SPORTELLO DI ASCOLTO PSICOLOGICO GRATUITO

SPORTELLO DI  ASCOLTO PSICOLOGICO GRATUITO
SPORTELLO DI ASCOLTO PSICOLOGICO GRATUITO: Ascolto telefonico e telematico per prevenire/sostenere disagi psicologici Inoltre: prima consultazione in sede gratuita Mail: donatella.ghisu@yahoo.it /telefono: 392 5543431

D.ssa Donatella Ghisu

Psicologa, Counsellor Psicologico e Socio-educativo, Anali Transazionale, Specialista in Psicoterapia Breve Strategica, Psicopedagogista, Specialista in: Disturbi alcol correlati, Chil Abuse, Psicologia forense, Disturbi dell'Apprendimento e del Comportamento, Trainer EMDR. Mi occupo di coppie, adolescenti ed adulti a livello individuale e di gruppo. Sostegno alla genitorialità, agli insegnanti nonché alle aziende pubbliche e private.

giovedì 31 marzo 2011

Quando l'amore diventa violenza: lo STALKING


Il termine stalking deriva dall’inglese “to stalk” che vuol dire inseguire, appostarsi durante la caccia, ed è utilizzato per indicare una sistematica violazione della libertà personale. Comprende un vasto campionario comportamentale che va dalle telefonate, lettere anonime, sms, pedinamenti ossessivi, inseguimenti ecc. La modalità più diffusa è la telefonata, ma sono in aumento anche gli sms e il cyberstalking ovvero attraverso le chat
CHI È LO STALKER: Può essere qualcuno che conosciamo bene come un ex partner, o che abbiamo conosciuto occasionalmente come un vicino di casa o uno sconosciuto magari incontrato al supermercato.
LE MOTIVAZIONI DELLO STALKER: lo stalker ha desiderio di avvicinare una persona da cui si sente ossessionato, vuole recuperare il partner perso, vuole cominciare una nuova relazione, vuole vendicarsi. Sperimenta un forte bisogno di relazionarsi, è immaturo emotivamente, egocentrico, sente una forte esigenza di riconoscimento e attenzione, spesso è preda dei suoi impulsi.
Alcuni studi compiuti su questo fenomeno (Mullen P. E. & al., 2000) hanno distinto due categorie di comportamenti attraverso i quali si può attuare lo stalking: La prima tipologia comprende le comunicazioni intrusive, che includono tutti i comportamenti con scopo di trasmettere messaggi sulle proprie emozioni, sui bisogni, sugli impulsi, sui desideri o sulle intenzioni, sia relativi a stati affettivi amorosi che a vissuti di odio, rancore o vendetta. I metodi di persecuzione adottati, di conseguenza, sono forme di comunicazione con l’ausilio di strumenti come telefono, lettere, sms, e-mail o perfino graffiti o murales. Il secondo tipo di comportamenti di stalking è costituito dai contatti, che possono essere attuati sia attraverso comportamenti di controllo diretto, quali ad esempio pedinare o sorvegliare, che mediante comportamenti di confronto diretto, quali visite sotto casa o sul posto di lavoro, minacce o aggressioni. Generalmente non si ritrovano due tipologie separate “pure” di stalkers, ma molestie in forme miste in cui alla prima tipologia, in genere segue la seconda specie di azioni.
A tal proposito, sono particolarmente importanti tre caratteristiche di una molestia perché si possa parlare di “stalking”:
1. l’attore della molestia, lo stalker, agisce nei confronti di una persona che è designata come vittima in virtù di un investimento ideo-affettivo, basato su una situazione relazionale reale oppure parzialmente o totalmente immaginata
2. lo stalking si manifesta attraverso una serie di comportamenti basati sulla comunicazione e/o sul contatto, ma in ogni caso connotati dalla ripetizione, insistenza e intrusività;
3. la pressione psicologica legata alla “coazione” comportamentale dello stalker e al terrorismo psicologico effettuato, pongono la vittima, definita stalking victim, in uno stato di allerta, di emergenza e di stress psicologico. Questi vissuti emotivamente forti possono essere legati sia alla percezione dei comportamenti persecutori come sgraditi, intrusivi e fastidiosi, che alla preoccupazione e all’angoscia derivanti dalla paura per la propria incolumità.
Una ricerca australiana del 2001 ha identificato 5 tipologie di stalker: Il risentito, il respinto, il bisognoso di affetto, il corteggiatore incompetente e il predatore.
Il risentito: Agisce spinto dal desiderio di vendetta per un torto che ritiene di aver subito. Si tratta di una categoria piuttosto pericolosa che può ledere prima l’immagine della persona e poi la persona stessa. Il problema più grave è legato alla scarsa analisi della realtà: perché il risentimento fa considerare giustificati i propri comportamenti che, producendo sensazioni di controllo sulla realtà, tendono a loro volta a rinforzarli.
Il respinto:  è un persecutore che diventa tale in reazione ad un rifiuto. È in genere un ex che mira a ristabilire la relazione oppure a vendicarsi per l’abbandono. Spesso oscilla tra i due desideri, manifestando comportamenti estremamente duraturi nel tempo che non si lasciano intimorire dalle reazioni negative manifestate dalla vittima: la persecuzione infatti rappresenta comunque una forma di relazione che rassicura rispetto alla perdita totale, percepita come intollerabile. Nella psicologia di questo tipo di “inseguitore assillante” gioca un ruolo cruciale il modello di attaccamento sviluppato che è una delle forme di tipo insicuro, in grado di scatenare angosce legate all’abbandono che creano una tendenza interiore, più o meno consapevole, a considerare l’assenza dell’altro come una minaccia di annientamento e di annullamento del Sé.
Il bisognoso di affetto: è in cerca di un rapporto intimo di qualsiasi tipo, materno, romantico, amichevole, con un partner idealizzato. La vittima in genere viene considerata, per via di una generalizzazione a partire da una o più caratteristiche osservate anche superficialmente, vicina al “partner o amico/a ideale”, una persona che si ritiene possa aiutare, attraverso la relazione desiderata, a risolvere la propria mancanza di amore o affetto. Spesso il rifiuto dell’altro viene negato e reinterpretato sviluppando la convinzione che egli abbia bisogno di sbloccarsi e superare qualche difficoltà psicologica o concreta. Questa categoria include anche la forma definita “delirio erotomane”, in cui il bisogno di affetto viene erotizzato e lo/la stalker tende a leggere nelle risposte della vittima un desiderio a cui lei/lui resiste. L’idea di un rifiuto, vissuto come un’intollerabile attacco all’Io, viene respinta con grande energia e strutturando un’alta difesa basata sull’allontanamento della percezione reale dell’altro, delle sue reazioni e della relazione reale che viene sostituita da quella immaginaria.
Il corteggiatore incompetente: il suo  comportamento è alimentato dalla sua scarsa o inesistente competenza relazionale che si traduce in comportamenti opprimenti, espliciti e, quando non riesce a raggiungere i risultati sperati, anche aggressivi e villani. Questo tipo di molestatore è generalmente meno resistente nel tempo nel perseguire la persecuzione della stessa vittima, ma tende a riproporre i propri schemi comportamentali cambiando persona da molestare.
Il predatore: ha un unico scopo: il rapporto sessuale con la vittima. Egli prova soddisfazione e una sensazione di potenza nell’osservarla di nascosto e nel pianificare l’agguato, la vittima rappresenta infatti un oggetto compensatorio di carenze personali, affettive e sociali. La paura, infatti, eccita questo tipo di stalker che prova un senso di potere nell’organizzare l’assalto. Questo genere di stalking può colpire anche bambini e può essere agito anche da persone con disturbi nella sfera sessuale, quali pedofili o feticisti.
Non tutti gli stalkers sono malati o affetti da una patologia psichiatrica, il loro problema principale è da cercare nella difficoltà che incontrano nel rapportarsi con gli altri, l’unica modalità che conoscono è l’imposizione violenta e aggressiva sull’altro e l’invasione della vita privata altrui.
In Italia solo recentemente lo stalking viene considerato reato ed è perseguibile con la reclusione, la polizia interviene solo se ci sono minacce di morte o lesioni alla persona, per questo a volte purtroppo si interviene troppo tardi, il limite tra una condotta accettabile e un a ossessiva è davvero sottile e spesso soggettivo. Infatti per alcune persone dieci telefonate al giorno sono normali.
COSA FARE:  Dal momento che non tutte le situazioni di stalking sono uguali, non è possibile generalizzare facilmente delle modalità comportamentali di difesa che devono essere adattate alle circostanze e alle diverse tipologie di persecutori. Esistono tuttavia alcune regole utili: Innanzitutto, inutile negare il problema. Spesso, dal momento che nessuno vuole considerarsi una “vittima”, si tende a evitare di riconoscersi in pericolo, finendo per sottovalutare il rischio e aiutando così lo stalker. Il primo passo è allora sempre quello di riconoscere il problema e di adottare delle precauzioni maggiori. Occorre informarsi sull’argomento e comprendere i rischi reali, seguendo dei comportamenti volti a scoraggiare, quando è possibile, gli atti di molestia assillante.
Se la molestia consiste nella richiesta di iniziare o ristabilire una relazione indesiderata, è necessario essere fermi nel “dire di no” una sola volta e in modo chiaro. Altri sforzi di convincere il proprio persecutore insistente, comprese improvvisate interpretazioni psicologiche che lo/la additano come bisognoso di aiuto e di cure, saranno lette come reazioni ai suoi comportamenti e quindi rappresenteranno dei rinforzi, in quanto attenzioni. Anche la restituzione di un regalo non gradito, una telefonata di rabbia o una risposta negativa ad una lettera sono segnali di attenzione che rinforzano lo stalking.
Comportamenti molto efficaci per difendersi dal rischio di aggressioni sono quelli prudenti in cui si esce senza seguire abitudini routinarie e prevedibili, in orari maggiormente affollati e in luoghi non isolati, magari adottando un cane addestrato alla difesa, un modo che si è rivelato molto utile sia come concreta difesa che per aumentare la sensazione di sicurezza.
Se le molestie sono telefoniche, non cambiare numero. Anche in questo caso, le frustrazioni aumenterebbero la motivazione allo stalking. È meglio cercare di ottenere una seconda linea, lasciando che la vecchia linea diventi quella su cui il molestatore può continuare a telefonare, magari mentre azzerate la suoneria e rispondete gradualmente sempre meno.
Per produrre prove della molestia alla polizia, non lasciarsi prendere dalla rabbia o dalla paura e raccogliere più dati possibili sui fastidi subiti.
È utile mantenere sempre a portata di mano un cellulare in più per chiamare in caso di emergenza. Se si pensa di essere in pericolo o seguiti, non andare mai di corsa a casa o da un amico, ma recarsi dalle forze dell’ordine.
LE CONSEGUENZE DELLO STALKING: Purtroppo  molto spesso, i comportamenti di stalking possono essere protratti a lungo con conseguenze psicologiche negative principalmente per la vittima.Quest’ultima, per quanto possa essere breve il periodo in cui viene perseguitata, rischia di conservare a lungo delle vere e proprie ferite. Le conseguenze dello stalking infatti,  sono spesso diverse e si trascinano per molto tempo cronicizzandosi. In base al tipo di atti subiti e alle emozioni sperimentate possono determinarsi stati d’ansia e problemi di insonnia o incubi, ma anche flashback e veri e propri quadri di Disturbo Post Traumatico da Stress.
Si può parlare di stalking quando la persona subisce almeno una decina di comportamenti molesti nell’arco di un mese, ma non dimentichiamo che quello che nasce come un gesto di amore o cortesia può presto divenire un atto persecutorio.

venerdì 25 marzo 2011

Balance 1989: Una eccellente animazione che traccia il delicato equilibrio di ogni società. By Wolfgang e Christoph Lauenstein

I bambini vedono e fanno: il processo di copia

ADELE 'Rolling In The Deep' (Studio Footage)

Gli stili di attaccamento dei bambini



La personalità, o “lo stile d’attaccamento”, emerge dalla matrice delle interazioni tra il bambino e chi si occupa della sua cura nei primi mesi e nei primi anni di vita. Ciò che comincia come interazione viene poi internalizzato come personalità. È dunque da non trascurare il fatto che lo sviluppo della personalità ha da essere considerato in termini di influenza ambientale piuttosto che in termini di istinto o di patrimonio genetico. Pertanto, differenti pattern di attaccamento sono il risultato di differenti pattern di interazione, non già il riflesso del temperamento del bambino o dell’istinto.
I bambini e le bambine, possono essere indolenti o attivi/e, “coccoloni/e” o non coccoloni/e, lenti/e o rapidi/e, e tuttavia essere tutti classificati come sicuri. I bambini hanno differenti pattern di attaccamento coi loro due genitori e possono essere classificati sicuri con uno e insicuri con l’altro. Perciò i pattern di attaccamento sono caratteristiche della “relazione” genitore-bambino, non ancora internalizzati all’età di un anno, sebbene a 18 mesi diventino più stabili (tali pattern) con quelli materni che dominano su quelli paterni.
Le madri dei bambini di un anno con attaccamento sicuro sono “sensibili e comprensive” verso i loro bambini; quelle dei bambini con attaccamento insicuro-ambivalente sono “sensibili e comprensive” ma in modo “non costante”.
La chiave dell’attaccamento sicuro è l’interazione attiva e reciproca e, dunque, la qualità dell’interazione stessa piuttosto che la quantità. Il solo contatto passivo non promuove necessariamente l’attaccamento. Molti bambini sono infatti fortemente attaccati ai propri padri anche se passano relativamente poco tempo con loro e i bambini cresciuti negli istituti sono più fortemente attaccati alle loro madri rispetto alle bambinaie che li nutrono e li seguono durante il giorno con le quali spesso manca un’interazione attiva. Nei primi tre mesi le madri di bambini sicuri rispondono più prontamente quanto essi piangono; queste guardano, sorridono e parlano più ai loro bambini e offrono loro un holding più affettuoso e gioioso.
Le madri dei bambini evitanti tendono a interagire di meno e in modo più funzionale nei primi tre mesi, mentre le madri degli ambivalenti tendono a ignorare i segnali dei loro bambini che richiedono attenzione e tendono a essere generalmente imprevedibili nella loro risposta. Nella seconda parte del primo anno si possono osservare evidenti differenze tra i bambini e quelli che saranno classificati come “sicuri” piangono di meno degli insicuri e si godono di più il contatto corporeo e paiono chiederlo di meno.
Le madri sensibili quando interagiscono coi loro bambini modulano i ritmi dei loro piccoli in modo che quando il livello di attività cade e il bambino sembra annoiato, la madre lo stimola, quando diviene sovraeccitato la madre si ritrae un poco in modo da ristabilire l’equilibrio. Nella “sintonizzazione intermodale” la madre segue il parlottio, lo calciare e il saltellare del bambino con suoni e movimenti che si accordano e armonizzano con quelli del bambino. Mentre il piccolo salta su e giù, lei può dire: <<Ooooooh… Aaaaah…>>, sincronizzando il tempo e l’ampiezza delle sue risposte coi movimenti del bambino. Ciò aiuta il bambino a sviluppare il senso di integrazione del Sé. Tali processi di sintonizzazione sono ostacolati nelle madri di bambini attaccati in modo insicuro e conducono al “deragliamento” o alla non sincronizzazione della risposta materna: in tal modo le madri di bambini con attaccamento ambivalente si sforzano di giocare col bambino che sta già giocando felicemente o lo ignorano quando ha dei problemi.
Si propone un modello nel quale sono suddivisi le componenti dei pattern d’interazione madre-bambino nell’attaccamento sicuro in quattro caratteristiche principali: 1) sincronia (sintonia temporale); 2) simmetria (armonizzazione delle azioni); 3) contingenza (darsi reciprocamente il segnale d’inizio); 4) “trascinamento” (catturare le risposte dell’altro in una sequenza di attività reciproca). Su tale base emerge poi il gioco e la successiva autonomia infantile.
L’attaccamento insicuro è il risultato dell’intrusività o di insufficienti risposte sensibili. Il alcuni esperimenti nei quali il bambino viene posto per pochi momenti alla presenza di un’immagine immobile della madre alla quale è proibito di prendere in braccio il bambino o rispondere ad esso, il bambino mostra disappunto e strategie di avversione nello sguardo e di auto consolazione che corrispondono a quelle osservabili in madri clinicamente depresse.
L’aggressività, inoltre, è una elle principali componenti della risposta iniziale alla minaccia di separazione. Qui ambedue i pattern di attaccamento insicuro possono esser compresi riguardo all’interscambio tra il bisogno di attaccamento e la risposta aggressiva alla minaccia di separazione. Il bambino con attaccamento ambivalente mostra un’aggressività aperta verso la madre incostante che lo abbraccia appena al suo riaccostarsi al bambino dopo averlo lasciato solo per un certo periodo di tempo anche se breve: ma come può saperlo un bambino di un anno che il tempo è così breve? È come se lui le dicesse: <<Non osare farlo mai più!>>,  ma allo stesso tempo si aggrappasse a lei dato che sa per esperienza che lo rifarà. I bambini con attaccamento evitante, invece, mostrano poca aggressività aperta al ritorno della madre, sebbene mostrino molto spesso esplosioni di aggressività ingiustificata in altri momenti. La risposta evitante può essere un modo di tenere a bada l’aggressività stessa e così pacificare la madre alla quale il bambino ha disperatamente bisogno di sentirsi vicino, ma che egli teme lo rimproveri se rivela troppo apertamente i suoi bisogni, oppure se le mostra quanta rabbia egli senta per esser stato abbandonato.

giovedì 24 marzo 2011

STALKING: “La Sindrome del molestatore assillante”



E’ possibile indicare genericamente con il termine stalking un insieme di comportamenti, ad es. molestie, minacce, pedinamenti, telefonate indesiderate, ripetute lettere, plurimi messaggi nella posta elettronica ecc.) ripetuti ed intrusivi comportamenti di sorveglianza e di controllo, di ricerca di contatto e comunicazione che una persona compie nei confronti di una «vittima» che risulta infastidita e/o preoccupata da tali attenzioni e comportamenti non graditi.

Si tratta quindi di una condotta riferibile ad un modello di comportamento e non invece alle motivazioni ed agli effetti che tale comportamento persegue ed ottiene. Sebbene si tratti di un fenomeno che ha iniziato ad interessare gli psichiatri ed i medici forensi intorno alla prima metà degli anni novanta,sia in ambito internazionale che nazionale, a tutt’oggi è spesso ancora celato dalle stesse vittime, mentre è oggetto di studio principalmente da parte di sociologi,medici legali e psichiatri forensi, oltre che delle forze dell’ordine.

Lo stalking è un comportamento caratterizzato da ripetuti e assillanti comportamenti caratterizzati da persecuzione, molestie, minacce, aggressione verso  una persona (non consenziente) (Krammer e coll. 2007). I comportamenti dello stalker sono caratterizzati da  reiterazione sgradita  di: pedinamento, violazione spazio di vita, ricerca di contatto, accesso, dialogo, intimità con violazione privacy, controllo, minacce. Caratteristiche le molestie telefoniche, telematiche o dirette, con costante intrusione nell’ambiente.
Il termine stalking deriva originariamente dal linguaggio tecnico della caccia ed in italiano si può tradurre con la locuzione “fare la posta” o come “braccatura”.
In realtà, nell’ultimo secolo, l’accezione si è sempre più estesa verso il senso figurato e familiare del termine, intendendo il verbo “to stalk” come assillare, inseguire, molestare, braccare, ricercare, ma anche in senso più lato seccare, disturbare, perseguitare, fare qualcosa di nascosto cioè coperto da qualcuno o qualcosa.
Benché in letteratura non esista un’univoca definizione di stalking nel corso degli anni se ne sono succedute molteplici tra cui quella di Meloy e Gothard nel 1995 che lo definivano come l’ostinato, malevolo, ripetitivo ed opprimente inseguimento di un’altra persona con minaccia della sua sicurezza. Gli stessi Autori nella definizione clinica segnalavano la presenza di un atto manifesto non desiderato dalla vittima e percepito da questa come molesto.
Nel 1997 Pathè e Mullen adottavano, invece, la definizione di un insieme di diversi comportamenti con cui un soggetto impone ad un altro ripetute intrusioni e comunicazioni quali il pedinare, il sorvegliare, il sostare nelle vicinanze o tentare approcci con la vittima, mentre per comunicazioni si intendono l’invio di lettere e-mail, l’effettuare telefonate e lasciare messaggi.

Nel 1998 Meoly indicava come stalking la «persecuzione e molestia voluta, ripetuta e malintenzionata, perpetrata nei confronti di una persona che sente così minacciata la sua sicurezza personale.
Sempre nel 1998 Tjaden e Thoennes definirono lo stalking come un insieme di condotte dirette verso una precisa persona che implica un avvicinamento visivo o fisico, una comunicazione senza consenso, minacce o verbali o scritte o implicite, o una combinazione di esse, che comporta una ragionevole paura nella persona per messaggi ripetuti in due o più occasioni.

Sempre nel 1998 in America veniva promulgata una legge specifica, la «Model Antistalking Law», che indicava come stalli un insieme di comportamenti che comprendevano un avvicinamento fisico ripetuto e/o minacce continue, che si erano verificati per almeno due volte, includevano minacce esplicite o implicite nei confronti della vittima, che erano rivolte verso una persona o i membri della sua famiglia e che causavano alla vittima ed ai suoi familiari intensi sentimenti di angoscia,paura o ansia.
In Italia, nel 2001, Galeazzi e Curci introdussero il concetto di sindrome dalle molestie assillanti» intendendo con queste un insieme di comportamenti ripetuti ed intrusivi di sorveglianza e controllo, di ricerca di contatto e di comunicazione nei confronti di una vittima che risulta infastidita e/o allarmata da tali attenzioni e comportamenti»; si tratta in sostanza di un quadro sintomatico che rimanda ad una patologia della comunicazione e della relazione,quadro che,dunque, mette al centro dell’attenzione la relazione molestatore-vittima.
 Il fenomeno appare sottostimato  in letteratura per vari motivi fra cui: una ridotta segnalazione data la presenza di condotte di per sé stesse innocue e non oggettivamente illecite o dannose; un comprensibile senso di pudore o riservatezza (dal momento che i predetti comportamenti hanno luogo nel corso di una qualche relazione personale già conclusa); un sentimento di paura o sfiducia per le concrete difficoltà di affrontare e risolvere la campagna di molestie.
Nei molteplici studi eseguiti in tema di stalking sono stati delineati gli elementi costitutivi dello stesso.
Nella sindrome del molestatore assillante è, infatti, possibile distinguere: 1) un attore ovvero il molestatore (stalker), 2) una vittima nei cui confronti lo stalker sviluppa un’intensa polarizzazione ideo-affettiva e verso cui mette in atto una serie ripetuta di comportamenti tesi alla sorveglianza e/o comunicazione e/o ricerca di contatto.

In sintesi dunque :

I comportamenti associati allo Stalking sono:
-          minacce  con  passaggio all'atto (aggressione, stupro, tentativo di sottrazione minore, omicidio;
-          danneggiamento dei beni (auto, casa), furto;
-          furto di identità telematica;
-          controllo con microspie, videoriprese.
Il profilo della vittima è tipicamente:
-          una donna, con storia di vittimizzazione familiare, personalità dipendente, separata – divorziata  Se c' è stato rapporto intimo con lo stalker ha un alto rischio di aggressione /stupro. Altrettanto se isolata socialmente ed economicamente;
-          altre possibili vittime sono gli psichiatri ed operatori sociali e giudiziari
-          sconosciuti, coi quali  lo stalker, ha avuto anche semplici contatti i diverbi e che  prende come vittima;
-          personaggi celebri.
Sinteticamente le conseguenze sulla vittima sono:
-          alterazione stile di vita, angoscia, “helplessness”;
-          costi economici  (danni ai beni, spese legali, costi da perdita /cambio di lavoro, trasferimento, ecc.);
-          perdita di aspettativa affettiva verso il  futuro;
-          rischio per incolumità;
-          angoscia per i figli – conseguenze anche su di loro;
-          PTSD (disturbo da stress post traumatico);
-          Disturbi d’ansia e dell’umore,
Le conseguenze nello specifico dello Stalking
Purtroppo spesso, soprattutto per via di norme giuridiche che limitavano gli interventi di prevenzione delle situazioni di emergenza, i comportamenti di stalking possono essere protratti a lungo con conseguenze psicologiche negative principalmente per la vittima, ma anche per chi lo agisce e, talvolta, per chi lo osserva. La vittima, per quanto possa essere breve il periodo in cui viene perseguitata, rischia di conservare a lungo delle vere e proprie ferite. Le conseguenze dello stalking infatti, per chi lo subisce, sono spesso diverse e si trascinano per molto tempo cronicizzandosi. In base al tipo di atti subiti e alle emozioni sperimentate possono determinarsi stati d’ansia e problemi di insonnia o incubi, ma anche flashback e veri e propri quadri di Disturbo Post Traumatico da Stress. Lo stalker che agisce compulsivamente tende a seguire i propri bisogni e a negare la realtà, danneggiando progressivamente la propria salute mentale e la qualità della propria vita sociale che si deteriorano sempre di più, via via che la persecuzione si protrae nel tempo. Il pubblico degli episodi di stalking può essere il ristretto pubblico familiare che, identificandosi empaticamente alla vittima, può sviluppare preoccupazioni per la persona cara o forme vicarie di paura ed ansia. Ma il pubblico in senso ampio, grazie all’importante ruolo dei mass media, è la società, in cui l’esempio della violazione della privacy tollerata può rappresentare un modello comportamentale che alimenta le possibilità di nuovi fenomeni, anche perché quelli agiti spesso vengono spiegati (e parzialmente giustificati) sulla base di “possibili raptus” o di “eccessi di amore”.

Profilo dell’autore
In genere trattasi di un uomo che ha avuto pregresso rapporto con la vittima ( maggior  rischio se intimo). Ha una storia di persecuzione e/o violenza vs terzi, che spesso viene da famiglia con padre violento o controllante. In genere è socialmente incompetente e solo.
Tipologie di Stalker (socio – situazionali)
La coazione che connota il comportamento di stalking, e che permette di delinearlo anche giuridicamente, ha fatto ipotizzare che tale problema fosse una forma di “disturbo ossessivo”. Tuttavia, come è stato osservato, i disturbi psicopatologici ossessivi sono connotati da vissuti egodistonici relativi ai comportamenti attuati e, conseguentemente, da un malessere provocato dalle idee, dai pensieri, dalle immagini mentali e dagli impulsi ossessivi legati alla persecuzione. Questi vissuti di disagio e di intrusione in realtà non risultano presenti in genere negli stalkers che, al contrario, tendono perfino a trarre piacere dal perseguitare.
È molto importante sottolineare altresì che lo stalking non è un fenomeno omogeneo; pertanto, risulta difficile fare rientrare i molestatori assillanti in una categoria diagnostica precisa o identificare sempre la presenza di una vera e propria patologia mentale di riferimento. Gli stalkers non sono sempre persone con un disturbo mentale e, anche se esistono alcune forme di persecuzione che sono agite nel contesto di un quadro psicopatologico, questa non è una condizione sempre presente così come non esiste sempre un abuso di sostanze associato al comportamento stalkizzante.
Ciò che è importante comprendere è che dietro a comportamenti di molestia simili possono celarsi motivazioni anche molto differenti tra loro. A questa conclusione si è giunti in seguito a studi che hanno esaminato il profilo psicologico di numerosi stalkers e, sulla scorta dei quali, si è giunti ad individuare cinque tipologie di stalkers , distinti in base ai bisogni e desideri che fanno da motore motivazionale (Mullen et al., 1999).
  1. Una prima tipologia di molestatore insistente è stata definita “il risentito” o “Rancoroso” (frustrati, soli, rivendicativi, rifiutati dalla vittima in contatto anche casuale . Il suo comportamento è sospinto dal desiderio di vendicarsi di un danno o di un torto che ritiene di aver subito ed è quindi alimentato dalla ricerca di vendetta. Si tratta di una categoria piuttosto pericolosa che può ledere prima l’immagine della persona e poi la persona stessa. Il problema più grave è legato alla s carsa analisi della realtà: perché il risentimento fa considerare giustificati i propri comportamenti che, producendo sensazioni di controllo sulla realtà, tendono a loro volta a rinforzarli.
  2. La seconda tipologia di stalker è stata denominata “il bisognoso d’affetto” , una tipologia che è motivata dalla ricerca di una relazione e di attenzioni che possono riguardare l’amicizia o l’amore. La vittima in genere viene considerata, per via di una generalizzazione a partire da una o più caratteristiche osservate anche superficialmente, vicina al “partner o amico/a ideale”, una persona che si ritiene possa aiutare, attraverso la relazione desiderata, a risolvere la propria mancanza di amore o affetto. Spesso il rifiuto dell’altro viene negato e reinterpretato sviluppando la convinzione che egli abbia bisogno di sbloccarsi e superare qualche difficoltà psicologica o concreta. Questa categoria include anche la forma definita “delirio erotomane”, in cui il bisogno di affetto viene erotizzato e lo/la stalker tende a leggere nelle risposte della vittima un desiderio a cui lei/lui resiste. L’idea di un rifiuto, vissuto come un’intollerabile attacco all’Io, viene respinta con grande energia e strutturando un’alta difesa basata sull’allontanamento della percezione reale dell’altro, delle sue reazioni e della relazione reale che viene sostituita da quella immaginaria.
  3. Una terza tipologia di persecutore è quella definita “il corteggiatore incompetente o inadeguato ” o “infatuato” , che tiene un comportamento alimentato dalla sua scarsa o inesistente competenza relazionale che si traduce in comportamenti opprimenti, espliciti e, quando non riesce a raggiungere i risultati sperati, anche aggressivi e villani. Questo tipo di molestatore è generalmente meno resistente nel tempo nel perseguire la persecuzione della stessa vittima, ma tende a riproporre i propri schemi comportamentali cambiando persona da molestare 6  
  4. Esiste poi “il respinto” , un persecutore che diventa tale in reazione ad un rifiuto. È in genere un ex che mira a ristabilire la relazione oppure a vendicarsi per l’abbandono. Spesso oscilla tra i due desideri, manifestando comportamenti estremamente duraturi nel tempo che non si lasciano intimorire dalle reazioni negative manifestate dalla vittima: la persecuzione infatti rappresenta comunque una forma di relazione che rassicura rispetto alla perdita totale, percepita come intollerabile. Nella psicologia di questo tipo di “inseguitore assillante” gioca un ruolo cruciale il modello di attaccamento sviluppato che è una delle forme di tipo insicuro, in grado di scatenare angosce legate all’abbandono che creano una tendenza interiore, più o meno consapevole, a considerare l’assenza dell’altro come una minaccia di annientamento e di annullamento del Sé.
5.      Infine, è stata descritta una categoria di stalker definita “il predatore”. E’ costituita da un molestatore che ambisce ad avere rapporti sessuali con una vittima che può essere pedinata, inseguita e spaventata. La paura, infatti, eccita questo tipo di stalker che prova un senso di potere nell’organizzare l’assalto. Questo genere di stalking può colpire anche bambini e può essere agito anche da persone con disturbi nella sfera sessuale, quali pedofili o feticisti.  I “Predatori” sono ad alto rischio violenza, agiscono anche verso sconosciuti  e  sono potenziali criminali sessuali, con elementi in comune con i serial killers.
Nel 1999 Mullen et al. Distinsero lo stalker in:
a) rifiuto (si oppone alla fine di una relazione intima con azioni finalizzate a ripristinarla);
b) rancoroso ( compie molestie per vendicarsi di un torto che ritiene di aver subito da parte della vittima);
c) predatore (insegue la vittima, nei cui confronti prepara l’attacco, costituito spesso da una violenza sessuale);
d) corteggiatore inadeguato8trattasi del corteggiatore fallito in cerca di patner);
e) cercatore di intimità (aggredisce vittime sconosciute e personaggi celebri di cui è innamorato per istaurare una relazione).
f) Nel 2005 Hege segnalava 3 tipi di stalking rispettivamente quello «emotivo» (Emotional Stalking: trattasi del tipo più comune, perpetrato da ex coniugi, ex fidanzati ,ex amanti, ma anche ex pazienti, ex vicini di casa o ex colleghi:in tutti i casi sussisteva una precedente relazione affettiva interrotta e che non risulta accettata dallo stalker. In questo caso l’interesse che spinge lo stalker può essere sia positivo ovvero un tentativo di riavvicinamento sia negativo ovvero una vendetta; ne conseguono comportamenti ambigui e paradossali come ad esempio le minacce di morte seguite da invio di costosi regali. In questo gruppo rientrano il «Respinto», il «Bisognoso di affetto», il «Corteggiatore incompetente», il «Predatore» quello «delle celebrità». (Star Stalking: trattasi della persecuzione perpetrata ai danni di persone di una certa visibilità come ad esempio personaggi dello spettacolo,della politica ecc., ad opera di sostenitori o invidiosi. In questo gruppo rientrano i «Bisognosi di affetto» ed il «Corteggiatore Incompetente»:entrambi ricercano infatti un rapporto idealizzato, concretamente impossibile. Nel caso di stalker spinti da odio e gelosia si sono verificati casi estremi di ferimento o addirittura omicidio della vittima) e quello «occupazionale» (trattasi di un particolare tipo di stalking che inizia sul posto di lavoro che poi sconfina nella vita privata della vittima, ovvero, la motivazione proviene dal mondo del lavoro dove lo stalker ha realizzato, subito o desiderato una situazione di conflitto o persecuzione. L’interesse nello stalking occupazionale è quasi sempre negativo e lo stalker occupazionale più comunemente rientra nella tipologia del «risentito»).
Nella maggior parte dei casi trattasi di soggetti di sesso maschile che non accettano la fine di un rapporto affettivo; in particolare, è stato segnalato in letteratura che è più probabile che gli uomini stalker agiscano nei confronti di una persona con cui hanno avuto in precedenza una relazione intima. Inoltre, è stato segnalato che quanto più la relazione interrotta era stata lunga e seria, tanto maggiori risultano gli atti posti in essere dello stalker ed in particolare l’approccio scelto è maggiormente quello fisico. Inoltre, si tratta di soggetti di etnia caucasica, di circa 34 anni nel caso di pregresse relazioni intime e di 36 anni e mezzo nel caso di relazioni non intime,con un livello di occupazione inferiore alla vittima prescelta, con una storia affettiva caratterizzata da relazioni intime sfortunate e che solitamente non vive una relazione affettiva al momento della condotta di stalking. Inoltre, è segnalato in letteratura, un pregresso uso di alcol o droghe, pregressi episodi di violenza o maltrattamenti, pregressa diagnosi di malattia mentale o di precedenti penali.

Temi clinici dello Stalker
Narcisismo, psicopatia => Disturbo Personalità di Gruppo II
Attaccamento paranoide  / patologia dell'attaccamento
Parafilia
Psicosi (durata della persecuzione di anni )
S. come “droga endogena”
(Donne stalkers: psicosi, depressione)
Pericolosità dello stalker
Rischio evoluzione in comportamenti associati è massimo in “ s. predatori”
Fattori di rischio:
storia dell'autore e della vittima
pregresse minacce non denunciate
isolamento e vulnerabilità della vittima
Psicopatia
Comportamento pregresso di lunga durata
Effetti intervento / terapia
I provvedimenti di protezione sono utili per bloccare recidiva (quindi: scelta consapevole)
Negli S. psicotici è utile la terapia
Nessuna utilità del trattamento per psicopatici, narcisisti, perversi ( sono egosintonici)
       Sempre pericoloso (salvo psicotico trattato)

Stalking e perizia psichiatrica
Quanto alla sussistenza di sindromi o disturbi psichiatrici tipici degli stalker non risultano sussistere fattispecie. Di fatto alcuni non hanno problematiche psichiatriche altri sì. Egli soffre spesso di una combinazione di disturbi ma lo stalker può anche essere un individuo sano di mente allo stesso modo di tutti coloro che pongono in essere atti illeciti.
Tra le ipotesi patologiche è indicata l’erotomania e il delirio erotomanico, spesso espressioni di un quadro psicotico più complesso; spesso sono presenti disturbi della personalità (in particolare i quadri border-line, paranoidi e narcisistici).
L’ infermità (Vizio parziale o totale di mente)  interessa alcuni  Disturbi della Personalità e Sindromi  psicoticche (“reato – sintomo”).
Ulteriori dati forniti dalla letteratura rilevano tra gli stalkers alti tassi di prevalenza di disturbi di personalità.
Disturbi di personalità borderline, narcisistico e paranoide risultano più frequenti nei molestatori motivati da “vendetta”. Si segnalano anche casi con disturbo di personalità NAS. Schizofrenia, disturbo delirante (tipo erotomanico e di persecuzione), disturbo bipolare – soprattutto nella fase maniacale – configurano ulteriori quadri psicopatologici associati al comportamento dei molestatori assillanti, tra i quali, peraltro,
sembra esistere un alto tasso di abuso e dipendenza da sostanze.
Altre informazioni utili:

Quanto all’età della vittima nel 1998 Tjaden et al. Identificavano nei giovani adulti compresi nella fascia di età fra i 18 ed i 29 anni, l’obiettivo primario dello stalker; nel 1999 palarea et al. Segnalavano che l’età media della vittima di stalking è di 32. 3 anni nei casi di persone che avevano/hanno avuto una relazione no Gli atti che costituiscono lo stalking sono comportamenti solitamente accettati socialmente e considerati normali, ma che nel caso dello stalking si caratterizzano per invadenza e persistenza nel tempo, causando effetti psicologici sulla vittima e rischio di violenza associato:lo stalker,infatti, agisce con minacce esplicite ed atti di violenza a cose e persone, anche se la maggior parte degli stalker non è violenta.
Tra i predetti atti- comportamenti- sono ricompresi: l’invio ripetuto di regali,gfiori,telefonate assillanti o solo squilli, posta assillante e disturbante (bigliettini, lettere, messaggi fax), il pedinamento cibernetico (con ripetuto invio di e-mail ma anche messaggi di messaggeria istantanea sms), gli appostamenti, i frequenti incontri(apparentemente casuali,ma in realtà voluti e ricercati) sul luogo di lavoro della vittima o nelle vicinanze di esso o nei pressi dell’abitazione, gli atti vandalici nella casa o dei beni di proprietà della vittima (come ad esempio il danneggiamento dell’automobile), l’appropriazione della sua posta, l’osservazione della vittima da lontano o il furto di suoi oggetti. Va sottolineato che non esiste un comportamento o una serie di comportamenti sempre presenti nello stalking.

E’ dunque, se non ogni attenzione indesiderata va interpretata quale atto di stalking e neanche ogni atto persecutorio o molesto, ne consegue che risulta estremamente difficile individuare il momento preciso in cui è possibile identificare il fenomeno come tale.

Perciò, in ogni caso d’ipotetico stalking occorrerà prestare attenzione a tutte le condotte dell’asserita vittima, in particolare alla ripetitività dell’atto subito ed al suo perdurare nonché all’esistenza di una precedente relazione tra molestatore e vittima.
Quanto al numeros minimo di eventi molesti necessari ed all’arco di tempo in cui questi si devono sviluppare per qualificare come stalking una determinata condotta ripetitiva,tra gli studiosi non sussiste accordo.

Su quanto possa durare il periodo in cui la vittima patisce lo stalking, in letteratura è indicato un lasso di tempo variabile; Hall, nel 1998, indicava un periodo compreso tra 1 e 3 anni, mentre i dati della NVAW Survey (National Violence Against Women Survey) segnalavano una durata fino a un anno con un periodo significativamente maggiore nei casi di stalking coinvolgenti persone che avevano una relazione intimas; Aramini segnalava una durata variabile fra 3 settimane e 2 anni; Hege segnalava come parametro minimo una durata di tre mesi.

Quanto alla frequenza degli atti a parere di Pathè e Mullen lo stalking si verifica solo se le intrusioni hanno raggiunto una frequenza di almeno dieci episodi nell’arco di quattro settimane; a parere di Hege, invece, le azioni moleste devono avere cadenza almeno settimanale.
Riguardo al tipo di violenza essa può essere sia fisica (uso di qualsiasi atto teso a far male od a spaventare la vittima:può trattarsi di aggressione fisica grave con ferite che richiedono cure mediche, ma anche di un semplice contatto fisico mirante a spaventare ed a rendere la vittima soggetta al controllo dell’aggressore) che psicologica (rappresentata da una serie di atteggiamenti intimidatori, minacciosi,vessatori, con tattiche di isolamento poste in essere mediante ricatti, insulti verbali, colpevolizzazioni pubbliche e private, ridicolizzazioni e svalutazioni continue, denigrazioni ed umiliazioni; di fatto l’aspetto psicologico più grave è l’imprevedibilità dell’aggressione).

I dati riportati in letteratura sono molto controversi: la maggior parte degli stalker non sembrerebbero di indole violenta ed i loro gesti sarebbero per lo più benigni come l’offerta di regali, l’invio di lettere o messaggi lasciati sull’auto o sulla porta di casa, i pedinamenti ecc.; le predette azioni, però, vengono percepite dalla vittima con paura ed è stato osservato che,proprio i ripetuti rifiuti possono portare lo stalker ad assumere comportamenti estremi come minacce esplicite e violenze.
Di fatto, occorre tenere presente, che le azioni dello stalker possono essere percepite in maniera diversa a seconda della vittima ovvero della percezione soggettiva della stessa che risulta direttamente correlata al suo stato culturale:ad esempio un soggetto potrebbe trovare violenta ed intollerabile un’azione che invece un’altra persona potrebbe considerare come una sciocchezza neanche fastidiosa.
Passando ora ad analizzare le caratteristiche della vittima, trattasi nella preponderanza dei casi di soggetti di sesso femminile, con cui lo stalker uomo ha avuto in precedenza una relazione; al contrario, le donne Autrici di stalking per lo più agiscono nei confronti di una vittima con la quale hanno avuto una relazione non intima.n intima.
Secondo uno studio condotto da Hall et al. Nel 1998, e successivamente è confermato anche da altri Autori, si tratterebbe di donne che non hanno una situazione relazionale stabile al momento dello stalking in particolare meno di ¼ delle vittime è sposata o risposata o convivente. Trattasi di donne il cui livello d’istruzione risulta più elevato di quello dello stalker e nella maggior parte dei casi appartenenti alla razza caucasica.

E’ stato segnalato che una pregressa relazione tra stalker e vittima è un fattore discriminante, ovvero, sono più frequenti le minacce verso la vittima,la violenza verso le persone e verso le proprietà e le minacce effettivamente seguite da violenza rispetto ai casi in cui la vittima non è intima; vi è, inoltre, la ricerca da parte dello stalker di un rapporto più fisico con la vittima anche per il fatto di conoscere il suo stile di vita ed i luoghi frequentati;inoltre,i comportamenti di stalking possono essere alimentati da risposte affettive alla dissoluzione della relazione (collera, gelosia, rifiuto, ecc.) che sono più intense se la relazione è intima.

Non è nemmeno escluso che le vittime dello stalker possano essere più persone appartenenti ad un medesimo gruppo familiare:è il caso di persecuzioni e molestie telefoniche perpetrate contro i coniugi e persino contro i figli della coppia da parte di un ex amico di famiglia, innamorato della donna: sono le cosiddette vittime secondarie ovvero vittime coinvolte nelle molestie senza esserne l’oggetto primario.
E’ inoltre segnalata la tipologia di vittime fittizie. Trattasi di stalker con inversione di ruolo o persone affette da deliri persecutori o da disturbi fittizi propriamente detti o di simulatori che, appunto, simulano per ottenere benefici economici o di altro tipo.
Quanto al profilo sociale la vittima può anche essere un personaggio dello spettacolo, oppure un medico (è il caso del paziente che perseguita il proprio terapeuta), o il caso di un infermiere, un perito, un giudice, un assistente sociale, ma anche un vicino di casa.

In sintesi a diventare “molestatore assillante” o “stalker” può essere una persona conosciuta con cui si aveva qualche tipo di relazione o perfino uno sconosciuto con cui ci si è scontrati anche solo per caso, magari per motivi di lavoro. Inseguimento, molestia e persecuzione possono manifestarsi sotto innumerevoli forme.
Esse possono essere qualcosa di sporadico oppure possono essere insistenti manifestazioni di un fenomeno psicologico e sociale conosciuto soprattutto con il nome di “stalking” , ma chiamato anche “sindrome del molestatore assillante” , “inseguimento ossessivo” o anche obsessional following . La terminologia più comune, quella di “stalking”, è stata coniata con la finalità di raffigurare simbolicamente, con un termine in lingua inglese che significa “appostarsi”, l’atteggiamento di chi mette in atto molestie assillanti e per questo viene definito “stalker”.
Il “molestatore assillante” manifesta, infatti, un complesso insieme di comportamenti che vengono ben racchiusi sinteticamente dall’espressione “fare la posta” che comprende l’aspettare, l’inseguire, il raccogliere informazioni sulla “vittima” e sui suoi movimenti, comportamenti che sono quasi sempre “tipici” di tutti gli stalkers, al di là delle differenze rilevate di situazione in situazione.
In effetti alcuni studi compiuti su questo fenomeno (Mullen P. E. & al., 2000) hanno distinto due categorie di comportamenti attraverso i quali si può attuare lo stalking.
  • La prima tipologia comprende le comunicazioni intrusive, che includono tutti i comportamenti con scopo di trasmettere messaggi sulle proprie emozioni, sui bisogni, sugli impulsi, sui desideri o sulle intenzioni, tanto relativi a stati affettivi amorosi (anche se in forme coatte o dipendenti) che a vissuti di odio, rancore o vendetta. I metodi di persecuzione adottati, di conseguenza, sono forme di comunicazione con l’ausilio di strumenti come telefono, lettere, sms, e-mail o perfino graffiti o murales.
  • Il secondo tipo di comportamenti di stalking è costituito dai contatti, che possono essere attuati sia attraverso comportamenti di controllo diretto, quali ad esempio pedinare o sorvegliare, che mediante comportamenti di confronto diretto, quali visite sotto casa o sul posto di lavoro, minacce o aggressioni. Generalmente non si ritrovano due tipologie separa

I bambini vedono e fanno: il processo di copia

http://www.youtube.com/watch?v=Ch_33u2MFWE

domenica 20 marzo 2011

Bambini dislessici



La dislessia è un problema che colpisce circa il 5% della popolazione in età scolare. In Italia, secondo l’Aid (Associazione Italiana Dislessia) le persone colpite da dislessia sono 1.500.000, soprattutto maschi, il cui numero supera di quattro volte quello delle femmine.
Si manifesta solitamente tra i 6 e i 10 anni, età in cui il bambino impara a leggere e a scrivere. Nella lettura e nella scrittura di un bambino dislessico emergono sostituzioni, elisioni, inversioni di lettere e numeri (21 - 12), confusione tra suoni omologhi e nei rapporti spazio temporali (destra-sinistra, ieri-domani...). Può avere difficoltà nell’apprendimento delle tabelline e con i compiti che implicano abilità motorie come allacciarsi le scarpe. È molto lento nella lettura, si ferma a ogni parola, scandendo lettere e sillabe o al contrario è molto veloce, ma non comprende ciò che sta leggendo.
La disgrafia (scrittura quasi incomprensibile), la disortografia (difficoltà a scrivere senza errori ortografici), la discalculia (difficoltà di calcolo) sono fenomeni quasi sempre associati alla dislessia.
Gli insegnanti delle scuole elementari e i genitori possono svolgere un ruolo fondamentale nell’individuazione di questo disturbo per evitare una dolorosa esperienza di frustrazione e incomprensione nel bambino dislessico, spesso colpevolizzato per una supposta pigrizia mentale che lo porterebbe a perdere la fiducia in se stesso e nelle sue capacità. Infatti, secondo una ricerca svolta da Gabriel Levi, neuropsichiatra infantile dell’Università La Sapienza di Roma, il 40% dei bambini dislessici soffre di disturbi depressivi. "I genitori non devono drammatizzare la situazione e l’insegnante, appena constata difficoltà anomali nell’apprendimento, deve segnararle" avverte Massimo Molteni, neuropsichiatria infantile presso l’Irccs E. Medea di Bosisio Parini (Lecco).
Occorrono un riconoscimento precoce del problema, una diagnosi corretta da parte di esperti (neuropsichiatri infantili, psicologi, logopedisti) in grado di operare una rieducazione efficace, un progetto didattico e un sostegno psicologico al bambino e alla famiglia. Per questo è fondamentale una stretta collaborazione tra scuola, famiglia, Enti locali e Aziende Sanitarie. Più in fretta si agisce, infatti, più tempestivamente si possono mettere in atto tecniche di riabilitazione e compenso, attraverso strumenti compensativi come la riduzione del carico di attività del bambino a scuola, la sostituzione di prove scritte a quelle orali, la concessione di più tempo per lo svolgimento di compiti, o dispensativi come l’uso del computer, di videocassette, registratore.
Recentemente, a questi metodi, sono stati affiancate nuove tecniche tra cui quella di far indossare ai bambini una mascherina per limitare il loro campo visivo e quindi costringerli a puntualizzare meglio la funzione visiva. La dislessia è un disturbo con caratteristiche ben precise che nulla ha a che vedere con l’intelligenza, anzi il quoziente intellettivo può anche essere superiore alla media (basti pensare a "dilessici famosi" come Leonardo ed Einstein) e nulla impedisce carriere professionali di successo: l’attore Tom Cruise ne è un esempio.
Ecco un breve decalogo sulla dislessia.
Eccolo:
  1. in caso di sospetta dislessia consigliare una consulenza specialistica tempestiva
  2. coordinarsi con gli operatori sanitari e la famiglia
  3. incoraggiare sempre il bambino
  4. non assegnarli incarichi troppo onerosi e fuori dalla sua portata
  5. concedergli più tempo per rispondere, per leggere per scrivere
  6. mettere in evidenza le altre capacità che possiede
  7. concedergli molta attenzione e infondergli fiducia
  8. non metterlo in imbarazzo davanti alla classe
  9. non confrontare i suoi risultati con quelli dei compagni
  10. se necessari usare sussidi e supporti didattici come cassette video audio, cd rom, computer

sabato 19 marzo 2011

I problemi dell'adolescenza



L’adolescenza è un momento di vita unico e irripetibile, l’individuo è bombardato da una così grande quantità di richieste e di stimoli da parte del mondo esterno che parlare di un’unica adolescenza e dei suoi tratti caratteristici non è possibile: risulta difficile infatti inquadrare rigidamente questa fase del ciclo vitale a causa delle mille peculiarità relative alle differenze sociali, di genere ed individuali.
È possibile tuttavia evidenziare delle tendenze di comportamenti ed atteggiamenti, che presuppongono una fase di vita nuova a livello personale.

L’Adolescenza - Età di Passaggio

Spesso si sente dire “L’adolescente non è ne carne né pesce…” ad indicare che non è più bambino ma non è nemmeno ancora adulto. Effettivamente non appartiene a nessuna delle due categorie, possiamo definire quindi l'adolescenza come età di passaggio.
A livello psicologico, il bambino presenta una struttura mentale rivolta all’esplorazione del mondo esterno, e le sue curiosità si soddisfano per la maggior parte nel presente e nel concreto.
L’adolescente, invece, è ora capace di concentrarsi sulla sua vita interiore. Il reale diventa possibile, gli orizzonti si allargano e nello stesso tempo il certo diventa incerto. Questo fa sì che gli interrogativi a cui sente di dover rispondere siano molti ed urgenti.
La percezione del mondo adulto che sino ad ora era stata fonte di sicurezza e di appoggio, trova nuove valenze. Il ragazzo si accorge delle lacune dei genitori, si persuade che non hanno tutte le risposte. Quelle che prima erano le figure di riferimento devono essere confutate. L’adolescente ha l’esigenza di mettere in discussione tutto e tutti. Spesso vive il rapporto con gli adulti in modo competitivo: critica i loro comportamenti, sente che lui farà scelte diverse e migliori. Gli adulti possono cominciare ad essere visti come detentori di potere, coloro che impongono regole scomode e faticose.

Adolescenza e Corpo

I cambiamenti del corpo hanno forte rilevanza ad ogni età. Ci basti pensare alla signora che scorge la prima ruga o al bambinone un po’ goffo che ancora non sa gestire il suo nuovo ingombrante corpo...
Durante l’adolescenza, in particolar modo, i cambiamenti sono molto rapidi e vistosi, quindi fortemente risonanti.
Inconsapevolmente le trasformazioni possono essere vissute come perdita del corpo infantile.
I cambiamenti maggiormente visibili sono l’altezza, il peso, la dimensione di certe parti del corpo, le proporzioni.
Strettamente correlata è la questione del confronto con i coetanei, che può influire sull’autostima: l’adolescente si concentra sulle differenze vivendo come definivo lo stato attuale del suo sviluppo; proprio per questo rimanere indietro assume il valore di inferiorità permanente, uno dei rischi che ne può derivare è quello della depressione.
Nei ragazzi essere precoce o tardivo, seppure si tratti sempre di allontanamento dalla norma, non assume lo stesso valore: i maschi più forti e più sviluppati (soprattutto relativamente alla comparsa dei caratteri sessuali secondari) risultano più popolari e meglio integrati.
Quelli con sembianze che ricordano ancora la fase precedente, cioè l’infanzia, possono invece essere presi di mira e rischiare di diventare vittime di bullismo.
In realtà non è tanto il compagno ad essere rifiutato quanto piuttosto ciò che rappresenta, a causa di un complesso fenomeno di rispecchiamento...
In ogni caso il ritardo rischia di relegare il ragazzo in una posizione di subordinazione psicologica e, se accade il modo continuativo, potrebbe influenzare alcuni tratti della sua personalità.

Nel caso delle ragazze il fenomeno può risultare anche opposto.
Sebbene anche per loro la voglia di diventare adulte possa facilmente giocare la sua parte, in alcuni casi lo sviluppo può essere considerato “pericoloso e da evitare”.
In questi casi sarebbe molto più desiderabile rimanere nello stato di preadolescente. A volte tale obbiettivo è perseguito talmente intensamente da portare l'adolescente a tentare di ridurre le proprie forme, agendo sull’alimentazione e sul peso ed attuando condotte più o meno pericolose.
Uno dei rischi estremi di questo fenomeno è l’anoressia.

Adolescenza e Sessualità

La sviluppo della sessualità durante l’adolescenza è preponderante.
Durante l’adolescenza infatti si completa la maturazione sessuale e si evidenziano in modo definitivo i caratteri sessuali secondari.
Nelle ragazze intorno ai 10-11 anni, cioè più precocemente che nei maschi, compare la prima mestruazione, cresce il seno, si presentano i primi peli sul pube, si arrotondano i fianchi e il grasso corporeo si distribuisce diversamente.
Un momento particolarmente importante è quello dell’arrivo delle mestruazioni. Questo evento può essere vissuto con reazioni di rifiuto e negazione, o come segnale a volte lungamente atteso, di progresso e conquista dell’autonomia.
Lo sviluppo sessuale nei maschi è più lungo e tardivo. Esistono ampie variazioni individuali, ma in genere avviene intorno ai 12-13 anni.
Uno dei primi segni è l’ingrossamento dello scroto e dei testicoli, successivamente vi è l’aumento del pene.
Appaiono peli più grossi, arricciati e sparsi sul pube, arrivano le prime eiaculazioni, compare l’acne e la traspirazione ascellare, più tardi compare la peluria facciale e il cambiamento della voce.
Molti giovani adolescenti hanno i primi contatti con la pratica della masturbazione, attività sessuale piuttosto normale a questa età, ma spesso vissuta con forte ansietà a causa di atteggiamenti sociali e personali.
Durante questa fase del ciclo vitale cambia anche l’atteggiamento verso l’altro sesso. Il contatto con l’altro è capace di scatenare ansie e timori; non è infrequente ad esempio la paura di essere rifiutati. L’esperienza con l'altro sesso può costituire una dolorosa delusione. Essa consiste spesso in una semplice soddisfazione fisica non accompagnata da fiducia e tenerezza. Può generare sensazioni di solitudine e lontananza.
Ciò rafforza la dipendenza dal gruppo di compagni dello stesso sesso che sembra una protezione contro la paventata intimità eterosessuale.

Adolescenza e Crescita

Adolescenza è per molti sinonimo di crescita. Infatti è durante questo periodo che il ragazzo acquisisce un nuovo modo di porsi di fronte al mondo. Il gusto dell’adolescente per l’introspezione, la sua propensione alla discussione, la tendenza a costruire o ad accettare entusiasticamente ideologie innovatrici, corrispondono alla maturata capacità di operare anche su dati espressivi e linguistici.
A differenza del bambino, l’adolescente non si limita ad accettare nozioni e relazioni che gli vengono offerte dal suo ambiente familiare e dal mondo adulto più in generale, ma elabora, mette in discussione, guarda al possibile...

Adolescenza e Gruppo

Il gruppo, di grande importanza per l’equilibrio ed il benessere personale in adolescenza, si costituisce come spazio di confronto e rispecchiamento, con sue regole specifiche spesso in opposizione a quelle del mondo degli adulti.
Il modo di relazionarsi con il gruppo cambia nel tempo. Possiamo idealmente suddividere l’adolescenza in due fasi: la prima e la tarda adolescenza.
- la prima fase si stabilizza all’incirca tra gli 10 e 12 anni e vede la costruzione di gruppi dello stesso sesso. In questo momento l’altro rappresenta lo specchio di sé. Il ragazzo si identifica nel gruppo e il gruppo rappresenta la proiezione di quello che sente di essere. L’essere parte del gruppo aiuta a superare le angosce relative alla propria identità sessuale attraverso una chiara distinzione dei sessi. All’altro gruppo, costituito da individui di sesso opposto, si tende ad attribuire caratteristiche negative o indesiderabili, quasi con atteggiamento paranoide.
- la seconda fase più tardiva, prevede la formazione del gruppo misto. Si tratta generalmente di un gruppo dove ogni membro esprime una tendenza.

Adolescenza – Una?

Ogni individuo si pone di fronte alle dinamiche adolescenziali in modo unico e personale. Di conseguenza possiamo dire che adolescenze ve ne sono tante quante sono gli adolescenti stessi.
Infatti, se è vero che si tratta di un fenomeno esclusivo ed irripetibile, è altrettanto vero che esistono punti in comune, che ci permettono di descrivere adolescenze adeguate, ritardate, prolungate, sacrificate, antisociali e dipendenti.
- Parliamo di adolescenza adeguata quando il processo di crescita pone il ragazzo di fronte ad un livello di stress che riesce a tollerare. Nonostante il cambiamento sia faticoso e lento, malgrado siano presenti momenti in cui si avverte il bisogno di tornare indietro, ad uno stadio di vita precedente e ben conosciuto, non si evidenziano problematiche particolari. Si tratta di ragazzi che, se di fronte ad una difficoltà, sanno chiedere aiuto in maniera spontanea.
- Adolescenza ritardata: si tratta di una condizione molto frequente. Il soggetto non abbandona le strategie, le difese e le modalità comunicative della fase precedente. In genere appartengono a famiglie borghesi, portano avanti i loro studi, intraprendono carriere già avviate in famiglia, sposano persone accettate dai genitori e riproducono il modello familiare. Spesso verso i 30 anni, o al primo impatto con la realtà, si trovano a fare i conti con la propria adolescenza non superata.
- Adolescenza prolungata: è meno frequente. In questi casi si ha un arresto all’adolescenza. Parliamo di giovani che cercano di evitare scelte definitive, sono spesso eterni studenti, sul piano dell’autoaffermazione hanno frequentemente progetti grandiosi. Diventare adulto significa per loro rinunciare, scegliendo una strada, a poter diventare qualsiasi cosa.
- Adolescenza sacrificata: per motivi diversi, questi adolescenti non possono disporre del tempo necessario da dedicare alla formazione della loro personalità. Rientrano in questa categoria i ragazzi che entrano precocemente nel mondo del lavoro e quelli che sostengono ruoli di tipo genitoriale all’interno della famiglia d’origine.
- Adolescenza antisociale: si tratta di un esito in stretta correlazione con le dinamiche del bullismo. Parliamo di adolescenti che tendono ad auto-idealizzarsi e provano spesso piacere nell’infliggere agli altri pene e dolore. Sono ragazzi che amano manipolare il mondo secondo i propri disegni.
- Adolescenza dipendente: in questa categoria rientrano moltissime tipologie di dipendenze, tanto che spesso è difficile parlare di tratti comuni.
Tra le più frequenti vi sono la dipendenza affettiva, quella da alcool e altre sostanze, la dipendenza da internet e dal gioco d’azzardo.
In tutti questi casi è presente un bisogno continuo di vicinanza rispetto alla fonte di dipendenza; spesso esiste una sottocultura più o meno vasta di individui che palesano gli stessi bisogni, generando un senso di appartenenza e di identità. Il rischio è che si crei tuttavia un forte distacco dalla realtà vissuta come scomoda e poco desiderabile.

La Psicoterapia Familiare

Se tutto questo non porta ai risultati sperati si tenga presente che la psicoterapia familiare offre ottime possibilità di risoluzione.
Per mezzo di uno specifico lavoro psicoterapeutico si avrà la possibilità di indagare sul disagio del bambino e sul miglior modo di rispondere da parte dei genitori e delle altre persone che se ne prendono cura.
È di fondamentale importanza, inoltre, dare il giusto peso al valore relazionale del sintomo: è probabile che il bambino attraverso il suo rifiuto voglia dirci qualcosa.
Un genitore, in condizioni di alimentazione inadeguata del proprio bambino, può sentirsi inadeguato egli stesso, arrivando ad esperire vissuti di ansia e di impotenza, difficili da gestire.
Il bambino, d’altra parte, può leggere la preoccupazione del genitore come un segnale di pericolo ed accentuare il suo stato di disagio. In questi casi c’è il rischio che si instauri un vero e proprio circolo vizioso in cui lo stato emotivo dell’uno mantiene e rafforza lo stato emotivo dell’altro.
Attraverso la terapia si utilizza in modo appropriato la più grande risorsa in nostro possesso: noi stessi. Infatti il momento del pasto ha un valore significativo perché nutriamo nostro figlio, oltre che con gli alimenti, con le nostre emozioni e la nostra affettività, quello che passa attraverso questo canale lo nutre ad un livello profondo e, attraverso l’azione di un circolo, questa volta virtuoso,  potrà proteggerlo da eventuali disagi e blocchi.

giovedì 17 marzo 2011

I disturbi alimentari nei bambini


Da sempre le mamme si preoccupano perché i propri figli si nutrano adeguatamente. Non dimenticherò mai gli anni trascorsi all’asilo nido e alla scuola dell’infanzia: quando le mamme venivano a prendere i propri bimbi, la prima domanda che veniva posta alle insegnanti e alle educatrici era: “Ha mangiato, oggi? E cosa? E quanto?”. Ovviamente, in base alla risposta, andavano via più o meno soddisfatte…
Questo perché l’alimentazione, in quanto elemento osservabile e misurabile attraverso il peso corporeo e la crescita, è da tempi immemorabili considerata uno dei terreni più fertili per misurare il sano sviluppo del bambino, soprattutto nei primi anni di vita.

Questa è una delle ragioni per cui un bambino più in carne è spesso considerato più sano e più bello.
L’opinione di molti esperti attualmente è differente: ad oggi si è inclini a considerare che ogni bimbo ha il suo modo di crescere ed i suoi tempi. Catalogare età e pesi è spesso fuorviante. Il più delle volte si deve ammettere che la natura, nella sua perfezione, non sbaglia facilmente... Per un bambino più esile, ad esempio,  risulterà più facile muoversi nello spazio e probabilmente camminerà prima.
Considerando che quando il peso aumenta siamo di fronte ad uno sviluppo sano ed equilibrato, lasciamo che sia il pediatra a fare controlli e diagnosi e non ci preoccupiamo prima del tempo.
Esistono comunque delle difficoltà alimentari, più o meno transitorie e di diversa entità, che sono trattabili in tempi più o meno brevi.

 I Disturbi Alimentari nell’Infanzia- Lo Svezzamento

Per iniziare è bene tener presente che vi sono dei momenti critici in cui l’insorgere di piccoli rifiuti da parte del bambino è favorito dalla tappa di sviluppo che sta vivendo. Uno di questo delicati momenti è quello dello svezzamento, in cui il bimbo passa dai cibi liquidi, come il latte e le tisane, a cibi più consistenti, le pappe.
Quando decidiamo, di comune accordo con il pediatra, che è arrivato il momento di fare il grande passo, è necessario prepararsi per trovare quella tranquillità e quella  sicurezza di cui ha bisogno nostro figlio: l’introduzione di un cibo nuovo e di diversa consistenza può essere fonte di ansia per lui, sarà il nostro atteggiamento ad indirizzarlo e guidarlo. Nostro figlio si fida di noi, i nostri occhi sono lo specchio che usa per leggere il mondo, quando ci vedrà sereni e affatto preoccupati capirà che il compito è alla sua portata, e lo affronterà al meglio.

I Disturbi Alimentari nell'Infanzia- Introdurre Nuovi Cibi

 

Superato il primo scoglio dello svezzamento, ci troveremo di fronte all’inserimento graduale di nuovi cibi: il bimbo si troverà a sperimentare sapori, consistenze e colori diversi.
Generalmente ci vuole del tempo perché il piccolo accetti la nuova varietà.
Tra le problematiche alimentari più frequenti vi è quella del bambino che mangia solo alcuni cibi, a discapito della ricchezza alimentare.
Spesso caratteristiche come il colore o la forma possono influenzare la scelta; in questi casi è necessario operare per riattivare la curiosità verso nuovi sapori; possiamo variare consistenze e forme frullando, arrotolando, tagliuzzando... Attenzione a non esagerare, però... Il nostro obbiettivo finale rimane sempre quello di introdurre cibi nuovi, con forma colore e consistenza naturali; quindi una volta accettato il sapore, lavoreremo sul resto...
In altri casi i bambini rifiutano il cibo mettendo in atto condotte di rinuncia o ricorrendo al vomito

Il Disturbo dell’Alimentazione della Prima Infanzia


Se l’alimentazione risulta davvero povera e non garantisce una crescita adeguata, si può trattare del Disturbo dell’Alimentazione della Prima Infanzia (DSM IV tr), ossia l’incapacità di mangiare adeguatamente, come manifestato dalla significativa incapacità di aumentare di peso o dalla significativa perdita di peso durante un periodo di almeno un mese.
Di fronte ad una condizione di questo tipo, è bene escludere ragioni di ordine  fisiologico e dopo di che agire prontamente.
Molto spesso l’esordio del sintomo può farsi risalire ad eventi specifici occorsi nella vita del bambino, come una malattia, un trasloco o l’affidamento ad una nuova figura di accudimento...
Il rifiuto del cibo, in questi casi, potrebbe rappresentare una forma di protesta che il bambino metterebbe in atto per opporsi ad un cambiamento.
Il più delle volte il disagio rientrerà non appena il bambino avrà familiarizzato con la nuova condizione; per facilitare il processo è importante tuttavia la cooperazione tra tutte le figure di accudimento, con lo scopo di condividere obbiettivi e strategie, abitudini e routine: pianificare insieme è importante per far sì che il bambino ritrovi sempre le stesse modalità educative.