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D.ssa Donatella Ghisu

Psicologa, Counsellor Psicologico e Socio-educativo, Anali Transazionale, Specialista in Psicoterapia Breve Strategica, Psicopedagogista, Specialista in: Disturbi alcol correlati, Chil Abuse, Psicologia forense, Disturbi dell'Apprendimento e del Comportamento, Trainer EMDR. Mi occupo di coppie, adolescenti ed adulti a livello individuale e di gruppo. Sostegno alla genitorialità, agli insegnanti nonché alle aziende pubbliche e private.

venerdì 25 febbraio 2011

Stabilità della relazione di coppia e processi inconsci



Gli stili di attaccamento si strutturano nel tempo a partire dalla presenza di processi inconsci che sostengono il funzionamento della memoria implicita. Nel seguente lavoro viene presentata una panoramica del contesto interattivo con la figura di accudimento per evidenziare la dinamica che sostiene lo sviluppo dell’attaccamento sicuro e quella dell’attaccamento insicuro. Il focus vien poi spostato sull'attaccamento adulto offrendo un ventaglio di ricerche finalizzate ad evidenziare come lo stile di attaccamento sicuro tra i partner sia predittivo di una relazione di coppia che si mantiene, nel tempo, stabile e soddisfacente.
Viene infine inquadrato il ruolo dei processi inconsci nello strutturarsi dello stile di attaccamento alla luce di alcune ricerche tese a documentare l’attivazione di mete inconsapevoli nelle relazioni interpersonali. Sono presentate alcune considerazioni collegate all’attivazione di mete inconsce all’interno di relazioni di coppia stabili nel tempo e i cui partner hanno sviluppato uno stile di attaccamento tendenzialmente sicuro.



Dalla teoria dell’attaccamento sappiamo che, all’interno di interazioni con le figure di accudimento, il bambino sviluppa stili di attaccamento sicuro e insicuro (evitante, ansioso/ambivalente e disorganizzato). Poiché il sistema di attaccamento si attiva in presenza di una minaccia e si disattiva una volta raggiunto lo stato di protezione con la relativa percezione di sicurezza, diventa determinante, nella sua evoluzione, la disponibilità percepita dal bambino della figura di attaccamento.
Se, nei primi periodi dello sviluppo, la figura di attaccamento è disponibile e capace di sintonizzarsi sullo stato affettivo del bambino, allora si attiva il circuito dell’attaccamento sicuro.
Questo implica che ripetute esperienze relazionali collegate alla triade rappresentata dal desiderio di conforto di fronte al pericolo – sintonizzazione affettiva – strategie sicure vengono registrate nella memoria implicita.
Se invece, nei primi periodi dello sviluppo, la figura di attaccamento non è disponibile, non è attenta nelle situazioni percepite come pericolose, allora si attiva uno stato di insicurezza associato alla figura di attaccamento. Il bambino deve valutare e decidere se la ricerca di vicinanza è l’opzione da perseguire per fronteggiare lo stato di allarme attivato dalla percezione del pericolo.
Da tale valutazione discende l’adozione di strategie di sopravvivenza caratterizzate o da dipendenza coercitiva e fondate sulla ricerca tenace e perseverante della vicinanza con la figura di attaccamento - strategie di iperattivazione - o da modalità interattive organizzate intorno al distanziamento dalla figura di attaccamento come scoraggiante e punitiva nel momento del bisogno, definite strategie di deattivazione (Brennan, Clark & Shaver, 1998) o strategie che appaiono come disorganizzate e che prendono corpo quando il bambino sperimenta l’inaffidabilità sia delle strategie deattivanti che di quelle fondate sull’iperattivazione.
Anche le ripetute esperienze relazionali collegate alla triade rappresentata dal desiderio di conforto di fronte al pericolo – delusione traumatica – strategie insicure vengono registrate nella memoria implicita.
Dagli studi sulla neurobiologia sappiamo che esiste una relazione di interdipendenza tra la complessità di reti neuronali che determinano le attività cerebrali e le dinamiche relazionali all’interno delle quali evolve la persona. Il cervello si plasma in funzione della qualità delle relazioni di attaccamento e la capacità di sviluppare chiavi di lettura complesse di sé, nella relazione con gli altri, è funzione della ricchezza di reti neuronali sviluppate (Siegel, 1999).
È all’interno di questa relazione di interdipendenza che i quattro stili di attaccamento iniziano a formarsi e si organizzano intorno ad esperienze relazionali significative con le figure di attaccamento. Gli schemi di sé, dell’altro e della relazione che si formeranno prima dello sviluppo del linguaggio, poggeranno su memorie di tipo implicito e quindi sostenute da processi inconsci.
Le memorie implicite che sostanziano le cosiddette strategie di attaccamento insicuro rispetto a quelle che sostanziano quelle dell’attaccamento sicuro sono caratterizzate da una miriade di esperienze traumatiche caratterizzate dal senso di minaccia e dalla percezione che la ricerca di aiuto fondata sull’avvicinarsi alla figura di accadimento sia un’esperienza dolorosa piuttosto che calmante.
Esperienze traumatiche vissute all’interno della storia dell’attaccamento possono portare ad un blocco dei meccanismi della memoria esplicita o ad una dissociazione tra memoria implicita ed esplicita (Siegel, 1995). Parte dell’esperienza traumatica sperimentata si fonda sull’impossibilità di dare senso all’esperienza dolorosa attraverso il confronto empatico e strutturante proprio con la figura di attaccamento, sperimentata però come fonte del disagio. La conseguenza dell’impossibilità di elaborare il dolore a partire da un’esperienza relazionale fondata su debole sintonizzazione affettiva, impedisce lo strutturarsi di memorie autobiografiche coerenti e fondate sulla consapevolezza, finalizzate a promuovere un sano adattamento. Ne deriva che le esperienze traumatiche intorno a cui si strutturano le strategie di attaccamento insicuro saranno immagazzinate nella memoria implicita, sottostando alle caratteristiche che la definiscono. Quindi il bambino non farà l'esperienza fenomenologica di stare ricordando qualcosa, vissuto che sostiene la memorizzazione esplicita dell'evento vissuto e registrerà in modo inconsapevole memorie comportamentali, emozionali e percettive associate all'evento traumatico sperimentato. Ne deriva una discrepanza tra le informazioni depositate nella memoria esplicita e quelle depositate in quella implicita con una ridotta capacità di ricorrere alla combinazione di tali tipi di memorie per orientarsi nel mondo.
Diverso è il ruolo assunto dalle esperienze traumatiche associate alla percezione del pericolo nella strutturazione dell'attaccamento sicuro. Proprio perché in questo caso si attiva il binomio rappresentato dal desiderio di conforto in presenza di una minaccia e la sintonizzazione affettiva da parte della figura di attaccamento, è altamente probabile che ci sia soluzione di continuità tra ciò che viene memorizzato a livello implicito e ciò che viene memorizzato a livello esplicito. In sintesi il bambino ha la possibilità di dare senso all'esperienza di dolore associata al pericolo, laddove sperimenta la capacità della figura di attaccamento di sintonizzarsi sul suo stato affettivo. Ne consegue la possibilità che sviluppi memorie autobiografiche coerenti disponendo quindi di maggiori risorse per orientarsi nel mondo.
Per l'obiettivo di questo lavoro, la panoramica finora presentata e tesa ad evidenziare il ruolo dei processi inconsci nella memoria implicita e negli attaccamento, costituisce lo sfondo all'interno del quale porre la seguente domanda: se nella storia evolutiva le persone hanno principalmente sviluppato un attaccamento sicuro, quale ricaduta ha tale stile di attaccamento nel processo di formazione e di mantenimento di una relazione di coppia?
Attaccamento sicuro, formazione e mantenimento di una relazione di coppi: lo stato dell’arte
In linea con la teoria di Bowlby (1973), lungo l’intero arco della vita, le interazioni con gli altri significativi, percepiti disponibili e capaci di sostenere nei momenti di stress, facilitano la formazione di un senso di attaccamento sicuro; la relazione di coppia può costituire un ambito in cui promuovere tale evoluzione. Waters, Rodrigues, e Ridgeway (1998) concepiscono il senso di attaccamento sicuro come un insieme di aspettative circa la disponibilità e la capacità di adattamento all’ambiente nei momenti di stress, organizzato intorno ad un script o prototipo di base. Questo script sembra includere un’affermazione fondata sulla logica “Se-allora”: “Se incontro un ostacolo e/o divento stressato, posso approcciare un’altra persona, per me importante, per cercare aiuto; sono una persona degna di ricevere aiuto; è probabile che questa persona sia disponibile e mi sostenga; sperimenterò allora sollievo e conforto in conseguenza all’essermi avvicinato a lei/lui; posso poi ritornare ad altre attività”.
È stato identificato che questo script è la variabile principale che spiega come varia la qualità delle relazioni di coppia, stabili nel tempo (Feeney, 1999a, Shaver & Hazan, 1993, Mikulincer, Florian, Cowan, Cowan, 2002).
Particolarmente illuminante è la raccolta di studi, compiuta da Mikulincer e coll. (2002), che si sono focalizzati sulla relazione esistente tra l’attaccamento sicuro e la formazione ed il mantenimento della relazione di coppia.
Da una ricognizione delle ricerche fatte, emerge che l’attaccamento sicuro è associato:
a) alla presenza di aspettative positive relative alla relazione di coppia;
b) alla formazione di una relazione di coppia stabile nel tempo;
c) ad alti livelli di intimità, di impegno, di coinvolgimento emotivo all’interno della relazione;
d) alla presenza di modelli comunicativi e di interazione positivi sia nelle coppie stabili che in quelle sposate;
e) alla soddisfazione della propria relazione sperimentata da parte di coppie stabili nel tempo.
a) Aspettative e credenze di una relazione
Gli studi sull’attaccamento degli adulti hanno fornito importanti informazioni sull’associazione tra l’attaccamento sicuro e le credenze positive sulle relazioni di coppia.
Per esempio Hazan e Shaver (1987) scoprirono che i partecipanti ad una ricerca che classificavano se stessi con un attaccamento sicuro avevano punteggi più alti, rispetto alle persone che si consideravano insicure, relativamente alle convinzioni connesse a) all’esistenza dell’amore romantico e b) alla possibilità che, sebbene i sentimenti romantici crescano e diminuiscano nel tempo, questi possano essere sperimentati in modo intenso all’inizio di una relazione ed in alcuni casi, possono mantenersi.
Ulteriori studi hanno riportato che le persone con un attaccamento sicuro mantenevano convinzioni più ottimistiche circa le relazioni di amore ed il matrimonio rispetto a coloro che avevano un attaccamento insicuro (Carnellery & Janoff-Bulman, 1992; Pietromonaco & Carnellery, 1994; Whitaker, Beach, Etherton, et al., 1999).
b) Formazione di una relazione di coppia stabile nel tempo
Ulteriori studi sull’attaccamento hanno riportato che le persone con stili di attaccamento diversi variano nella probabilità di essere coinvolti a lungo termine nelle relazioni di coppia così come variano circa l’esposizione al rischio che la relazione possa finire. Per esempio, c'è una presenza maggiore di persone con un attaccamento sicuro tra coppie reciprocamente impegnate e tra coppie sposate rispetto a quanto questa variabile sia presente in persone che conducono una vita da single (e.g. Kirkpatrick & Davis, 1994; Kobak e Hazan, 1991; Senchak & Leonard, 1992). In linea con i lavori appena citati, Hill, Young, e Nord (1994) scoprirono come era più probabile che le persone con uno stile di attaccamento sicuro scegliessero di sposarsi o di convivere ed era meno probabile che giungessero al divorzio, rispetto alle persone insicure. C’è anche una esauriente evidenza a sostegno del fatto che le persone sicure abbiano relazioni più stabili di quelle insicure (Feeney & Noller, 1990, 1992; Hazan &Shaver, 1987; Kirkpatrick & Davis, 1994; Kirkpatrick & Hazan, 1994; Shaver & Brennan, 1992). Per esempio, Kirkpatrick e Hazan (1994) scoprirono che era più probabile che le relazioni delle persone sicure si mantenessero dopo quattro anni rispetto alle relazioni delle persone insicure.
Complessivamente, le scoperte mostrano in modo coerente come le persone sicure (a) è più probabile che siano coinvolte in relazioni di coppia a lungo termine, (b) abbiano relazioni di coppia più stabili, e (c) soffrano meno di difficoltà o rotture nella relazione. I pochi studi longitudinali suggeriscono che la sicurezza nell’attaccamento sia antecedente all'esperienza della stabilità coniugale, ma è ancora troppo presto per affermare che la sicurezza dell’attaccamento individuale giochi un ruolo diretto nel mantenimento o nella rottura di una coppia.
c) Alti livelli di intimità, di impegno, di coinvolgimento emotivo all’interno della relazione
Diversi studi si sono focalizzati sull’associazione tra la sicurezza nell’attaccamento e la qualità delle relazioni durature. Specialmente, sono state testate le ipotesi che l’attaccamento sicuro sia collegato alla formazione di relazioni durature soddisfacenti, caratterizzate da coinvolgimenti emotivi, intimi, fondate sull'impegno e sulla fiducia.
Per esempio, sono state trovate associazioni positive significative tra i resoconti propri di un attaccamento sicuro e le diverse misurazioni di coinvolgimento e di interdipendenza nelle relazioni durature (e.g. , Scale di amore di Rubin; Scale di Dipendenza; Scale di auto-rivelazione; Forme di Valutazione Relazionale) in un numero di studi trasversali (Collins & Read, 1990; Feeney, 1999b; Feeney & Noller, 1991; Feeney, Noller & Patty 1993; Hazan & Shaver, 1987; Hendrick & Hendrick,1989; Levy & Davis, 1988; Mikulincer & Erev, 1991) e longitudinali (e.g. , Kirkpatrick & Davis,1994; Kirkpatrick & Hazan,1994; Simpson, 1990). In linea con tali lavori, si scoprì anche che le valutazioni della sicurezza dell’attaccamento erano associate, in maniera significativa, alla presenza di un maggior impegno presente nelle relazioni durature mentre le valutazioni di un attaccamento evitante erano significativamente associate a livelli più bassi di impegno (Hendrick e Hendrick, 1989; Kirkpatrick e Davis, 1994; Kirkpatrick e Hazan, 1994; Levy e Davis,1988; Mikulincer e Erev, 1991; Pistole, Clark e Tubbs, 1995; Pistole e Vocaturo, 1999; Shaver e Brennan, 1992; Simpson, 1990; Tucker e Anders, 1999).
In uno studio sulla qualità delle relazioni di coppia, durato per un periodo di oltre quattro mesi, Keelan, Dion e Dion (1994) scoprirono che le persone attaccate in modo sicuro mantenevano livelli alti e stabili di coinvolgimento e di fiducia nella relazione duratura anche per periodi prolungati laddove invece le persone insicure mostravano, nello stesso periodo, un coinvolgimento e una fiducia decrescente. Le scoperte implicano che il coinvolgimento nella relazione delle persone insicure può deteriorarsi nel tempo e quel tempo può esacerbare le differenze iniziali relative al coinvolgimento nella relazione.
d) Presenza di modelli di comunicazione e di interazione positivi sia nelle coppie stabili che in quelle sposate
Le persone che si differenziano negli stili di attaccamento si differenziano anche nella qualità dei loro modelli di comunicazione. Per esempio, Fitzpatrick, Fey, Segrin e Schiff (1993), scoprirono che i questionari autodescrittivi sullo stile di attaccamento sicuro erano associati ad una maggiore presenza di modelli positivi di comunicazione usati reciprocamente e ad una minor presenza di modelli comunicativi fondati su modalità dipendenti e di ritiro. Guerrero (1996) videoregistrò delle coppie stabili mentre discutevano di problemi personali importanti e scoprì che le persone attaccate in modo sicuro avevano punteggi maggiori rispetto alle persone insicure nelle misurazioni relative all’essere recettivo nella fiducia, al mantenere il contatto visivo, all’avere una gradevolezza espressiva e vocale, al manifestare un interesse generale per la conversazione, e all’essere attenti alle parole del partner durante la discussione. Sulla stessa linea, Tucker e Anders (1998) videoregistrarono delle coppie la cui relazione si manteneva stabile nel tempo, mentre discutevano di aspetti positivi della loro relazione e scoprirono che le persone con uno stile di attaccamento sicuro tendevano maggiormente a ridere, a toccare il loro partner, a mantenere il contatto visivo e a sorridere durante l’interazione, rispetto alle persone insicure.
Nonostante la forte evidenza dell’associazione tra la sicurezza dell’attaccamento e la qualità della relazione nelle coppie durature, non è possibile desumere la presenza di una relazione di causalità dalle correlazioni emerse.
e) Soddisfazione della propria relazione sperimentata da parte di coppie stabili nel tempo
In alcuni studi diadici, si esaminò gli effetti dell’attaccamento sicuro dei partner prendendo in considerazione le risposte date da ciascuno a questionari che misuravano la soddisfazione e la qualità della loro relazione, duratura nel tempo (Collins & Read, 1990; Jones & Cunningham, 1996; Kirkpatrick & Davis, 1994; Mikulincer & Erev, 1991; Scharfe & Bartholomew, 1995; Shaver & Brennan, 1992; Simpson, 1990).
In questi studi, i due partner della coppia coinvolti in una relazione stabile completarono le scale sull’attaccamento adulto e riportarono il grado di soddisfazione rispetto alla loro relazione. Emerse che lo stile di attaccamento sicuro delle persone era associato, in modo significativo, alle descrizioni dei loro partner circa il grado di soddisfazione e la qualità della relazione di coppia da loro percepita (es.: intimità, coinvolgimento). Tuttavia, questo dato era maggiormente rinvenibile nelle donne con un attaccamento sicuro che non negli uomini con un attaccamento sicuro. Inoltre, il senso di attaccamento sicuro di entrambi i partner forniva un contributo significativo nel percepire, in modo congiunto, la soddisfazione per la loro relazione. Infatti, entrambi i partner erano insoddisfatti della loro relazione quando uno dei due aveva punteggi alti nell’attaccamento ansioso o evitante.
Nonostante la forte evidenza dell’associazione tra la sicurezza dell’attaccamento e la qualità della relazione nelle coppie durature, ancora una volta c’è la necessità di ribadire che non è possibile desumere una relazione di causalità a partire dalla correlazione esistente tra i dai considerati.

Dall’attaccamento sicuro alla relazione di coppia stabile e soddisfacente
Dalla panoramica sulle ricerche longitudinali finora compiute emerge come l’attaccamento sicuro sia predittivo di indici di stabilità di coppia, tuttavia è prematuro, allo stato attuale, affermare che l’attaccamento sicuro giochi un ruolo diretto nell’esperienza di stabilità o di rottura della relazione.
Mikulincer, Florian, Cowan, e Cowan, (2002), adottando un punto di osservazione sistemico, ipotizzano tre percorsi principali che mantengono il legame tra lo stile di attaccamento sicuro e la formazione ed il mantenimento di una relazione di coppia stabile e soddisfacente.
Il primo percorso concerne la conseguenza affettiva sperimentata nelle interazioni di coppia caratterizzate da un attaccamento sicuro: i partner sperimentano che possono lenire il disagio, nelle situazioni di vulnerabilità, mantenendo la vicinanza con la figura di attaccamento data, nello specifico, dal proprio compagno. L’esperienza di sollievo può portare ad un orientamento positivo verso la ricerca dell’unione con l’altro, alimentando così l’organizzazione di interazioni finalizzate al perseguimento di intimità e di vicinanza. Queste sono mete che, a loro volta, possono incoraggiare il coinvolgimento in relazioni di coppia di lunga durata.
Il secondo percorso concerne le rappresentazioni mentali positive di sé e degli altri coinvolte nell’attaccamento sicuro. Queste rappresentazioni possono sostenere lo sviluppo di una prospettiva cognitivo-affettiva finalizzata alla gestione del conflitto e quindi al mantenimento di una relazione di coppia soddisfacente.
Il terzo concerne il fatto che l’attaccamento sicuro faciliterebbe la soddisfazione di altri bisogni psicologici di base (esplorazione, affiliazione, accudimento) all’interno della relazione di coppia; tale esperienza positiva, a sua volta, incrementerebbe ulteriormente la soddisfazione della relazione.
L’adozione della chiave di lettura sistemica nell’evidenziare come viene mantenuto il legame tra l’attaccamento sicuro dei partner e la formazione ed il mantenimento di una relazione di coppia stabile e soddisfacente mette in evidenza alcune variabili che entrano in gioco nell’avviare un circolo virtuoso funzionale ad alimentare modelli operativi interni di sé e dell'altro collegati all’attaccamento sicuro e predisponenti al mantenimento di una relazione stabile.
Tuttavia anche le coppie la cui relazione è stabile nel tempo e che tendenzialmente hanno sviluppato uno stile di attaccamento sicuro sperimentano talvolta delusione di fronte alla mancata vicinanza affettiva del partner nelle situazioni di difficoltà. In alcune situazioni, perdono  la speranza che il conflitto sperimentato possa essere gestito cooperando e, in tal modo, possono occasionalmente perdere la motivazione sostenente la soddisfare bisogni psicologici di base quali quello esplorativo, affiliativo e di accudimento. Di fatto possono entrare in circoli viziosi indicativi dell’attivazione di modelli operativi di sé e dell'altro tipici delle strategie di attaccamento secondario.
Esperienze di questo tipo sono compatibili con la complessità dell’esperienza umana. Infatti anche coloro che hanno sviluppato tendenzialmente uno stile di attaccamento sicuro, hanno sperimentato talvolta situazioni di debole sintonizzazione affettiva da parte della figura di attaccamento nei momenti di pericolo e conservano quindi nella loro memoria implicita ed esplicita esperienze relazionali tipiche di un attaccamento insicuro. È altamente probabile che siano proprio i modelli operativi interni associati ad un attaccamento insicuro quelli che vengono sollecitati in situazioni ambientali impegnative e/o in momenti evolutivi critici (malattie, lutti, cambiamenti di vita critici, ecc) in cui può venir meno la possibilità di autoconfortarsi o di cercare conforto nel proprio contesto sociale.
Questo panorama è quello che caratterizza anche l’ambiente di vita delle coppie con una relazione stabile nel tempo. Ciascuno dei due partner conserva nella propria memoria implicita una miriade di ricordi collegati non solo ad esperienze di attaccamento sicuro ma anche ad esperienze di attaccamento insicuro, memorizzate a livello inconsapevole. Tali esperienze sono associate al perseguimento, spesso inconsapevole, di mete interpersonali definite dalla ricerca della vicinanza/distanza di sicurezza da adottare nei confronti della figura di attaccamento: ricerca coercitiva di vicinanza all’altro nelle strategie di iperattivazione, mantenimento di una distanza di sicurezza nelle strategie di deattivazione.
Dato il quadro presentato, la domanda che si considera ragionevole porsi è la seguente: poiché alcune mete interpersonali sono associate ad esperienze di attaccamento registrate a livello inconsapevole, può verificarsi che queste vengano attivate al di fuori della consapevolezza della persona ed incidano nel risvegliare modelli operativi interni di sé e dell’altro tipici di strategie secondarie di attaccamento in partner con stili di attaccamento sicuro?
Il paragrafo successivo mira ad affrontare la questione posta presentando alcune ricerche relative all’attivazione inconsapevole di mete interpersonali.

Attivazione inconsapevole di mete interpersonali
Diversi studi mettono in rilievo come sia possibile che le persone attivino mete interpersonali, in modo non consapevole, mentre stanno interagendo al fine di perseguire obiettivi esplicitamente condivisi. Recenti ricerche dimostrano che i piani ed i comportamenti delle persone possono essere influenzate in seguito all’attivazione di rappresentazioni di relazioni significative.
Per esempio, i partecipanti ad un esperimento furono esposti in modo subliminale al nome di una persona che avrebbe desiderato, per loro, il successo nel superamento della prova. Si osservò che i partecipanti ebbero delle prestazioni migliori rispetto a coloro che furono esposti al nome di persone che non avrebbero desiderato necessariamente una buona prestazione.
Si è scoperto inoltre che se ad una persona, impegnata nella soluzione di un compito, viene ricordata la relazione che ha con un partner, vengono contemporaneamente attivati le mete e gli standard del partner sollecitato relativamente al compito in questione e tale attivazione influenza il modo di agire della persona stessa rispetto al compito (Baldwin & Holmes, 1987; Moretti & Higgins,1999).
Tali studi implicano che sia possibile attivare memorie implicite, non consapevoli e che tale attivazione possa avere di conseguenza un impatto sulle relazioni interpersonali attuali.
Recenti studi (Bargh, 1990; Bargh & Chartrand, 1999) suggeriscono che la sequenza completa collegata al perseguimento di una meta possa verificarsi interamente al di fuori della consapevolezza. Si ipotizza che le mete siano rappresentate mentalmente proprio come altri costrutti cognitivi ed è pertanto possibile che queste vengano attivate da stimoli situazionali nello stesso modo in cui si è dimostrato vengono attivati i concetti di tratto e di stereotipo ( Bargh, 1990, Bargh e coll, 2001).
Tale idea si fonda sulla convinzione che si sviluppino delle connessioni associative tra costrutti cognitivi – come quelli di meta e di tratto – e le caratteristiche di quelle situazioni ambientali in cui i costrutti vengono tipicamente attivati e usati. In presenza di caratteristiche presenti nelle situazioni e tra loro sistematicamente associate, le mete diventano automaticamente attivate. Seguendo questa attivazione, si ipotizza che mete non consce operino al di fuori della direzione consapevole per influenzare pensieri e comportamenti all’interno di quella situazione.
Sono diverse le evidenze empiriche a sostegno dell’ipotesi che le mete possano essere attivate e perseguite non consapevolmente. In un recente gruppo di esperimenti, mete socio-comportamentali vennero attivate attraverso istruzioni sub e sopraliminali e si scoprì che tali stimolazioni influenzavano il comportamento successivo (Bargh e coll. 2001).
Poiché diverse ricerche hanno messo in luce come sia possibile che processi automatici sostengano l’attivazione di mete interpersonali inconsce, è presumibile ritenere che anche le coppie con stile di attaccamento sicuro possano essere sollecitate a risvegliare mete interpersonali inconsce, legate a strategie di attaccamento secondario, laddove sono esposte a pattern di stimoli per loro significativi. In sintesi alcune variabili legate al contesto fisico-intepersonale sollecitano, al di fuori della consapevolezza della persona connessioni associative con schemi cognitivo-affettivi, depositati a livello inconsapevole e tipici di strategie secondarie di attaccamento; tali schemi sono strettamente collegate a strategie comportamentali finalizzate a perseguire le relative mete interpersonali. Tale dinamica potrebbe dare l’avvio a sequenze interattive che sostengono modelli operativi di sé e dell’altro disfunzionali per l’equilibrio intrapsichico ed interpersonale.
Il quadro esplicativo presentato getta luce sulla comprensione di sequenze disfunzionali interattive, agite al di fuori della consapevolezza della persona e definite all'interno della cornice teorica dell’Analisi Transazionale come “giochi psicologici”. Spesso sono queste le sequenze interattive attivate dalle coppie che, pur avendo uno stile di attaccamento tendenzialmente sicuro, nelle situazioni di difficoltà, avviano circuiti interattivi viziosi agganciati a modelli operativi di sé e dell'altro tipici di strategie secondarie di attaccamento.
Conclusioni
È stato presentata la relazione esistente tra lo stile di attaccamento sicuro e la stabilità nel tempo della relazione di coppia. Nello specifico si è entrato nel dettaglio di come l’attaccamento sicuro sviluppato nell'infanzia sia fondato, in parte, su processi inconsapevoli depositati nella memoria implicita e finalizzati al perseguimento della meta rappresentata dal mantenimento dello stato di vicinanza con la figura di attaccamento e dalla percezione del relativo conforto che ne deriva.
Una serie di ricerche hanno evidenziato come sia possibile che si attivino mete interpersonali inconsce che orientino lo scambio relazionale mentre una persona è coinvolta nell'interazione con un altro. È ipotizzabile ritenere che tale attivazione sia possibile perché esistono schemi-cognitivo-affettivo, depositata a livello inconscio e connessi alle mete risvegliate. Queste possono essere pensate come mete silenti, “in stato di letargo”, nella memoria implicita e associate alla miriadi di ricordi collegati ad esperienze di attaccamento sicuro ed insicuro.
La conoscenza circa la possibilità che si attivino mete interpersonali inconsce ha una ricaduta circa la qualità degli stimoli a cui le coppie, con attaccamento sicuro e stabili nel tempo, entrano in contatto. Infatti pattern di stimoli possono risvegliare reti associative agganciate a strategie di attaccamento sicuro e altri pattern possono risvegliare reti associative agganciate a strategie di attaccamento secondario. Poiché sappiamo che l’attaccamento sicuro è predittivo della stabilità e della soddisfazione della relazione di coppia, la scoperta collegata all’attivazione e al perseguimento di mete interpersonali inconsce permette di espandere la ricerca finalizzata ad esplorare la ricaduta che ha tale scoperta nel mantenere, minare e curare la relazione di coppia stabile.
La conoscenza del ruolo che possono avere certi legami associativi nell’attivazione di mete interpersonali inconsce lungo l’evoluzione della vita di coppia, può avere una ricaduta nell’incrementare la consapevolezza con cui i partner possono scegliere, singolarmente ed insieme, a quali forme di condizionamento lasciarsi esposti, in linea con la visione progettuale che ciascuno ha di se stesso in relazione al compagno/a.
Infine la conoscenza della possibilità che si attivino mete interpersonali inconsce può essere usata per orientare progetti di prevenzione e di intervento finalizzati a promuovere consapevolezza e responsabilità di sé nella relazione con l’altro quando la posta in gioco è la formazione ed il mantenimento di una coppia.

L'uso del contratto nella Psicoterapia analitico transazionale

L'Analisi Transazionale si propone, da un punto di vista metodologico, come una Terapia Contrattuale in quanto considera la stipulazione del contratto come un presupposto di base per intraprendere un percorso di cambiamento. Berne (1966) definisce il contratto come “un esplicito impegno bilaterale per un definito corso d’azione, sottolineando il ruolo di responsabilità reciproca che terapeuta e cliente si assumono nel portare avanti un lavoro all’interno di un percorso condiviso. Egli distingue gli elementi che riguardano i contenuti dell’accordo, come ad esempio la distinzione di ruoli e competenze, dai processi, che si riferiscono alla relazione. Secondo Woollams e Brown il contratto è un accordo tra cliente e terapeuta che definisce mete, tappe e condizioni della terapia. Nel lavoro clinico utilizzo il contratto con l’obiettivo di condividere con il cliente uno scopo centrale da raggiungere al termine della terapia, e sulla base del quale elaborare un piano d’azione da attuare durante il processo terapeutico. I concetti ai quali faccio principalmente riferimento per la formulazione del contratto, sono quelli proposti da Steiner (1974).
L’autore sottolinea quattro componenti principali:
- Il mutuo consenso, in base al quale terapeuta e cliente stabiliscono i termini del contratto, costituisce un criterio di validità rispetto all’accordo stipulato, in quanto definisce un territorio comune entro il quale muoversi per raggiungere un unico obiettivo.
- Una valida remunerazione, che stabilisce come ciascuno metta nel rapporto qualcosa di valido. Di solito si riferisce alla retribuzione economica.
- La competenza, sia da parte del terapeuta che del cliente, relativamente alle proprie capacità professionali per il primo e alle risorse da investire in un lavoro che mira al cambiamento per il secondo.
- Un obiettivo legale, che fa riferimento alla definizione del contratto in conformità ai principi etici e al codice deontologico.Nella formulazione del contratto, da intendere come un processo che, seppur collocabile nei momenti iniziali del percorso terapeutico, è spesso soggetto a ridefinizioni o ad ulteriori specificazioni, stabilisco dunque con il cliente il cambiamento che intende ottenere al termine della terapia, in relazione alle risorse disponibili. Nello specifico ritengo essenziale non solo la collaborazione e disponibilità a cambiare, ma anche la valutazione degli obiettivi in termini di raggiungibilità. E’ a tale scopo fondamentale tener conto degli spazi e tempi disponibili, soprattutto all’interno di un ciclo di terapia breve, attraverso una definizione del setting che stabilisca i limiti del mio intervento. A tale proposito Berne parla di “Livello Amministrativo e Professionale” come uno dei criteri da considerare per ritenere un contratto valido, in quanto permette la definizione di regole condivise rispetto al setting, in una modalità più o meno strutturata. Il concetto di “Livello Psicologico”, invece, fa riferimento alla dimensione ulteriore della relazione, e sottolinea l’importanza del porre attenzione agli aspetti più inconsapevoli e manipolativi che il cliente usa per portare avanti il proprio Copione anziché scegliere modalità di comportamento alternative. I Gouldings sottolineano come non tutti i contratti siano accettabili, citando tra questi i “Contratti Genitoriali” o quelli in cui il cliente si aspetta il cambiamento di qualcun altro, come esempi di accordi non accettabili. Nel lavoro con G. è stato fondamentale riconoscere come la sua iniziale richiesta di focalizzare la terapia sul sintomo (“vorrei smettere di piangere agli esami”), conteneva un messaggio ulteriore con il quale mi invitava a prendermi cura di lei da una posizione genitoriale. Attraverso tale consapevolezza ho potuto lavorare per ridefinire un contratto A-A, evitando così di accettare un “Contratto Genitoriale”.
Nel lavoro con i clienti, pongo attenzione alla “specificazione del contratto”, in termini comportamentali (Holloway e Holloway, 1973) e alla formulazione in termini positivi, chiari, concreti, osservabili. La formulazione in termini positivi mi permette di aiutare il cliente a rimanere focalizzato su ciò che desidera ottenere per sé, piuttosto che sul problema, mentre la definizione in termini chiari e concreti mi consente il monitoraggio dei passi intermedi fatti. Il confronto tra progressi osservabili e obiettivo iniziale fornisce inoltre al cliente un rinforzo rispetto alla motivazione al cambiamento, consolidando la fiducia in sé e nel lavoro terapeutico. Durante il processo di formulazione del contratto ritengo essenziale seguire un percorso strutturato in tappe e finalizzato alla negoziazione con il mio cliente. La suddivisione proposta da Holloway e Holloway (1973) rappresenta un importante punto di riferimento per tale lavoro. Gli autori distinguono cinque fasi nella determinazione del contratto: La prima fase consiste nella “chiarificazione delle intenzioni” delle due parti, con l’obiettivo di esplorare gli orientamenti di entrambi. Successivamente vengono identificati gli “interessi reciproci” per distinguere la richiesta di cambiamento del cliente da una aspettativa sottostante di non cambiamento legata al Copione. Nella fase di “specificazione del contratto”, si lavora per definire cosa e in che modo cambiare. Infine, nelle fasi di “esplorazione”, “chiarificazione” e “affermazione”, viene realizzato il cambiamento.Mi è utile distinguere tra Contratto di Controllo Sociale e contratto di Autonomia (Holloway e Holloway, 1973). Il primo viene solitamente utilizzato durante una fase iniziale della terapia; il secondo fa invece riferimento all’uscita dal Copione.

Coppia 1+1= 3: istruzioni per l’uso


La vita della coppia spesso vive dei periodi di crisi che i membri della stessa hanno difficoltà a gestire. Come si spiega che il compagno/a che avevamo scelto un tempo come il partner della nostra vita non si accordi con i nostri bisogni ed aspettative? Cosa si nasconde dietro questi momenti di crisi della coppia? Esistono delle crisi fisiologiche che la coppia inevitabilmente attraversa?
Per cogliere la natura di tale fenomeno è utile prendere in considerazione il lavoro di E. Bader e P. Pearson nel libro “In Quest of the Mytical Mate” (Alla ricerca del compagno mitico, 1988).  Nel lavoro proposto dagli autori questo è un modello conoscitivo della coppia e per questo invito il lettore a prenderlo come tale. Ovvero non come uno schema che esplicita la verità di come stanno le cose nel ciclo della coppia, come la coppia è (modello ontologico) bensì come “una lente” per leggere una verità sulla coppia (modello epistemologico), avendo così in mano una “chiave di lettura” in più per comprendere tale fenomeno. Questa consapevolezza permette di lasciare che la coppia singola rimanga tale nella sua unicità.
Nel loro modello del ciclo di vita della coppia ipotizzano che le fasi evolutive della coppia ripercorrono le fasi di sviluppo della prima infanzia, secondo il modello evolutivo della psicoanalista Margaret Mahler, (fase autistica da zero a due mesi, fase simbiotica da tre a sei mesi, fase della separazione individuazione:
a. differenziazione da sei a nove mesi, b. sperimentazione da dieci a diciassette mesi, riavvicinamento da diciassette a trentasei mesi, oggetto e costanza di sé dai trentasei mesi) in quanto il legame di coppia è un comportamento di attaccamento che ripropone modalità analoghe a quelle sperimentate nel rapporto precoce con la figura di attaccamento principale, che solitamente è la madre biologica o il caregiver del bambino (teoria dell’attaccamento di J. Bowlby).
La coppia quindi, come il bambino dai zero ai tre anni, attraversa inizialmente la fase della simbiosi, poi quella di differenziazione, di sperimentazione, di riavvicinamento e di mutua interdipendenza. Non sempre l’evoluzione riesce a completarsi e questo significa l’insorgenza di problematiche più o meno dolorose o la rottura del rapporto.
Così scrivono E. Bader e P. Person nel loro manuale: “Sfortunatamente per molte coppie non accade che si proceda con successo attraverso le fasi di sviluppo […] un membro della coppia può sperare di mantenere continuamente la relazione come fusione simbiotica, mentre l’altro può richiedere supporto ed incoraggiamento per un’attività indipendente. Ciò crea tensione nella relazione a seguito della posizione delle due persone in due fasi differenti”.
Occorre tener presente che la crescita del matrimonio è come la crescita dell’individuo e consiste in un processo senza fine di alternanza dialettica tra unione, con il relativo pericolo di schiavitù e individuazione con il rischio dell’isolamento. Non vi è soluzione a questo processo senza fine, a quest’alternanza tra appartenenza e separazione.
Questo processo in ogni caso comporta tempi e modalità d’evoluzione che sono propri e unici di “quella” specifica coppia.
Vediamo brevemente in una descrizione analitica il ciclo di vita della coppia.

Il ciclo di vita della coppia
Voglio poterti amare senza aggrapparmi, apprezzarti senza giudicarti, raggiungerti senza invaderti, invitarti senza insistere, lasciarti senza senso di colpa, criticarti senza biasimarti, aiutarti senza umiliarti; se vuoi concedermi la stessa cosa allora potremo veramente incontrarci ed aiutarci reciprocamente a crescere” (Virginia Satir).

1) Il delirio passionale: la simbiosi
Mettimi come sigillo sul tuo cuore […] perché forte come la morte è l’amore"
(Cantico dei Cantici, 8, 6).
Questo tipo di contratto relazionale è caratterizzato da un’idealizzazione molto spinta dell’altro. Questa è la fase del cosiddetto “innamoramento” in cui si crede di aver trovato l’uomo o la donna giusti per fare coppia, in cui fra tutti si è privilegiato un individuo dal quale ci si sente inspiegabilmente attratti, affascinati, rapiti sia sessualmente che emotivamente, che intellettualmente. Certe caratteristiche dell’altro hanno un fascino straordinario come gli occhi, le mani, il modo di camminare, ecc., l’altro corrisponde al proprio modello ideale di partner.Da innamorati si percepiscono solo le somiglianze, si annullano le differenze, si attribuisce più fiducia all’altro che a se stessi, si delega all’altro la soddisfazione dei propri bisogni, si prova la sensazione che la volontà dell’altro sia la propria e che i progetti di vita siano identici. E’ la fase in cui diciamo all’amato: “Ti amo perché ho bisogno di te!”

2) La delusione-separazione: la differenziazione
Perciò ricorda e tieni bene a mente: l’amore dato non è mai perduto, e torna indietro in modo singolare, talvolta quando meno te l’aspetti, vi è qualcuno cresciuto all’ombra della tua parola, che ti comprende t’ascolta e ti consola” (Elisabetta Vella).
Questo è lo stadio successivo a quello simbiotico nell’evoluzione della coppia. La differenziazione è conseguenza alla delusione che l’altro non è la figura idealizzata creata nella fase di innamoramento. Questa fase è anche detta del “risveglio”: aprire gli occhi per vedere l’altro nella sua verità, si smette di sognare che l’altro sia ciò che si desidera, ci si accorge che si è voluto l’altro vicino per essere ciò che l’altro è e questo era possibile solo nel “sogno romantico”. È la fase in cui i membri della coppia cominciano a dirsi di “no”, ma sentono angoscia nel pensarsi separati. Il risveglio suscita sentimenti contraddittori: da una parte è deludente constatare le differenze, le divergenze, constatare che l’altro non è l’interprete fedele del mio progetto ideale; dall’altra può diventare gratificante scoprire l’altra persona nella sua unicità. Queste potrebbero essere le parole che in sintesi potrebbero scambiarsi i partner di una coppia che si sente in crisi in questa fase del rapporto, quella della “differenziazione”, se riuscissero a mantenere una sufficiente tranquillità: “Non sono più l’unica e la sola per te, che sembri sempre meno desideroso di essere un tutt’uno con me; e tu sembri sempre più così differente dall’immagine ideale che ho visto all’inizio, quando ho pensato che avevo finalmente raggiunto la felicità senza fine”.
In pratica una coppia evolve dallo stato simbiotico a quello della differenziazione quando uno dei partner si sposta al di là dello stato simbiotico, e comincia l’auto-riflessione. Comincia a pensare in maniera indipendente e vi è uno spostamento verso l’introspezione per una ricerca del senso di sé, di un senso più profondo di sé. Il partner non viene più visto come la sorgente dell’auto-consapevolezza.
Le difficoltà diventano più intense quando uno dei due non è pronto e mette in atto tutti i tentativi per mantenere lo status quo. In questo caso il cambiamento viene visto come un segnale di deterioramento patologico del rapporto, anziché come un naturale processo evolutivo. Si pensa di avere sbagliato persona, o di avere sbagliato ad impostare il rapporto. In quest’ottica, non deve meravigliare che molti decidano di instaurare una relazione con un’altra persona, per rivivere il momento magico dell’innamoramento, convinti che questa volta andrà meglio.
Nel film d’Ingmar Bergman “Scene da un matrimonio” è magistralmente narrata una classica evoluzione del rapporto di coppia dove le difficoltà nel capire e poi gestire il processo di passaggio dalla simbiosi alla differenziazione, rendono particolarmente dolorosa l’evoluzione, come appare nel frammento che segue:
Marianne: “…Pensa a quell’estate quando facemmo il giro del Mediterraneo e avevamo con noi le figlie piccole nella tua vecchia macchinetta, e la sera rizzavamo la tenda. Ricordi quelle notti d’agosto sulla costa spagnola, quando dormivamo a cielo scoperto, stretti tutti e quattro? E stavamo tanto caldi!
Johan: “È inutile piangere sul latte versato. Le figlie crescono. Si rompono le relazioni. L’amore prende fine, come la tenerezza, l’amicizia, la solidarietà. Non c’è niente di straordinario. È così”.
Marianne: “A volte penso che tu ed io siamo stati come due bambini nati con la camicia, favoriti dalla sorte e poi viziati; che abbiamo perduto le nostre risorse e ci siamo ritrovati poveri, amareggiati e stizziti. Dobbiamo aver commesso un errore da qualche parte, e non c’è nessuno che possa dirci dov’è che abbiamo sbagliato”.
Johan: “Ti dirò una cosa piuttosto banale. In materia di sentimenti noi siamo degli analfabeti. E il fatto triste è che ciò riguarda quasi tutte le persone…”.
In questo frammento è evidente come la fine della simbiosi è vissuta dai due come un segno che è stato fatto un qualche errore e come un’evoluzione patologica del rapporto. Nel film, come spesso accade nella vita reale, il protagonista (Johan) tenta di risolvere il suo senso d’insoddisfazione nel rapporto instaurando una relazione extraconiugale, che viene ad un certo punto comunicata improvvisamente alla moglie. La magia del nuovo innamoramento dà a lui un’illusione di avere risolto i problemi che stava attraversando, mentre lei cade nel più profondo sconforto. Ma anche il nuovo rapporto prevede che anche lì la simbiosi non duri in eterno, e Johan e Marianne si ritroveranno a doversi confrontare per capire. Si ritroveranno come persone diverse. Hanno attraversato entrambi la valle di lacrime e l’hanno resa più ricca di sorgenti.
S’inseriscono nella realtà in una maniera diversa. Infatti, la fine della simbiosi e l’evoluzione nelle fasi successive comporta la riscoperta di se stessi nel mondo, con tutte le possibilità che nascono dall’entrare più profondamente nella realtà. Questo non significa la fine del sentimento in quel rapporto. Anzi, la accresciuta fiducia in sé e nell’altro, dà la possibilità di godere in modo più libero il nostro essere su questa terra. Il passaggio dalla differenziazione alle fasi successive ha il vantaggio di sperimentare la cosiddetta “costanza dell’oggetto amato”, la fiducia che ci consente di non avere bisogno di tenere l’altro sotto controllo.

3) La sperimentazione: l’esplorazione
"La fedeltà non è un dovere, un impegno limitante e sofferto. E' una scelta rinnovata ogni giorno, un dono fatto all'altro che vi risponde liberamente" (Elisabetta Baldo).
In questa fase del ciclo vitale della coppia è molto difficile scendere a compromessi, negoziare, perché c’è distacco emotivo. Caratteristica saliente di questa fase è “la distanza”, la coppia è competitiva e non c’è empatia: è lo stadio in cui prevale il ’me me me’. Nessuno dei due partner vuole mollare, combattono e discutono in modo non pacifico, non c’è connessione emotiva. E’ importante in questa fase per poter giungere a quella successiva assumersi la responsabilità della propria rabbia.

4) L’accettazione: il riavvicinamento e l’interdipendenza
…Non è amor l’amore che cambia quando trova un cambiamento, che si allontana quando l’altro si allontana. Oh no! E’ un faro fisso per sempre, che guarda la tempesta senza essere scosso” (Shakespeare, sonetto CXVI).
Si giunge ad un nuovo contratto relazionale ben diverso da quello simbiotico. Si torna dal partner per risolvere i conflitti insieme. I due elementi della coppia sono indipendenti, ma allo stesso tempo sono in grado e vogliono dare all’altro. È la fase in cui si scopre che il difetto dell’altro fa sorridere, è la fase in cui se i due discutono lo fanno sui contenuti e non sulla persona. È la fase in cui si dice all’altro: “Ho bisogno di te perché ti amo!”
Ecco allora la domanda che libera: “Mi Ami?” – in altre parole sei disposto/a a lasciarmi essere come sono e a venirmi incontro per quanto ti è possibile?”. “Ti amo” significa: “Faccio altrettanto”.
Questo processo è ben illustrato nell’invito che propone G. K Gilbran, ne “Il profeta”, quando parla del matrimonio. Così dice: “Amatevi vicendevolmente, ma il vostro amore non sia una prigione: lasciate piuttosto un mare ondoso tra le due sponde delle vostre anime […] come le corde di un liuto, che sono sole, anche se vibrano per la stessa musica”.

Bibliografia
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Giusti, E., Ritrovarsi prima di cercare l’altro, Armando Editore, Roma, 2004.
Giusti E., Pitrone A., Essere Insieme, terapia integrata della coppia amorosa, Sovera Multimedia, Roma, 2004.
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Schellenbaum P., Il No in amore, come amare in libertà e autonomia nella vita di coppia, Ed. Red, Novara, 2001.
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lunedì 21 febbraio 2011

Comprendere le implicazioni psichiche del trauma in età infantile



Nonostante sia un sapere comune che un trauma in età evolutiva potrebbe avere radicali e talvolta estreme conseguenze per la salute mentale in età adulta, è meno ovvio che l’abuso, la trascuratezza, l’alcolismo dei genitori, patterns famigliari gravemente disfunzionali e altri eventi stressanti in età infantile, possono danneggiare gravemente la salute mentale adulta e, perfino, determinare mortalità. A questo proposito, un’indagine chiamata Adverse Childhood Experiences Study (ACE) condotta congiuntamente dal Kaiser Permament HMO in California e dal Centrer for Disease Control and Prevention tra il 19995 e il 1997 e ancora in corso, ha dimostrato una straordinaria correlazione tra il maltrattamento in età infantile e successive malattie mediche e morte prematura.
Lo studio ACE si è basato sulle dettagliate interviste somministrate a più di 17000 membri del Kaiser Permanente circa le loro esperienze infantili di trascuratezza, abuso e disfunzioni familiari. Mentre il profilo psichico dei partecipanti è stato tracciato attraverso gi anni, circa 70 articoli scientifici hanno pubblicato correlazioni tra le esperienze avverse dell’infanzia e la presenza di patologie sia mentali sia fisiche, come ad esempio disturbi autoimmuni, disturbi relativi al cuore, fegato, polmoni, cancro, epatite o itterizia, fratture delle ossa e disturbi a trasmissione sessuale. Attraverso l’esplorazione dettagliata delle esperienze di vita di altri pazienti che pare abbiano ottenuto una risoluzione degli eventi traumatici, alcuni fatti curiosi sono venuti alla luce. Praticamente nessuno dei partecipanti, durante l’infanzia, era stato sovrappeso, mentre la maggior parte dei bambini sovrappeso hanno aumentato il loro peso molto velocemente negli anni successivi, in modo inaspettato, solitamente in risposta a difficili eventi di vita. Ma la notizia sorprendente è che le interviste hanno rilevato preoccupanti pattern di abusi sessuali infantili, traumi, suicidi in famiglia, violenza e altre manifestazioni di relazioni familiari gravemente disfunzionali. In uno studio su 286 persone obese, ad esempio, Felitti ha scoperto che circa la metà è stata vittima di abusi sessuali durante l’infanzia. (…) Sono comunque relativamente pochi finora gli studi che si sono occupati degli effetti che l’abuso nei bambini, la trascuratezza e altri gravi stress, possono avere sulla salute mentale e psichica nell’età adulta. Quindi, lo studio ACE condotto da Felitti e Robert Anda, un ricercatore medico epidemiologi sta che si occupa dell’origine psicosociale del comportamento patologico, come ad esempio la sovralimentazione, l’abuso di alcol, abitudini sessuali rischiose, uso di sostanze illecite, ha dato un contributo significativo alla comprensione degli effetti di tutto ciò sulla salute mentale. Gli autori chiesero a 26000 pazienti del Kaiser Permanent di sottoporsi ad una serie completa di esami non correlati alla patologia se fossero stati disposti a rispondere a delle domande relative ad esperienze infantili disturbanti. Il 71% si è dichiarato d’accordo, 17337 persone fu il numero complessivo di partecipanti allo studio, dopo l’esclusione dei casi con dati incompleti e duplicati. Questo gruppo comprendeva la tradizionale classe media della popolazione: l’età media era di 57 anni, l’etnia Caucasica era pari al 77% del campione, il 74% delle persone ha frequentato il college, la distribuzione tra uomini e donne era equivalente. I ricercatori indagarono ed intervistarono queste persone direttamente su aspetti relativi a 10 categorie di esperienze infantili negative, suddivise in tre macrocategorie (abuso, disfunzioni familiari, trascuratezza) ognuna delle quali comprendeva numerose domande: “Siete stati fisicamente, psicologicamente o emotivamente abusati? Qualcuno in famiglia ha abusato di alcol o droga? Qualcuno in famiglia soffriva di depressione cronica, è stato istituzionalizzato, ha avuto patologie psichiche, e/o si è suicidato? Siete stati testimoni delle minacce o dei maltrattamenti subiti da vostra madre da parte del coniuge o del compagno? Siete cresciuti in un’atmosfera di amore, calore e protezione?”.
Successivamente i ricercatori hanno cercato correlazioni tra ciò che i partecipanti hanno vissuto durante l’infanzia e la loro salute, il loro benessere e i fattori di rischio per la salute nella loro età adulta. Ad ogni categoria positiva è stato assegnato un valore pari a 1. I risultati furono sbalorditivi: sia per quanto riguarda la prevalenza di maltrattamento e di esperienze avversive vissute, sia per quanto riguarda l’impatto sulla salute delle persone, evidente fino a 40, 50 anni dopo. I ricercatori riscontrarono che le esperienze negative in età infantile sono molto comuni: solo il 33% del campione ottenne infatti un punteggio pari a zero, ovvero con nessuna categoria applicabile al soggetto. Di ulteriore importanza è il fatto che è stato rilevato che le avversità tendono a verificarsi in “pacchetti”: se una categoria era presente (ad esempio l’alcolismo) nell’87% dei casi era presente anche un’ulteriore categoria (ad esempio, abuso sessuale o emotivo).
Un partecipante su 6 ha ottenuto un punteggio pari a 4 o più (ad esempio abuso sessuale, alcolismo, abuso fisico, maltrattamenti familiari). Come gli autori Felitti e Anda hanno evidenziato in un capitolo del testo “The impact o early life trauma on health and disease: the ridde epidemic”, ogni evidenza medica determina un altro punteggio alle categorie dello studio ACE. Tendenzialmente questi sono i pazienti più difficili. È  sorprendente apprendere che il 66% di un campione ampio, rappresentativo della classe media, bianca, con un elevato livello di scolarizzazione è stato vittima di maltrattamenti e/o disfunzioni all’interno della famiglia quando era bambino. Ma è positivamente sorprendente notare come viene espressa, ancora una volta, la profonda relazione tra le avversità durante l’infanzia e molti tra i disturbi mentali, fisici e sociali che tormentano la nostra società.
Nell’autunno del 2009, 15 anni dopo che è partito lo studio ACE, sessanta differenti studi di revisione correlati hanno dimostrato la connessione tra le esperienze avversive in età infantile e la salute in età adulta. Intuitivamente, appare ovvio che le avversità infantili incrementano i rischi per lo sviluppo di problemi psichici ed emozionali in età adulta e questo studio lo dimostra. Le persone che hanno ottenuto alti punteggi nelle categorie ACE (chiamati Acers) soffrono in modo sproporzionato rispetto alla norma di depressione cronica e hanno maggior rischio suicidario. Le persone con un punteggio ACE pari a 4, ad esempio, sono 4,6 volte maggiormente a rischio di depressione rispetto ai soggetti con un punteggio pari a 0. Un uomo con un punteggio ACE uguale a 6 corre un rischio di 46 volte superiore alla media di utilizzare in età adulta droghe per via endovenosa rispetto ai soggetti con punteggi pari a zero. Gli Acers soffrono maggiormente di problemi relativi all’ansia, reazioni da panico, gestione della rabbia, sintomi dissociativi, disturbi del sonno, allucinazioni, utilizzo di droghe, alcolismo e somatizzazione. Successive ricerche correlate allo studio ACE hanno mostrato una forte correlazione tra le esperienze negative infantili, trauma, trascuratezza e lo sviluppo di disturbi di personalità in età adulta, in particolare con il disturbo borderline di personalità. Ancora, lo studio ACE, come le altre ricerche, mostra come un maggior numero di fattori traumatici aumenta il rischio di sviluppo di patologie psichiatriche. Ciò che è meno intuitivo è che i punteggi ACE hanno una vasta e profonda influenza nello sviluppo di patologie mediche, addirittura mezzo secolo dopo che i traumi infantili sono avvenuti. Le avversità in infanzia aumentano il rischio di sviluppare patologie fisiche e disabilità, che includono patologie al cuore e ai polmoni, disturbi autoimmuni, disturbi al fegato, cancro (aumentano del 48% la probabilità), diabete, infezioni a trasmissione sessuale, HIV, epatite e dolore cronico. È significativo scoprire, sebbene sia solo una probabilità, che le persone che hanno ottenuto un punteggio pari a 6 corrono il rischio di morire due decenni prima delle persone con un punteggio pari a 0. Una delle motivazioni per cui gli Acers soffrono di un numero maggiore di disturbi fisici (altri studi hanno ripetutamente confermato questo dato) è il fatto che il maltrattamento in età infantile determina con maggiori probabilità la scelta di stili di vita a rischio (es. fumo, alcol, sesso promiscuo, abuso di droghe) che, come è noto, sono fattori di rischio per molte malattie. Facendo ad esempio una comparazione con uomini che hanno ottenuto un punteggio ACE = 0, gli uomini con ACE = 6 sono fumatori nel 2,5% dei casi in più, fanno uso di droghe nel 46% dei casi in più, mentre i soggetti maschi con un ACE pari a  rischiano di diventare alcolizzati cinque volte di più e rischiano 12 volte in più di tentare un suicidio rispetto ai soggetti con ACE = 0.
Come indicano i risultati di Anda e Felitti le dipendenze a lungo termine fissano in modo stabile problematiche relative all’ansia, alla rabbia, alla depressione, alla bassa autostima, all’isolamento e alla disperazione, oltre ad essere un gravissimo fattore di rischio per quanto riguarda la salute e la longevità. Particolarmente avvincente è che gli alti punteggi ACE sono correlati con vari disturbi, tra cui il cancro, i disturbi coronarici e delle arterie, le ostruzioni polmonari croniche, anche quando vengono esclusi i principali fattori di rischio che determinano queste patologie, come il fumo, l’inquinamento atmosferico o il colesterolo alto. In altre parole, i disturbi finora considerati riconducibili esclusivamente a cause mediche e strutturali che si presentano in età adulta potrebbero avere inaspettate origini, decenni prima dell’ età adulta, nelle reazioni fisiologiche allo stress determinate da traumi in età infantile.
I risultati dello studio ACE, a proposito delle esperienze avversive vissute in età infantile e gli effetti delle stesse lungo tutto il ciclo di vita sulla salute e sul benessere della persona, sono citati spesso come le più importanti questioni che riguardano la salute pubblica negli USA. L’impatto dello stress in età infantile sul sistema neuro biologico cerebrale rimane silente fino alle mezza età o la vecchiaia, quando questi pazienti svilupperanno quindi problemi fisici, ipertensione, obesità, diabete, ecc, mezzo secolo dopo che è avvenuto l’evento stressante.

mercoledì 16 febbraio 2011

La Dipendenza affettiva


Una premessa è d’obbligo quando si parla di dipendenza affettiva: ognuno di noi è dipendente in qualche misura dagli altri, tutti noi abbiamo bisogno di approvazione, empatia, di conferme e ammirazione da parte degli altri, per sostenerci e per regolare la nostra autostima.
La vera indipendenza non è né possibile né auspicabile. Ma la dipendenza affettiva può raggiungere una forma così estrema da diventare patologica.
In questi casi la persona non è in grado di prendere delle decisioni da sola, ha un comportamento sottomesso verso gli altri, ha sempre bisogno di rassicurazioni e non è in grado di funzionare bene senza qualcun altro che si prenda cura di lei (G. O. Gabbard, 1995).
Le persone dipendenti sono schive e inibite, quando sono sole si sentono indifese: vivono nel terrore di essere abbandonate e sono letteralmente sconvolte quando qualche relazione stretta finisce.
Per farsi ben volere sono disposte a fare cose spiacevoli e degradanti e, pur di stare nell’orbita dell’altro, possono accettare situazioni per chiunque intollerabili (Lingiardi V., 2005).
  • Cos’è la dipendenza affettiva?
La dipendenza affettiva è una condizione relazionale negativa che è caratterizzata da una assenza cronica di reciprocità nella vita affettiva e nelle sue manifestazioni all’interno della coppia, che tende a stressare e a creare nei “donatori d’amore a senso unico” malessere psicologico o fisico piuttosto che benessere e serenità.
Tale condizione, nella migliore delle ipotesi, potrebbe essere interrotta per ricercare un nuovo stato di serenità. Qualora ciò risulti impossibile si è soliti parlare di “dipendenza affettiva”.
  • Quali sono le caratteristiche delle persone con una dipendenza affettiva dal partner?
- Una prima caratteristica della dipendenza affettiva è la difficoltà a riconoscere i propri bisogni e la tendenza a subordinarli ai bisogni dell’altro.
L’amare l’altro diventa spesso una forma di sofferenza; il benessere emotivo, a volte anche la salute e la sicurezza, vengono messi a repentaglio per il benessere dell’altro.
Troppa energia vitale è impiegata nell’amare o nel ricevere amore e approvazione, poca ne rimane per attività autodeterminate, rivolte al raggiungimento di obiettivi precisi.
Le persone con difficoltà affettiva non riescono a prendersi cura di sé, a creare degli spazi per la propria crescita personale perché sempre prese, in quel momento, da qualche problema del partner che richiede la loro attenzione e la loro energia vitale.
- La seconda caratteristica è un atteggiamento negativo verso il Sé, per cui si ha un pensiero del tipo: “io sono cattivo, gli altri sono buoni, mi trattano male per colpa mia, devo cercare di accattivarmeli” (M. Selvini Palazzoni, S. Cirillo, M. Selvini, A. M. Sorrentino, 1998).
Queste persone soffrono di un profondo senso di inadeguatezza.
Sono convinte che per essere amate devono sempre essere diligenti, amabili, sacrificarsi per l’altro per poter ricevere il suo amore. Anche quando questo vuol dire farsi male.
- Un’altra caratteristica che accomuna tutti i rapporti dei dipendenti da amore è la paura di cambiare. Pieni di timore per ogni cambiamento, essi impediscono lo sviluppo delle capacità individuali e soffocano ogni desiderio e ogni interesse.
Chi soffre di dipendenza affettiva è ossessionato da bisogni irrealizzabili e da aspettative non realistiche.
Queste persone ritengono che occupandosi sempre dell’altro la loro relazione diventi stabile e duratura.
Ma, immancabilmente, le situazioni di delusione e risentimento che si possono verificare li precipitano nella paura che il rapporto non possa essere stabile e duraturo ed il circolo vizioso riparte, a volte addirittura "amplificato". Non ci si rende conto che l’amore richiede onestà e integrità personale perché l’amore è un accrescimento reciproco, uno scambio reciproco tra persone che si amano.
Gli affetti che comportano paura e dipendenza, tipici della dipendenza affettiva, sono invece destinati a distruggere l’amore.
- Spesso, anche se non sempre e necessariamente, la persona amata è irraggiungibile per colui o colei che ne dipende.
Quello che incatena nella dipendenza affettiva è l’ingiustificata, assurda, sconsiderata presunzione di farcela.
La presunzione di riuscire prima o poi a farsi amare da chi proprio non vuole saperne di amarci o di amarci nel modo in cui noi pretendiamo.

Ma è proprio vero amore?
La dott.ssa Norwood nel suo libro “Donne che amano troppo” risponde con molta chiarezza a questa domanda:
“Se mai vi è capitato di essere ossessionate da un uomo, forse vi è venuto il sospetto che alla radice della vostra ossessione non ci fosse l’amore, ma la paura; noi che amiamo in modo ossessivo siamo piene di paura: paura di restare sole, paura di non essere degne di amore e di considerazione, paura di essere ignorate, o abbandonate o annichilite. Offriamo il nostro amore con la speranza assurda che l’uomo della nostra ossessione ci protegga dalle nostre paure; invece le paure e le ossessioni si approfondiscono, finché offrire amore nella speranza di essere ricambiate diventa la costante di tutta la nostra vita. E, poiché la nostra strategia non funziona, riproviamo, amiamo ancora di più. Amiamo troppo”.
L’amore dipendente, conseguentemente, si mostra con le seguenti caratteristiche:
  • è ossessivo e tende a lasciare sempre minori spazi personali
  • è basato su continue richieste di assoluta devozione e di rinuncia da parte dell’amato
  • è caratterizzato da una tendenza a ripiegarsi su se stesso e a chiudersi alle esperienze esterne per paura del cambiamento e per la necessità di mantenere fermi alcuni punti certi, soffocando qualsiasi desiderio o interesse personale in nome di un amore che occupa il primo posto nella propria vita
Due caratteristiche epidemiologiche importanti della dipendenza affettiva sono:
  • l’alta incidenza nella popolazione femminile, al punto da stimare che il fenomeno sia al 99% diffuso in questa fetta della popolazione (Miller, 1994) in molti paesi del mondo
  • la tendenza ad associarsi a disturbi post-traumatici da stress, per cui in genere questa forma di dipendenza si osserva in persone che hanno anche vissuto abusi o maltrattamenti, un aspetto che fa pensare che siano stati tali eventi a far sviluppare forme affettive dipendenti
Alcune caratteristiche delle famiglie in cui sono cresciute le persone con una dipendenza affettiva (Norwood, 1985):
  • Famiglie in cui i bisogni emotivi non vengono riconosciuti. Il bisogno di affetto e amore vengono trascurati, ma cosa più invalidante, vengono ignorate le percezioni e i sentimenti dell’individuo fin dall’infanzia, che di conseguenza tende ad adattare le sue percezioni a quello che gli viene detto dalle sue figure di riferimento. Gli esiti sono la perdita della fiducia in sé stessi e nelle proprie percezioni, che da adulti comporta l’incapacità a discernere tra le situazioni e/o le persone che possono arrecare danno.
  • Presenza di violenza tra i genitori e/o tra genitori e figli.
  • Comportamento sessuale scorretto da parte di un genitore verso una bambina o un bambino, che può andare dalla seduttività fino all’abuso sessuale.
  • Presenza costante di litigi e tensioni.
  • Lunghi periodi di tempo in cui i genitori rifiutano di parlarsi tra loro.
  • Un genitore incapace di avere rapporti normali con altri membri della famiglia e che li evita di proposito, dando loro la colpa del suo isolamento.
  • Abuso di alcol o di altre droghe.
  • Genitori in competizione tra loro o con i loro figli.
  • Comportamenti compulsivi, bisogno irresistibile di continuare a mangiare, lavorare, pulire, giocare d’azzardo, spendere, ecc. Questi comportamenti coatti sono come droghe, processi patologici progressivi; tra i molti effetti dannosi, distruggono e impediscono contatti sinceri e intimità nella famiglia.
  • Genitori che hanno atteggiamenti o valori conflittuali o manifestano comportamenti contraddittori l’uno in competizione con l’altra per ottenere la complicità dei bambini.
  • Estrema severità in fatto di denaro, religione, lavoro, uso del tempo, manifestazioni di affetto, sesso, politica ecc.. Una qualsiasi di queste ossessioni può precludere i contatti e l’intimità, perché non si dà importanza ai rapporti, ma all’obbedienza alle regole.
Le famiglie disturbate possono avere problemi diversi, ma tutte hanno in comune un effetto sui figli: sono tutti bambini in qualche modo sminuiti nella loro capacità di comprendere i sentimenti propri e altrui e di mettersi in relazione con gli altri.

domenica 6 febbraio 2011

La crisi di coppia


A volte, tra partner, si pensa alla propria coppia come ad una casa: una volta costruita durerà per sempre.

La coppia, invece, è più simile ad un essere vivente che ad un oggetto inanimato.
Essa cresce, cambia e si sviluppa, incontra e scambia affetto e informazioni, genera e produce altra vita.
Affinché i partner possano continuare a trovare soddisfazione e piacere nella vita di coppia c’è bisogno di un impegno costante che il più delle volte è piacevole e comunque portatore di ricchezze per entrambi.
In alcuni momenti, però, solo un intervento esterno può restituire la libertà ad una coppia imbrigliata dalle sue limitanti regole.
Una terapia di coppia interviene permettendo alle energie vitali della coppia di rifluire liberamente verso la soddisfazione e la crescita.

    Intervenire con la terapia sulla coppia nei momenti di crisi che ciclicamente la attraversano non significa unicamente superare le difficoltà, quanto piuttosto imparare un modo di nutrire il legame affettivo, per poter vivere la relazione di coppia in modo più costruttivo e soddisfacente.
Il primo obiettivo della terapia su una relazione in crisi è quello di accrescere la consapevolezza delle modalità relazionali, comunicative e di contatto presenti nella relazione di coppia ed individuare gli specifici aspetti che contribuiscono a generare ed alimentare la crisi.
Il terapeuta sostiene quindi la coppia durante la terapia con alcuni colloqui congiunti e, a volte, alcuni colloqui individuali, durante i quali è possibile chiarire gli elementi della storia individuale dei partner che influenzano la coppia e determinano la crisi.

    In tutte le coppie in crisi, scatta un meccanismo psicologico particolare: ciascuno considera il partner il principale responsabile della situazione di tensione che si è venuta a creare. In altre parole, ciascuno sente di essere dalla parte della ragione.
E' inutile dire che questo modo di vedere le cose causa dei grossi problemi nella coppia: ciascun coniuge si arrocca sulle sue posizioni e cerca invece di fare delle pressioni perché il partner cambi.
Il solo risultato che si ottiene in questi casi è quello di far sentire il partner poco capito, poco apprezzato e poco amato.
Per migliorare il rapporto di coppia, occorre invece rendersi conto delle proprie responsabilità nell’aver contribuito ad instaurare una situazione insoddisfacente.

    La terapia di coppia è particolarmente consigliata per le coppie che si trovano in una situazione di stallo: non riescono più a stare bene insieme ma neppure a lasciarsi.
Diverse possono esse le forme di conflittualità che vengono espresse nell'ambito di una crisi di coppia: in alcuni casi, la coppia si attiva in una progressiva escalation di violenza verbale, psicologica e, nei casi più drammatici, anche fisica.
In altri casi, ci si protegge dalla crisi mettendo in atto un progressivo distanziamento, nella convinzione che questo possa permettere il protrarsi di una situazione di formale ed apparente buon funzionamento del rapporto, ma che, invece, ha come unica conseguenza una profonda incomunicabilità.
In questo secondo caso, uno o entrambi i partners si ritrovano a non essere più coinvolti emotivamente dall’altro senza capire come siano arrivati a questa situazione. 
 
 
Terapia individuale o terapia di coppia?


    Spesso i partners arrivano in terapia di coppia con una lunga lista di tutto quello che non funziona nell'altro.
E' come se la richiesta di terapia si fondasse sull'idea che modificando l'altro, il rapporto di coppia vedrà una rinascita più equilibrata e sintonica.
In realtà, il fatto stesso che entrambi partano da questo punto di vista, può inizialmente ostacolare un sano avvio del processo di terapia di coppia, portando, all'interno del percorso stesso, il ripetersi delle modalità che i partners già vivono tra le mura domestiche.
    La nuova possibilità rappresentata dalla terapia di coppia consente invece di assumere un punto di vista inusuale, ma, al tempo stesso costruttivo, e cioè "Cosa faccio io di sbagliato all'interno del mio rapporto di coppia?"
E' proprio la capacità di assumere questo punto di vista ad avviare un percorso di terapia di coppia efficace e produttivo.
    Purtroppo, non sempre le energie da mettere in gioco nel percorso terapeutico consentono ad entrambi i partners di muoversi all'unisono nella ricerca di questo nuovo equilibrio.
In questi casi, dopo un'attenta valutazione fatta insieme allo psicoterapeuta, si può decidere insieme di mettere in stand-by il percorso di coppia per concentrarsi maggiormente su una riattivazione delle risorse individuali, che verranno poi rese nuovamente disponibili per il processo della terapia di coppia.
   Non va inoltre dimenticata la possibilità di decidere per un percorso di terapia di coppia anche laddove il disagio sia soprattutto sperimentato solo da uno dei due partners.
La possibilità per chi soffre di sentire il sostegno e la vicinanza della persona amata, già di per sè rappresenta una fondamentale risorsa terapeutica.
Il partner, inoltre, partecipando alla terapia di coppia, potrà trovare uno spazio sicuro e protetto dove poter esprimere eventuali stati di fatica o di preoccupazione, senza temere di ferire l'altro.

Perché una terapia di coppia?


    La difficoltà di comunicare, la distanza emotiva tra i partner, il fatto, a volte dopo tanto tempo, di non riconoscersi più e di ritrovarsi come due estranei, o il non riuscire più a trovare, in un problema specifico, un accordo emotivamente soddisfacente ed iniziare un litigio interminabile quanto inutile, possono indicare la necessità di intervenire con una terapia di coppia.
Spesso, prima di arrivare a chiedere aiuto, entrambi i coniugi hanno già provato a risolvere le proprie problematiche rivolgendosi ad amici, parenti, alle istituzioni religiose o a forme diverse di compensazione del disagio.
Lo stesso tradimento, purtroppo, si configura spesso come una “forma altra” di richiesta d’aiuto.
In realtà, ognuno di questi movimenti tende generalmente a sancire tra i partner un percorso di separazione, emotiva e psicologica, al termine del quale ci si trova sfiancati e confusi rispetto a quelle che possono ancora essere le risorse cui attingere per recuperare il rapporto.

    La terapia di coppia può essere indicata anche quando uno dei membri presenta una patologia che troverebbe giovamento, e una soluzione più rapida, se questi potesse ricevere un aiuto consapevole dal partner. Nella depressione, nei problemi di legati all’ansia, nelle dipendenze, nei disturbi alimentari nell’adulto e persino nelle crisi psicotiche degli adulti, è stato scientificamente dimostrata la maggiore efficacia di una terapia di coppia rispetto a qualunque tipo di intervento solo individuale o farmacologico.
La vicinanza del partner, quando dobbiamo affrontare le nostre difficoltà e le nostre paure, ci incoraggia e sostiene. Inoltre la terapia sostiene anche il partner e gli permette di usare in modo più utile le sue conoscenze e possibilità.

    Va poi detto che, spesso, si tende a considerare la terapia come uno strumento che – quasi magicamente - risolve i problemi all’interno della coppia e permette una riappacificazione, e che a fare tutto questo sia il terapeuta.
Questa errata credenza, non solo investe il professionista di una grossa responsabilità, ma soprattutto declassa coloro che la richiedono a una forte passività.
Come nella relazione tra i partner, anche nella relazione terapeutica il lavoro di introspezione dovrebbe essere svolto da entrambe le parti, assumendosi ognuno la propria parte di responsabilità; non è un percorso semplice, ma se alla base è presente questo presupposto, assieme ad una forte motivazione, il cambiamento è già avviato.
Chi avesse il bisogno o la curiosità di esplorare quanto detto, deve sapere che dovrà imparare ad analizzare il rapporto con le proprie famiglie d’origine, capire che funzione ha il sintomo del malessere all’interno della relazione, il perché si è attivato in un momento particolare della vita di coppia e quali sono le dinamiche che incastrano entrambi senza permetterne lo sblocco e l’evoluzione.
Imparare a riconoscere e a sciogliere questi nodi permetterà la sperimentazione di nuovi comportamenti e attiverà delle risorse nuove o già presenti, ma male utilizzate.
 

Cosa affronta la Terapia di Coppia


    La Terapia di Coppia può essere richiesta per aspetti diversi e complessi.
In queste pagine potrai trovare risposte ai principali tipi di disagio all'interno della coppia, quali
- Tradimento
- Separazione
- Sessualità
- Difficoltà Procreative
I link ti permetteranno di approfondire le diverse sfaccettature che la terapia di coppia assume in relazione ai problemi specifici
    Le problematiche che si possono affrontare con la terapia sono svariate, possono essere sia del singolo come depressioni, attacchi di panico, fobie o disturbi alimentari, sia di entrambi come difficoltà sessuali, incapacità di comunicare, problematiche legate al concepimento dei figli, o alla loro gestione, e difficoltà rispetto alla separazione.

Non si deve aver paura di chiedere aiuto, nel farlo si può scoprire che quello che sembrava un problema molto complesso e senza via d’uscita, può avere delle molteplici soluzioni.