le transazioni sono classificate in Complementari, Incrociate, Ulteriori e a ciascun tipo di esse corrispondono diverse regole della comunicazione.
L’analisi delle transazioni costituisce il ponte tra livello intrapsichico e livello interpersonale nella psicoterapia; essa si occupa della diagnosi degli stati dell’Io che hanno emesso gli stimoli o le risposte, con la finalità di favorire il controllo sociale, cioè il controllo del comportamento nelle relazioni sociali, da parte della struttura dell’A. La persona divenendo maggiormente consapevole degli stati dell’Io che attiva quando comunica con gli altri raggiunge una maggiore efficacia nella comunicazione e un conseguente benessere relazionale. Tale approccio costituisce una peculiarità dell’A.T. e uno dei suoi punti di forza.
3) Analisi dei giochi psicologici:
“Il gioco psicologico è una serie di transazioni ulteriori [che hanno uno scopo ulteriore, incongruente con il messaggio verbale] ripetitive a cui fa seguito un colpo di scena con una scambio di ruoli, un senso di confusione accompagnato da uno stato d’animo spiacevole come tornaconto finale, in termini di rinforzo di convinzioni negative su di sé, sugli altri, sul mondo”. L’A.T. aiuta ad essere consapevoli dei propri giochi, a smettere di giocare o a giocare in modo meno “pericoloso”.
I vantaggi che si hanno nel giocare i giochi possono essere così riassunti (Novellino, 2003):
a. ottenere carezze (da intendersi in A.T. come “unità di riconoscimento”);
b. strutturare il tempo (cioè il procurarsi ed organizzare il proprio bisogno di contatto sociale);
c. mantenere la posizione esistenziale (atteggiamento più o meno positivo nei confronti di sé e degli altri);
d. portare avanti il copione;
e. evitare l’intimità;
f. continuare ad avere un rapporto emotivo anche dopo il fallimento di una relazione di ricatto;
g. accumulare bollini, ossia reazioni emotive che verranno usate in seguito come giustificazione di un dato comportamento;
h. rendere la gente prevedibile.
In breve i giochi sono modalità reciprocamente distorti di procurarsi carezze a cui fa seguito una
h. rendere la gente prevedibile.
In breve i giochi sono modalità reciprocamente distorti di procurarsi carezze a cui fa seguito una svalutazione di sé, degli altri e del mondo esterno e con i quali pertanto le persone procrastinano la loro sofferenza; essi possono essere abbandonati solo quando la persona ha trovato modi alternativi e sani di procurarsi carezze positive che contengono il messaggio “tu sei ok”.
4) Analisi del Copione psicologico:
Berne in “Ciao e Poi” (1972) definisce il copione come: “un piano di vita basato su una decisione presa nell’infanzia, rinforzata dai genitori, giustificata dagli eventi successivi e culminante in una scelta decisiva”. E’ dunque un piano di vita personale che un individuo decide da piccolo in base alla sua interpretazione degli eventi, esterni ed interni, dei messaggi ricevuti dai genitori e che viene sostenuto da decisioni successive. Il bambino decide il suo copione tra i 3 e i 6 anni; le decisioni prese sul corso della vita, rimangono inalterate anche se le situazioni si modificano, infatti, man mano che il bambino entra nelle fasi successive di sviluppo struttura versioni aggiornate del copione, allo scopo di adattarlo alle nuove realtà che vive ma mantenendone inalterato lo schema base.
Spesso le persone hanno un copione limitante e sofferente, un percorso terapeutico può aiutarle a divenire consapevoli del proprio copione e a modificarlo. All’interno del quadro di riferimento dell’A.T., ciò che rende efficace un intervento è aiutare la persona a tornare a quelle prime esperienze di vita, mediante le quali, il bambino, per proteggersi, aveva inibito le proprie potenzialità prendendo delle decisioni, che allora erano necessarie per la sua sopravvivenza fisica o psichica (es. “compiacere altri”), ma che ora non sono più funzionali. Se da una parte i messaggi negativi, accettati dal bambino, possono divenire fonte di malessere perché troppo rigidi e limitanti, dall’altra parte hanno permesso a quel bambino una sorta di sicurezza e protezione, a cui l’A, nel processo ridecisionale, può scegliere di rinunciare per sbloccare la sua crescita. Nell’ambiente protetto della terapia la persona può ridecidere di comportarsi in modo diverso per vivere una vita più soddisfacente nel presente.
Il terapeuta A.T. nel percorso di ridecisione con la persona amplifica l’efficacia del trattamento usando le 3 P: permesso, protezione, potenza. Il terapeuta, attraverso l’ascolto, implicitamente dà il permesso di cambiare. In seguito, in modo esplicito, potrà dare permessi per lasciare che la persona sperimenti modalità alternative alle vecchie decisioni di copione. Inoltre, rispettando il paziente in ogni sua azione e facendo un buon contratto di terapia, dà protezione al paziente e a se stesso. Il terapeuta è potente nella relazione con il paziente perché usa in modo integrato tutti e tre gli stati del suo Io : “ha un G che incoraggia e si prende cura del benessere del cliente; ha un A che ascolta, coglie informazioni importanti, fa ipotesi e le verifica; ha un B liberato che si diverte, ha energia, usa le sue capacità creative e intuitive, ed è in grado di concedere permessi dando protezione”. (Castagna, 2003).

A chi è utile l’Analisi Transazionale?

I disturbi psichici con cui l’approccio A.T. è indicato sono (adattato da Novellino, 2003):
v     le strutture nevrotiche, anche gravi, sia fobico-ossessive che isteriche e depressive;
v     le strutture borderline, poiché queste hanno bisogno di un setting ben strutturato, direttivo, chiaro, teso alla focalizzazione sulla realtà; 
v   le strutture psicosomatiche, per le quali è stato elaborato, nell’ambito dell’A.T., un lavoro di tipo corporeo, che facilita l’accettazione del vissuto corporeo da parte del paziente
v     psicosomatico, attraverso l’integrazione di tecniche mutuate da altri approcci (es. terapia della Gestalt Bioenergetica);
v     le strutture psicotiche, a condizione però che sia possibile il lavoro in una struttura di tipo comunitario-residenziale; per le strutture psicotiche in compensazione l’A.T. è in grado di offrire il setting adatto.

Per trattazioni approfondite suggerisco i seguenti libri:

Berne, E. (1961). AT e Psicoterapia. Trad. it. Roma: Astrolabio, 1971
Berne, E. (1964). A che gioco giochiamo. Trad. it. Milano: Bompiani, 1967
Berne, E. (1966). Principi di terapia di gruppo. Trad. it. Roma:Astrolabio, 1986
Berne, E. (1972). Ciao…e poi? Trad. it. Milano: Bompiani,1978
Castagna , M. (2003). L’analisi transazionale nella formazione con gli adulti. Milano: Franco Angeli
Goulding, R. & M.(1979). Il cambiamento di vita nella terapia ridecisionale. Trad. it. Roma: Astrolabio,1983
James, M. (1989). Nati per vincere. Trad. it. Roma: Paoline,1980
Moiso e Novellino (1982). Stati dell’Io. Roma: Astrolabio
Wollams, M. e Brown, S. (1978). L’Analisi Transazionale. Trad. it. Assisi: Cittadella, 1985
Novellino, M. (1998). L’approccio clinico dell’Analisi Transazionale. Milano: Franco Angeli
Novellino, M. (2003). La sindrome dell’uomo mascherato. Milano: Franco Angeli

sabato 29 gennaio 2011

Comportamento interpersonale del genitore ed efficacia del processo educativo con gli adolescenti


Premessa
A seconda dei messaggi espliciti e impliciti che il genitore invia a livello verbale e non verbale quest’ultimo può offrire o un reale supporto e una facilitazione alla crescita del figlio o il potenziamento della confusione e del senso di smarrimento nello stesso.
Negli adolescenti che non hanno ricevuto un’adeguata Protezione e adeguati Permessi per affermare se stessi, da parte delle figure di riferimento (genitori, educatori, persone importanti per il ragazzo), i vissuti negativi se non adeguatamente gestiti, possono compromettere lo sviluppo dell'Autonomia della persona
La comunicazione tra genitore e figlio può costituire un’occasione di supporto al superamento degli stessi vissuti.

Descrizione della tappa evolutiva dell’adolescente

L’adolescenza è un periodo del ciclo di vita dall’esordio e dalla durata variabili, caratterizzato da profonde modificazioni biologiche, psicologiche e sociali. Allo sviluppo fisico-sessuale si associano lo sviluppo cognitivo e la ricerca della propria identità sociale in relazione al futuro ruolo di giovane adulto. In riferimento allo sviluppo cognitivo Piaget definisce il pensiero dell’adolescente formale o astratto, in contrapposizione al pensiero infantile concreto: spesso l’adolescente mostra creatività (che esprime attraverso diverse attività: artistiche, artigianali, sportive ecc.), capacità concettuale, orientamento al futuro e progettualità. Secondo Erikson l’adolescente è impegnato nella costruzione della propria identità; essa avviene grazie al processo di differenziazione dalle figure di riferimento che lo conduce all’“individuazione” (M. Klein; Menarini; Kohut; Bowlby, Liotti).
La psicologia relazionale sistemica parla di periodo dello “svincolo” in riferimento al periodo adolescenziale, per sottolineare l’aspetto relativo alla separazione dai genitori (Weiss, 1989), sui quali in passato venivano investite la maggior parte di energie affettive e i quali venivano presi come modello nei comportamenti, come riferimento nell’interiorizzazione delle norme e dei valori. A loro si sostituiscono i pari o altre figure adulte, che spesso il ragazzo frequenta al di fuori del contesto familiare. Keepers e Babcock (1986) affermano che questa è la fase in cui la persona sottoscrive e rivede il proprio copione di vita.
L’intellettualismo, l’ascetismo, la scissione, l’identificazione proiettiva sono i meccanismi di difesa maggiormente utilizzati dall’adolescente per difendersi dagli impulsi sessuali e aggressivi (Anna Freud). Mediante i primi due il ragazzo manifesta interesse per le idee, i libri e i grandi ideali; attraverso la scissione egli separa gli oggetti “buoni” da quelli “cattivi” e razie all’identificazione proiettiva egli proietta sui genitori e alcuni adulti la sua aggressività.
Il processo adolescenziale può avere esiti diversi; si può parlare di adolescenza normale quando il ragazzo diviene progressivamente adulto, di adolescenza ritardata quando il giovane mantiene ancora per molti anni le difese dell’età di latenza, di adolescenza prolungata quando egli evita di fare scelte definitive (è il caso degli studenti che studiano sino a circa trent’anni), di adolescenza sacrificata quando è costretto ad entrare nel mondo del lavoro in giovane età, di adolescenza dissociale quando l’adolescente idealizza ciò che la società disapprova, e infine si parla di adolescenza deviante, quando il ragazzo diventa tossicodipendente e/o alcoolista.
Un modello descrittivo del comportamento interpersonale applicabile al rapporto genitori figli.
In ambito clinico alcuni studiosi contemporanei hanno focalizzato l’attenzione sul comportamento interpersonale. Essi partono dal presupposto che una parte preponderante del disagio psichico ha origini nelle relazioni tra le persone, e che quindi una più profonda conoscenza delle modalità relazionali (soprattutto quelle tra genitori e figli) offra l’occasione per gestire in modo efficace i processi relazionali al fine di mantenere e sviluppare il benessere psicologico.
Pensiamo che nel lavorare alla programmazione di interventi capaci di stimolare la crescita della persona, questi presupposti teorici risultino di grande utilità. Si accoglie l’idea che gli elementi cognitivi non solo risentono di quelli emotivi nel determinare la scelta e la presa di decisione da parte del ragazzo, ma che insieme divengono più facilmente noti e gestibili dal soggetto facilitando il processo decisionale stesso, nel qui e ora della relazione. Il rapporto umano viene quindi valorizzato nel riconoscimento della sua potenza durante e per l’intervento educativo. Il modello interpersonale ci consente infatti di rapportarci alla persona nella sua globalità, e di sviluppare le sue risorse agendo come "Proponenti" nella relazione stessa.
Il modello ASCI (Analisi Strutturale del comportamento Interpersonale) elaborato da L. S. Benjamin (1979), serve per analizzare il comportamento che si instaura tra due o più persone quando si relazionano tra di loro mediante la comunicazione verbale e non verbale (P. Scilligo, 1993). Esso è stato messo a punto con lo scopo di sensibilizzare i professionisti del benessere delle persone a fare uso di una metodologia di prevenzione, intervento e sviluppo.
Poiché l’obiettivo qui è quello di: a) individuare i comportamenti da promuovere nel genitore durante l’intervento educativo con soggetti adolescenti; b) mostrare la loro utilità nel rendere efficace l’intervento educativo stesso; facciamo riferimento alla psicologia dei rapporti umani (L’Analisi transazionale; 1990), e in particolare ai tre grafici degli Stati dell’Io (Fig.1, 2, 3), per comprendere in che modo il genitore può facilitare l’emancipazione del ragazzo, gestendo le proprie modalità relazionali.
I primi due grafici (Fig. 1; Fig. 2) mostrano le descrizioni prototipiche degli Stati dell’Io Relazionali, rispettivamente il "Proponente" e il "Rispondente"; il terzo (Fig. 3) gli Stati dell’Io Sé della superficie dell’introietto.
È importante sottolineare che "l’introietto corrisponde a quello che la persona interiorizza come risultato del rapporto tra Altro e Sé e riflette i principi di azione relazionale verso se stesso" (P. Scilligo, 1993). In altre parole il concetto fondamentale che guida la mia tesi, è che i comportamenti (descritti nella Fig. 3) sono il "precipitato" della relazione che ha avuto luogo con i diversi Proponenti e Rispondenti della vita quotidiana. Osservando i grafici è possibile riscontrare una corrispondenza topografica tra le tre superfici, che permette di individuare le risposte corrispondenti (Fig. 2) ai comportamenti proposti dal Proponente (Fig. 1) e il risultato sull’Introietto del ragazzo (Fig. 3). In riferimento alla relazione genitore " figlio adolescente, ciò significa che il proponente (genitore) determina risposte complementari nel rispondente (ragazzo) che inducono posizioni complementari nell’Introietto del ragazzo stesso.
Per es. il genitore (Fig. 1) utilizza il comportamento 141. "Pensa che vado bene cosi come sono, mi accetta cordialmente, mi ama, mi calma, mi accoglie cordialmente."; la risposta del ragazzo (Fig. 2) sarà il comportamento 241. "Affettuosamente godo di stare con lui, accetto il suo aiuto e le sue attenzioni, con fiducia conto su di lui."; questa relazione induce la posizione esistenziale nel ragazzo 341. "Accetto attenzioni e affetto, mi lascio aiutare, godo di persone e situazioni che mi danno soddisfazione". Osservando i tre grafici, rispetto alla possibilità di crescita personale, possiamo dire che i due quadranti della parte destra descrivono comportamenti che favoriscono la crescita, quelli della parte sinistra descrivono comportamenti che al contrario portano al disorientamento.
I paragrafi successivi focalizzeranno l’attenzione sui compiti evolutivi dell’adolescente e sui compiti corrispondenti dell’orientatore nel facilitare il raggiungimento degli obiettivi specifici ad ogni compito in modo tale da contestualizzare l’applicazione dell’ASCI.

genitori

 
Fig. 1. Comportamento interpersonale del genitore (Proponente). Presupposto: Genitori sani crescono figli sani, genitori malati (attaccanti/trascuranti) crescono figli malati (attaccanti/trascuranti). I quadranti 1 e 4 sono i quadranti della Salute, i quadranti 2 e 3 sono i quadranti della Malattia.

 . genitori

Fig. 2. Il comportamento interpersonale del figlio in risposta a quello del genitore.

genitori

Fig. 3. L’Introietto del figlio, ovvero il Modello Operativo Interno del Figlio. (come il figlio si comporterà con se stesso)

Compiti evolutivi dell’adolescente e compiti del genitore per facilitarne la crescita.
Potenziare la fiducia in se stessi

È molto frequente che i genitori si trovino di fronte a figli che, confrontandosi via via in modo più intenso con persone e contesti differenti da quelli d’origine, ottengano disconferme dall’ambiente rispetto a caratteristiche personali e a volte a se stessi nella globalità. È molto importante che questi messaggi inviategli non siano "rafforzati", perciò risulta un compito educativo importante con l’adolescente quello di spingerlo a scoprire quali sono i suoi reali bisogni oltre che a trovare dei modi diretti per soddisfarli, aiutandolo ad uscire dalla posizione esistenziale "io non sono ok" (Berne, 1998). Nelle fasi precedenti dello sviluppo il ragazzo ha appreso delle abilità; esse sono utilissime perché lo aiutano a prendere iniziative con più sicurezza, a sapere ciò di cui ha bisogno, a distinguersi dagli altri e a valutare la realtà che lo circonda. Attraverso l’uso di queste abilità di base egli può agire costruttivamente per realizzare i suoi desideri; attraverso la guida e il sostegno del genitore può cogliere dove apprendere ad usare, integrare e ristrutturare ciò che ha già fatto. È molto importante che il ragazzo viva una profonda fiducia in se stesso, in modo da poter far fronte alle situazioni e aprirsi alle possibilità; sapere che può contare su adulti disponibili ad accogliere molte richieste può risultare di grande aiuto per lui. Occorre ricordare che molti ragazzi dedicano molto tempo a persone estranee al gruppo familiare, ritenute da loro autorevoli, mettendole alla prova per capire quanto ci si può fidare di loro (J. Clarke; 1978). È importante dare loro fiducia e ciò si può fare facilmente se si permette loro di affrontare i rischi e se si riconosce il valore della loro intuizione, anche se è necessario offrire strumenti e informazioni su come possono selezionare ciò per cui sono maggiormente motivati e interessati.
Possiamo individuare dei messaggi da inviare per sviluppare la fiducia. È importante tenere presente che questi ed altri messaggi possono essere inviati sia a livello verbale sia a livello non verbale, occorre quindi che il genitore abbia una buona consapevolezza di se stesso e dei significati dei messaggi che invia durante la relazione con il figlio. Analizzandoli nel dettaglio possiamo esprimerli con le seguenti frasi:
- "hai il diritto di essere qui"
- "non devi mascherarti per essere accolto"
- "puoi esprimere perplessità e ricevere comunque sostegno";
- "impara a fidarti delle tue intuizioni e di te stesso".

Rinforzare l’Esplorazione

Gli adolescenti si trovano costretti ad esplorare in continuazione se stessi e il mondo, a causa dei rapidi mutamenti fisici ed emotivi che sperimentano, i quali, spesso causano un profondo senso di disorientamento. J. Klarke (1978) sottolinea che la domanda di disponibilità fatta all’adulto da parte del ragazzo è massiccia; questa richiesta, a volte esplicita altre volte implicita, può essere sfruttata dal genitore, soprattutto in relazione al fatto che i ragazzi esplorano, assieme al proprio corpo e alla propria immagine, le proprie risorse. Essi sono particolarmente recettivi ad acquisire dei modi per sviluppare le abilità, facendo nuove esperienze indipendentemente dai propri familiari.
Tali esperienze permetteranno loro di rispondere a quesiti come per es: "cosa farò della mia vita?", che frequentemente essi stessi si pongono, e che, come abbiamo visto, sono legati al rapido sviluppo del pensiero astratto e al fatto che stanno costruendo la propria autonoma identità. Lo sperimentare direttamente agendo sul mondo permetterà loro di utilizzare le capacità legate al pensiero concreto sviluppate nelle fasi precedenti e ormai collaudate.
La padronanza delle competenze acquisite precedentemente permetterà loro di rafforzare il senso d’autoefficacia, necessario per affrontare in futuro situazioni più rischiose (perché meno note).
In relazione al bisogno d’esplorazione è importante che Il genitore invii dei messaggi che lo rispettino e anzi rafforzino questo bisogno, dato che esso si traduce nella motivazione ad agire verso qualcosa, cioè nella forza propulsiva a fare.
I permessi da dare al ragazzo per facilitare lo sviluppo motivazionale sono i seguenti:
- "Puoi essere curioso e intuitivo";
- "Puoi avere iniziative e fare proposte";
- "Puoi fare le cose autonomamente e ricevere contemporaneamente sostegno";
- "Puoi chiedere aiuto se ti trovi in difficoltà dopo aver deciso di fare da solo";
- "Riuscirai a fare bene le cose che ti piacciono perché hai le risorse per farle"
- "Se senti che c’è qualcosa che non va in ciò che fai, ascoltati e osserva come lo fai, per poi selezionare ciò che fai meglio".

Permettere la Separazione

Abbiamo visto come la fase dell’adolescenza sia caratterizzata da una progressiva separazione dalle figure di riferimento precedenti, nel tentativo di differenziarsi e costruire la propria originale identità. Gli adolescenti di 14-15 anni sperimentano spesso la loro indipendenza creando delle occasioni per verificare se stanno bene "separati"; questo processo è funzionale alla loro differenziazione rispetto alle persone adulte dalle quali in passato sono dipesi in maniera massiccia, e pone le basi per l’individuazione di una propria identità autonoma. Al genitore capita che la sua disponibilità ad offrire supporto non sia accolta favorevolmente dal ragazzo, molto probabilmente a causa del ruolo istituzionale che egli ricopre agli occhi dello stesso. Nonostante ciò l’adolescente ha bisogno di ricevere supporto e di sapere che ci sono delle persone cui può fare riferimento quando ne ha bisogno.
È molto importante, affinché l’esperienza della separazione sia utile alla sua crescita, che egli contatti le conseguenze del proprio agire: mentre osserva gli effetti del proprio comportamento su se stesso, sugli altri e sulle cose, egli si allena a sviluppare la capacità critica e a diventare consapevole della realtà in cui vive, responsabilizzandosi.
Spesso l’adolescente sembra impegnarsi nel "dimostrare" al mondo la propria indipendenza, e ciò accade frequentemente in situazioni di gruppo; i suoi comportamenti in questo caso sono caratterizzati da ribellione, ostinazione, negatività e confusione.
Davanti a questi atteggiamenti gli adulti possono sperimentare un senso di difficoltà e rispondono nella maggior parte dei casi o con l’estremo permissivismo, che ha le caratteristiche della compassione, o con la rabbia, entrando in un braccio di ferro che porta come conseguenza un tornaconto per entrambi nei termini di insoddisfazione e impotenza. In tutti e due i casi il messaggio che l’adulto invia al ragazzo è: "tu non vai bene", che ha come effetto il rinforzo del senso di inadeguatezza e la difficoltà a separarsi e a individuarsi. È importante trovare delle strategie di intervento di grande impatto sia emotivo sia cognitivo sul ragazzo, che permettano di verificare piccoli cambiamenti immediati.
Possiamo individuare dei permessi per "pensare" e per "sentire", attraverso i quali vengono rinforzati rispettivamente la capacità di pensare e di sentire; possono essere utilizzati da tutti gli educatori e in particolare dai genitori; si trovano contenuti nelle seguenti affermazioni:
- "Accetto il fatto che non sei un bambino e che sei più autonomo rispetto al passato";
- "Puoi esaminare gli effetti delle tue azioni su gli altri, che potrebbero anche decidere di andarsene se non stanno bene con te";
- "Puoi separarti da me e pensare con la tua testa";
- "Non ho paura della tua rabbia";
- "Puoi cogliere dalle tue sensazioni ciò che vuoi e ciò che ti serve per stare bene";
- "Puoi fidarti di ciò che pensi, dato che hai la capacità di ragionare";
- "Puoi cercare ciò che ti serve da solo, non è necessario che io cerchi tutto per te";

Facilitare la Costruzione

Mentre i ragazzi sviluppano il pensiero logico, raccogliendo dati e informazioni, si esercitano, spesso con entusiasmo, a trovare relazioni tra eventi; elaborano reti di significati sempre più complessi e arrivano a conclusioni più sofisticate e sottili. Dai 16 ai 20 anni circa, decidono cosa è bene e cosa è male, cosa è importante e cosa insignificante, anche nei termini della realizzabilità di piani e progetti personali. È presente nell’adolescente uno sforzo incessante di diventare maturo, adulto e indipendente.
Egli è pronto a fare cose sempre più complesse in modo autonomo, anche se continua ad avere bisogno di protezione, è maggiormente consapevole dei propri desideri e della possibilità o meno di realizzarli, perché ha raffinato la capacità di distinguere se stesso con i propri desideri e pensieri dai fatti e dalla realtà esterna.
È molto importante che il ragazzo abbia la possibilità di ricorrere in modo critico alle regole che gli sono state proposte, sia che derivino dalla famiglia, dalla scuola, o dagli amici, per gestire le proprie emozioni e modulare il proprio comportamento e i piani d’azione complessi, mantenendo un senso di coesione personale.
Le regole gli possono essere d’aiuto per sentirsi sicuro in diversi contesti, siano essi contesti formativi, lavorativi, sportivi ecc, per meglio gestire i confini tra se e gli altri e per sperimentare la propria individualità. E’ molto importante però che egli, assieme alla possibilità di conoscere nuove norme, rivaluti criticamente le norme apprese in passato e decida poi quali accettare, al fine di far proprie solo quelle che rientrano nel proprio sistema di valori.
Questo processo di costruzione lo aiuta a superare la confusione e a orientarsi anche riguardo alla propria vita futura, vedendo una direzione che gli deriva dalla percezione di sé come più integrato.
I messaggi legati alla Costruzione sono i seguenti:
- "Ascolta i tuoi sentimenti prima di agire e di trarre conclusioni";
- "Puoi pensare e riflettere sulle conseguenze delle tue azioni";
- "Puoi riflettere prima di fare tua una determinata regola";
- "Puoi avere i tuoi principi morali";
- "Non è necessario che tu soffra per ottenere ciò che ti occorre";
- "Puoi fare le cose a modo tuo";
- "Puoi costruire un tuo personale progetto di vita, dato che hai tutti gli strumenti per farlo".

venerdì 28 gennaio 2011

Il viaggio


Partire è un po’ morire», ha scritto un poeta di cui non ricordo il nome. Non condivido questa affermazione, per quanto possa sembrare poetica, perché per me partire, l’atto di andare via, di lasciare un luogo, porta con sé una carica di sfida, e la sfida è l’essenza dell’avventura. Iniziare un viaggio significa predisporsi ad accogliere le novità, le cose sconosciute, inattese, quelle a cui non siamo abituati. Le nostre abitudini si nutrono dell’influenza che ricevono dalle altre, così come la nostra cultura dipende dal contatto e dal sistematico confronto con altre culture. Al di là della bellezza della frase che mi è servita per iniziare questo testo, rifiuto il suo eventuale contenuto perché mi sembra una difesa della sedentarietà, e i corpi sedentari sono inclini all’esaurimento precoce.
La sedentarietà sociale riesce solo a creare pregiudizi e luoghi comuni che rendono più difficile la comprensione. Chi non ha mai viaggiato sostiene, per esempio, che in Inghilterra il cibo sia povero ed insipido, che i vini tedeschi siano maldestre imitazioni, che in Italia si mangi solo pasta, che in Spagna non conoscano altro che la paella, o che in Cina la dieta si basi esclusivamente sul riso. Cito luoghi comuni e apparentemente inoffensivi, e dico apparentemente perché dietro di loro si acquatta la peggiore delle autoaffermazioni nazionaliste, quella che sostiene : “Le nostre cose sono le migliori perché sono le uniche che conosco”. Di qui alla patologia del patriottismo non c’è che un passo.
Noi esseri umani ci mettiamo in movimento, vale a dire viaggiamo, per due motivi: uno è la curiosità di sapere cosa accada al di là dei limiti entro i quali potremmo condurre una vita tranquilla e placidamente mediocre. Questa curiosità spinge a mettersi in moto e trasforma in trasgressori,perché osiamo abbandonare la tranquillità e le abitudini note per confrontarci con altre, senza sapere se ne riceveremo benessere o inquietudine. L’altro motivo che ci mette in movimento è di solito involontario: quando ci azzardiamo a protestare contro la mediocrità che impera nel nostro ambiente, allora ne veniamo espulsi.
Per spiegarmi meglio, racconterò una storia che ho ascoltato tempo fa da alcuni indios guarandies a El Pantanal, nel territorio umido del Basso Mato Grosso. Parla di un uomo che viveva ossessionato dal desiderio di sapere cosa ci fosse oltre la linea verde dell’orizzonte della selva. Una sera si avvicinò al falò intorno al quale si riunivano i vecchi saggi della sua tribù. Erano saggi davvero, ma saggi del luogo. Quando comunicò loro la decisione di camminare verso la linea dell’orizzonte per vedere cosa ci fosse dall’altro lato, non ricevette i consigli che sperava e fu invece sottoposto a uno sfinente questionario. Non ti bastano i dolci frutti della papaia e della guayaba che crescono vicino al fiume? Forse la manioca non cresce generosa nel tuo orto? Ti sembrano forse insipidi i pesci che si impigliano nelle tue reti? La pelle dello yacaré in cui porti le tue frecce non ti sembra abbastanza resistente? L’uomo rispose di sì a tutte le domande, ma aggiunse che tutto questo non gli bastava, che non voleva possedere altre cose, bensì sapere cosa ci fosse dall’altro lato dell’orizzonte. Allora i vecchi saggi si infuriarono, prima di scagliare come un dardo l’ultima delle loro inquisizioni: “Ci consideri forse incapaci di rispondere a tutte le tue domande?”
Stavolta l’uomo rispose che essi potevano parlare di tutto quello che si trovava da questa parte dell’orizzonte, ma non di quello che c’era dall’altro alto, perché nessuno di loro si era mai spinto fin laggiù. I vecchi saggi, incolleriti, lo accusarono di voler sapere di più di ciò che era consentito e lo espulsero dalla tribù. “Potrai tornare solo se, dall’altro lato dell’orizzonte, troverai qualcosa di meglio di ciò che avevi qui”, lo condannarono alla fine i vecchi saggi dall’alto della loro saggia immobilità. L’uomo si mise in marcia verso l’orizzonte. Camminò molti giorni attraversando selve e savane, eppure, via via che avanzava, la verde linea dell’orizzonte restava sempre alla stessa distanza, inalterabile. Una notte, mentre l’uomo meditava vicino al fuoco su quello strano prodigio che non lo allontanava, ma che gli impediva di avvicinarsi all’orizzonte, fu sorpreso dall’arrivo di uno sconosciuto.
Sembrava stanco. Salutò, poi chiese il permesso di riposare vicino al fuoco. L’uomo che cercava l’orizzonte notò che l’altro, sebbene parlasse la sua stessa lingua, non lo faceva con il tono alto delle genti che vivevano vicino al fiume, abituate a parlare in quel modo per far sì che il sordo rumore delle acque non portasse via le loro voci. Lo sconosciuto veniva dalla selva profonda, e per questo il tono della sua voce era basso: doveva essere abituato a parlare in quel modo per far sì che le sue parole non restassero prigioniere del fogliame, o per impedire che si confondessero con le imitazioni della voce umana con cui si divertivano i pappagalli in cima agli alberi.
Lo sconosciuto si strofinò i piedi, doloranti per il lungo cammino, e guardò meravigliato l’uomo che cercava l’orizzonte: aveva scostato qualche tizzone dal fuoco e glielo aveva messo vicino ai piedi. Quel tepore fu come un balsamo per la sua stanchezza. Allora lo sconosciuto tirò fuori dalla bisaccia due pezzi di manioca e ne offrì uno all’uomo che cercava l’orizzonte. Egli lo accettò e senza darvi troppo peso cominciò ad arrostire il suo pezzo di manioca sulle fiamme. L’altro, invece, si incamminò verso il folto della selva e ritornò con due grandi foglie, nelle quali avvolse amorevolmente la sua porzione. Aspettando che si cuocesse, osservò l’uomo che cercava l’orizzonte mentre cercava di mangiare la sua razione mezza calcinata. Poi, dopo aver tastato la sua parte, la ritirò dal fuoco, aprì l’involucro di foglie, ed ecco la manioca bianca e fragrante. Gliene offrì la metà, e l’uomo che cercava l’orizzonte seppe di aver trovato qualcosa di meglio di ciò che già conosceva.
Uno mangiava un cibo dal sapore inimmaginabile, e l’altro provava una sensazione di sollievo ai piedi che mai prima aveva sperimentato. Dopo cena, si distesero per riposare, ma prima disposero in terra i loro talismani protettori. L’uomo che cercava l’orizzonte si meravigliò delle collane di piume multicolori, e l’altro si commosse alla bellezza delle pietre verdi e azzurre che il suo anfitrione aveva disposto attorno al fuoco.
All’alba si prepararono a continuare il cammino. All’uomo che cercava l’orizzonte piaceva la compagnia dell’altro, e forse per questo gli chiese dove andasse. “Verso l’orizzonte, voglio vedere cosa c’è dall’altro lato”, rispose e le sue parole rallegrarono l’uomo che veniva da fiume. “Allora possiamo andare insieme”, gli disse contento. Ma la sua allegria durò poco, perché, appena si misero in movimento, l’uomo della selva cominciò a camminare nella direzione dalla quale veniva lui.
“No, l’orizzonte è di là”, disse l’uomo del fiume.
“Ti sbagli. Io vengo da lì, e l’orizzonte è di fronte ai miei occhi. Perché tu gli dai le spalle?”, chiese l’uomo della selva.
Dopo un istante di esitazione, seppero di star cercando la stessa cosa e di avere iniziato a trovarla.
Allora parlarono a lungo, dei costumi della loro gente, del colore degli uccelli, della sagacità degli animali, del sapore di frutti, dei segreti del fiume e della selva, dei loro destini così simili, esiliati perché volevano sapere più di quanto fosse loro concesso.
Quando i due uomini si separarono, e uno iniziò il cammino di ritorno verso il fiume, e l’altro verso la selva profonda, sapevano che cercando l’orizzonte avevano trovato qualcosa di più importante: la certezza dell’esistenza dell’altro, dell’altro uguale nella forma, ma differente nelle abitudini, e ciascuno si vide più ricco di quando aveva iniziato il cammino, perché il viaggio aveva dato loro le conoscenze che mai avrebbero avuto i vecchi saggi dell’immobilità.

sabato 22 gennaio 2011

EMDR III^ parte


IN COSA CONSISTE?

L'EMDR, Desensibilizzazione e Riabilitazione attraverso i Movimenti Oculari, è una metodologia psicologica per il trattamento dei problemi emotivi causati da esperienze di vita disturbanti che variano dagli eventi traumatici, come stress da combattimento, aggressioni e calamità naturali ed eventi disturbanti nell'infanzia.
L'EMDR viene inoltre utilizzato per alleviare l'ansia da prestazioni e per rafforzare la funzionalità delle persone sul lavoro, nello sport e nello spettacolo.
L'EMDR è un metodo complesso che unisce elementi originari di orientamenti teorici clinici consolidati, tra cui quelli propri della scuola psicodinamica, cognitivo-comportamentale ed incentrata sul cliente (rogersiana).
L'EMDR offre a molti pazienti un sollievo più rapido ai disturbi emotivi rispetto alle psicoterapie convenzionali.

Nel 1987, la psicologa Francine Shapiro scoprì che i suoi movimenti oculari volontari riducevano l'intensità di pensieri negativi disturbanti. La dottoressa Shapiro iniziò uno studio (Shapiro, 1989) volto ad esaminare l'efficacia dell'EMDR nel trattamento di reduci del Vientnam traumatizzati e di vittime di aggressioni sessuali e scoprì che l'EMDR riduceva notevolmente i sintomi dei loro disturbi da stress post-traumatico (PTSD).

 
EFFICACIA E RISULTATI TERAPEUTICI
L'EMDR è un approccio incentrato sul paziente che permette al terapeuta di facilitare la mobilitazione del suo meccanismo di autoguarigione, stimolando un sistema innato di elaborazione delle informazioni nel suo cervello. Infatti, l'EMDR sembra avere un effetto diretto sulla modalitpà di funzionamento del cervello. L'EMDR sembra essere essere simile a quanto avviene naturalmente durante i sogni e il sonno REM (Rapid Eye Movement).
Il modello dell'EMDR riconosce la componente fisiologica delle difficoltà emotive ed affronta direttamente queste sensazioni fisiche, insieme alle convinzioni negative, agli stati emotivi e ad altri sintomi disturbanti. Pertanto, si può considerare l'EMDR come un metodo terapeutico a base fisiologica che aiuta le persone a sentire il ricordo di esperienze traumatiche in modo nuovo e meno disturbante.

QUAL E' IL MECCANISMO DELL'EMDR GRAZIE AL QUALE SI REGISTRA UNA RIDUZIONE DEI SINTOMI NEI TRAUMI?

Sebbene le modalità del funzionamento dell'EMDR non siano ancora chiare, sono in corso continue indagini sui possibili meccanismi grazie ai quali l'EMDR può facilitare una rielaborazione dell'eesperienza traumatica. Ciò che sempra chiaro ai ricercatori è che gli eventi attuali possono ristimolare pensieri, emozioni e sensazioni fisiche negative derivanti da esperienze precedenti che continuano ad essere causa di disagio per il paziente.
L'EMDR sembra camiare le associazioni di quegli eventi, riducendo notevolmente il disturbo presente relativo sia agli eventi passati sia a quelli attuali.
Sono state avanzate varie ipotesi per spiegare come l'EMDR agise nella mobilitazione dell'elaborazione rapida del materiale cognitivo ed emotivo e, tra queste:
1. Inibizione reciproca unendo il distrubo emotivo ad una "risposta indotta di rilassamento" (Wilson D. et al., 1996).
2. Riduzione delle anomalie neurologiche nelle persone traumatizzate, come dimostrato con studi SPECT scan del cervello dei soggetti (Levin P., Lazrove S., van der Kolk B. A., in stampa).
3. Soppressione dell'evitamento per mezzo di una serie ottimale di stimoli di distrazione che permettono l'elaborazione dei ricordi traumatici fino alla loro risoluzione.


COSA ACCADE NELL'EMDR?

Durante l'EMDR, il terapeuta lavora con il paziente per l'identificazione del problema specifico, oggetto della terapia. Utilizzando un protocollo strutturato, il terapeuta guida il paziente nella descrizione dell'evento o dell'aspetto disfunzionale, aiutandolo a scegliere gli elementi disturbanti importanti. Viene chiesto al paziente quali pensieri e convinzioni ha mentre richiama l'aspetto peggiore o più disturbante dell'evento. Il terapeuta aiuta l'elaborazione mediante movimenti guidati dagli occhi o altre stimolazioni bilaterali degli emisferi cerebrali. Durante i set di movimenti oculari, il paziente rivive vari elementi del ricordo iniziale o di altri ricordi. Il terapeuta interrompe i movimenti oculari ad intervalli regolari per accertarsi che il cliente elabori adeguatamente da solo. Il terapeuta facilita il processo prendendo decisioni cliniche relative alla direzione dell'intervento. L'obiettivo è l'elaborazione rapida delle informazioni relative all'esperienza negativa da parte del paziente fino ad una sua "risoluzione adattiva".
Durante l'EMDR il paziente può provare emozioni intense, ma al termine della seduta, la maggior parte delle persone riferisce una notevole riduzione nel livello di disturbo assoiato all'esperienza traumatica. Nelle parole della dottoressa Shapiro, questo è legato ad una riduzione della sintomatologia, ad un cambiamento nelle convinzioni negative del cliente ed alla prospettiva di una funzionalità ottimale. Il "triplice approccio" globale utilizzato nell'EMDR si rivolge: 1) alle esperienze passate; 2) alle attuali cause di stress; 3) ai pensieri ed alle azioni desiderate per il futuro.
Il trattamento con l'EMDR può durare da un minino di 1-3 sedute, ad un anno e più per i problemi più complessi. Il tipo di problema. le circostanze di vita e l'entità dei traumi passati determineranno il numero di sedute necessarie.
L'EMDR può essere utilizzato nell'ambito della psicoterapia tradizionale.


CHE TIPO DI PROBLEMI PUO' ESSERE CURATO CON L'EMDR?

La ricerca scientifica ha stabilito che l'EMDR è efficate nel trattamento dello stress traumatico. I terapeuti però hanno studiato e riferito di aver avuto successo con l'EMDR nel trattamento delle seguenti patologie:
  • stress post-traumatico
  • attacchi di panico
  • disturbi dissociativi
  • disturbi d'ansia
  • ansia da prestazione
  • lutto complicato e/o irrisolto
  • abusi sessuali e/o fisici.


Dott.ssa Donatella Ghisu è specialista in EMDR iscritta all'Associazione EMDR Italia con nr 2164/11.
** Per chi necessita di un consulto EMDR ricorda la sua gratuità. La si può contattare  o richiedere un appuntamento scrivendo al seguente indirizzo di posta elettronica:
donatella.ghisu@yahoo.it

lunedì 17 gennaio 2011

ONICOFAGIA. Ovvero: autolesionarsi mangiandosi le unghie.


Il mangiarsi le unghie, ovvero l’onicofagia si riferisce ad un disturbo di tipo nevrotico a base ansiosa (rapportabile alle manifestazioni concernenti i disturbi d’ansia). Il “disturbo” di per sé non è indice di psicopatologia in quanto, almeno per la maggior parte dei casi (ci sono più indici di gravità), è da annoverarsi al confine dei “normali” comportamenti adattivi che si verificano in risposta alle situazioni ansiogene.
Il fascino sottile, discreto e perverso di mordicchiarsi le unghie
In genere, come tanti altri piccoli disturbi (tic, stereotipie di movimenti, ecc.), nasce nell’infanzia e si afferma quanto più dall’esterno sono giunti al soggetto divieti e punizioni. Spesso nasce in situazioni familiari pesanti, caratterizzate da esplosioni e litigi sistematici tra i genitori, nasce avanti ad aspettative parentali troppo alte (di tipo scolastico, agonistico, ecc.), nasce quando il soggetto non sente a sufficienza l’amore dei genitori, nasce per gelosia verso i fratelli, ecc. Insomma nasce in situazioni in cui l’affettività, il mondo dei sentimenti, si esprime - dentro al soggetto e o attorno a lui fuori - come aggressività. Può accadere allora che il soggetto-bambino cerchi di risolvere l’ansia che quelle situazioni gli provocano proponendosi inconsciamente come oggetto sacrificale. E mi spiego: egli offre la propria totale remissività, passività ed impotenza, in cambio della liberazione della sua famiglia, di se stesso, ecc., da ogni esperienza di aggressività. Per chiarire pensiamo sia utile uno schema e qualche esempio: l’onicofagia, come molti altri analoghi rituali di tipo ossessivo, sembra prodursi grazie alla concomitanza di tre fattori. 1) Il primo fattore è rappresentato dalla tendenza, in mancanza di procedure dirette e mirate, ad utilizzare espedienti di tipo metaforico. Nel nostro caso osserviamo: a) che il gesto del portare qualcosa alla bocca, suggere, richiama metaforicamente l’esperienza del seno materno e della madre buona e che, quindi, viene utilizzato per ottenere lo stesso effetto tranquillizzante. Espedienti analoghi sono: portare alla bocca pipe, sigarette, matite, merendine ecc; b) invece il gesto di rosicchiare richiama metaforicamente quello di digrignare (pronti all’aggressione) i denti usualmente associato alle situazioni di tensione. Espedienti analoghi sono: rosicchiare lo stecchino, la matita, le lenzuola, masticare chewing gum, ecc. 2) Il secondo fattore è rappresentato da una sorta di soddisfazione autolesionista (quello che in sostanza Freud definiva istinto di morte) unita alla capacità di produrre presenza attraverso la percezione del dolore. Anche in questo caso si mostra l’ambivalenza inconscia tra tendenza alla quiete mortifera e necessità di restituirsi alla vita attraverso la percezione del dolore fisico. Per esempio: alcuni si mordono le labbra, la lingua, l’interno delle gote. 3) Il terzo fattore infine è rappresentato dal loop ossessivo prodotto dalla inadeguatezza dell’espediente utilizzato, unito alla rimozione di tale inadeguatezza. Ciò produce la necessità di ripetere il gesto compensatore (coazione a ripetere), magari con maggiore determinazione ed intensità, nella speranza che risulti finalmente adeguato all’appagamento del bisogno. Alcuni, per esempio, iniziano a grattarsi le gambe per rimediare ad un prurito magari lieve e per ragioni analoghe rieseguono il gesto ripetutamente con intensità progressivamente crescente fino a prodursi escoriazioni dolorose e sanguinanti. L’aggressività di cui il bambino vuole liberare sé ed i suoi cari, è vissuta dal bambino come poteva viverla il nostro antenato delle caverne: un sentimento di annientamento radicale che intende ferire o uccidere l’altro, oggetto di tale sentimento. Dunque: sentimento inaccettabile. Dunque necessità di esorcizzare la vita personale e la vita dei cari da questo pericolo. Inconsciamente il bambino promette che sarà bravo per sempre se... Sono promesse che spesso da bambini facciamo. Ed egli comincia subito ad essere bravo, ossia innocuo: il gesto del portare qualcosa in bocca da un lato veicola il desiderio del bambino di regredire nella magica ed edonistica situazione garantita dal seno materno; ma dall’altro lato dobbiamo considerare gli elementi del gesto: unghie mangiate dai denti. Entrambi simboli e sopravvivenze di arcaiche armi che il corpo animale conserva: artigli e zanne. Viene simbolicamente eliminato quanto servirebbe ad aggredire il mondo. L’aggressività, forma di energia che è sostanza di ogni essere vivente, uomo compreso, viene così deviata dal mondo e ritorta contro se stessi in quanto letta e sperimentata in un suo solo lato, quello negativista, seppure a due livelli: quello concretistico e primordiale della violenza fisica a livello filogenetico (memoria e imprinting di specie) e quello della disconferma anche psicologica a livello ontogenetico (memoria ed imprinting di storia personale). Il persistere di questo piccolo grande rituale segnala allora che anche da grandi persiste nell'inconscio del soggetto un conflitto irrisolto rispetto alla gestione dell’aggressività. Ed essa resta inaccettabile perché ancorata e coincidente con l’esperienza di scontro mortale. La relazione che il soggetto ha interiorizzato e sui cui binari conduce la qualità di ogni sua relazione reale è nevrotica perché basata sui ruoli unilaterali forte-debole, governante-governato, ecc. E a chi non riconosce legittima la propria aggressività resta sempre e solo il copione del bisognoso. Però siccome nessun essere umano può accettare un solo lato, essendo egli portatore dell'unione di opposti, è proprio il più debole che svilupperà aggressività sempre più forte quanto meno accettabile dallo stesso soggetto che la esprime. E chi si mangia le unghie ha da tempo deciso che l’aggressività è cattiva. Non stupiamoci dunque se proprio tra questi piccoli divoratori, troviamo esempi notevoli di aggressività manifesta. In realtà l’aggressività è un lato dell’amore. Non c’è amore vero senza aggressività così come non c’è vita vera se non si accetta anche quotidianamente di morire, simbolicamente s’intende. Il superamento del sintomo è subordinato solo alla presa in carico coscienziale da parte del soggetto di ciò che esso sintomo svela mentre cela e viceversa. Il soggetto può farsi responsabile del profondo significato trasformativo del sintomo solo se riesce a passare da una logica di contrapposizione ad un modo di pensare dialettico dove è prevista, come parte integrante della vita e del pensiero, l’accettazione della conflittualità quale fondamento ontologico dell’esistente: per restare nell’ambito della dimensione affettiva di cui stiamo trattando un esempio è l’amore che si fa esperienza matura e piena solo quando il soggetto può reggere in sé la convivenza di due opposti sentimenti per la stessa persona: attrazione e rifiuto. Amore per ciò che in lei è amabile, rifiuto per ciò che in lei non è avvertito come amabile. Poiché ogni essere umano porta in sé entrambi i lati, un amore davvero maturo saprà trovare posto e parola per entrambi gli aspetti. Insomma occorre giungere a riconoscere in noi stessi ciò che la vita continuamente ci mostra: la duplicità di ogni aspetto. Tale riconoscimento sancirebbe l’uscita dal pensiero infantile che divide facilmente il bene dal male, il giusto dall’errore, la pace dalla guerra ecc. e permetterebbe al soggetto l’avvio di un lavoro di rielaborazione del destino e della storia dell’aggressività così come egli l’ha fin qui conosciuta e sperimentata. Come tutti i lati della vita affettiva, essa è presente in noi su tutti i gradini di evoluzione. Sul primo scalino essa provoca paura mortale. Sull'ultimo scalino è determinazione virile ad esercitare la funzione creatrice del mondo. E qui subentra l’altra parola chiave: la pericolosità di ogni soggetto umano rispetto all’esistente. Ogni vita è turbamento ed ogni vita turba. Dunque sconvolge, porta differenza, cambia lo stato delle cose. E ciò ha in sé necessariamente un gradiente di violenza.
  
Come affrontare il disagio
L’onicofagia è l’espressione di un disagio psicologico. Quella del mangiarsi le unghie è un’abitudine che in genere interessa i bambini o i ragazzi, ma che a volte si riscontra anche nell’età adulta. Si tratta di una manifestazione emotiva applicata al corpo, che di solito è correlata alla richiesta del bambino di una maggiore attenzione da parte dei genitori.
L’onicofagia può essere ricondotta a tensioni che interessano l’ambito familiare. Naturalmente si va dai semplici disagi che possono essere legati ai consueti eventi della vita familiare a situazioni molto stressanti che sottopongono il bambino ad una pressione emotiva eccessiva, come per esempio le continue liti dei genitori. In ogni caso l’onicofagia è la spia di un disagio che merita di essere indagato, in nome di un’adeguata cura della salute mentale.

La reazione allo stress dipende dalla corteccia. Non tutti quindi reagiamo allo stesso modo agli eventi pressanti. L’onicofagia può essere un modo per scaricare lo stress e l’ansia. Di solito l’onicofagia tende a risolversi spontaneamente o a ripresentarsi in corrispondenza di situazioni di stress. Il punto centrale della questione risiede nel come utilizzare lo stress a nostro vantaggio. Un’adeguata gestione dello stress d’altronde può essere conseguita tramite un consulto con un esperto.

Per questo, specialmente quando l’onicofagia non si risolve, causando anche dei danni ingenti alla dita, è bene rivolgersi ad uno psicologo, per comprendere le ragioni della manifestazione dell’aggressività del bambino. La pratica di uno sport può servire ad esempio ad indirizzare l’aggressività del bambino verso altri canali di scarico. In ogni caso mai adottare sistemi basati sul rimprovero o sul fare vergognare il bambino, perché tutto ciò non farebbe altro che fare aumentare la sua ansia.