Scopo di questo spazio è far conoscere il mio impegno e la mia attività mirata a garantire e/o ripristinare il benessere psicologico e sociale attraverso il problem solving strategico applicato ai problemi umani, associando e utilizzando differenti approcci terapeutici (Analisi Transazionale, Gestalt, Terapia cognitivo-comportamentale...) che si rivelano più consoni, funzionali ed efficaci rispetto alla problematica, alla persona, alla situazione presente e al modo in cui essa la vive.
SPORTELLO DI ASCOLTO PSICOLOGICO GRATUITO
D.ssa Donatella Ghisu
Psicologa, Counsellor Psicologico e Socio-educativo, Anali Transazionale, Specialista in Psicoterapia Breve Strategica, Psicopedagogista, Specialista in: Disturbi alcol correlati, Chil Abuse, Psicologia forense, Disturbi dell'Apprendimento e del Comportamento, Trainer EMDR. Mi occupo di coppie, adolescenti ed adulti a livello individuale e di gruppo. Sostegno alla genitorialità, agli insegnanti nonché alle aziende pubbliche e private.
mercoledì 21 marzo 2012
domenica 29 gennaio 2012
Il cambiamento
Le emozioni guidano e favoriscono i processi decisionali e la soluzione dei problemi. Sono estremamente importanti ed altrettanto importante è riconoscerle per far sì che ci indichino il nostro stato d’animo e la direzione che, rispetto a questo, vogliamo intraprendere.
Le emozioni, dunque, ci forniscono informazioni sui nostri interessi; stabiliscono gli obiettivi per elaborare in modo cognitivo e comportamentale ciò che si può ritenere utile per risolvere i problemi.
Per tale motivo ritengo importante focalizzarmi, in terapia, sulle emozioni e sulla loro integrazione con l’aspetto cognitivo al fine di produrre un nuovo significato a ciò che pensiamo, sentiamo e facciamo.
Le emozioni emergono in un processo costruttivo che riguarda informazioni affettive, cognitive, motivazionali e senso motorie: tutte aiutano a determinare l’esperienza e l’azione umana.
È pur vero, tuttavia, che nel momento in cui arriviamo ad elaborare ciò che genera un determinato sentimento portandolo al livello di consapevolezza, nel momento in cui rivolgiamo l’attenzione ad una sensazione corporea che è così simbolizzata in consapevolezza. In sintesi, lo schema emotivo che è attivato in una certa situazione, guida il pensiero cosciente, l’azione e il senso degli eventi carico della colorazione emotiva che lo contraddistingue e che possiamo sentire anche a livello corporeo.
È questo che svolge un ruolo decisivo che ci porta verso una decisione, una scelta e che ci fornisce il senso di benessere (“essere in cima al mondo”) o il senso di malessere (“essere giù di corda”).
Le emozioni, allora, fungono da base per la nostra coscienza. Sono sempre presenti e più o meno intense.
Tutti noi organizziamo la nostra esperienza in modo particolare e integrando il nostro apprendimento culturale col nostro senso emozionale di essere al fine di creare nuovi significati.
Se mi sveglio la mattina emotivamente pronto ad affrontare la giornata, intraprenderò dei progetti con entusiasmo e penserò a come portarli avanti. Se, invero, mi sveglio impaurito e depresso, le mie emozioni mi segnalano che qualcosa non va nel modo in cui conduco la mia vita o che è accaduto qualcosa a cui è necessario dare attenzione.
Ascoltando il segnale emotivo inizio a riflettere in modo consapevole su ciò che sto vivendo per riorganizzare il mio mondo.
Per far questo ho, innanzitutto, da tollerare i miei sentimenti e integrarli in ciò che penso di me stesso, per ascoltarli e utilizzarli.
Se da tali sentimenti arriva il segnale che tutto va bene, posso procedere all’azione; ma se ricevo la segnalazione dell’esistenza di un problema, mi attivo in modo consapevole per individuare soluzioni ai problemi che hanno fatto scaturire tale stato d’animo negativo.
In tal modo le emozioni mi motivano, guidano le mie azioni e mi pongono dei problemi per far sì che, razionalmente, io li risolva.
Ma, nel momento in cui mi rendo conto di non riuscire ad utilizzare i segnali inviati dalle emozioni, quando non riesco più a comprendere e gestire il problema che ha generato il mio malessere col quale mi blocco dall’agire, è giunto il momento di ricorrere all’aiuto di un esperto.
Un esperto che faccia sì che il blocco, l’impasse nel quale mi trovo sia superato attingendo alle risorse personali che ho, ma che in quel determinato momento della mia vita, non mi riconosco e non riesco ad utilizzare.
Le emozioni, dunque, ci forniscono informazioni sui nostri interessi; stabiliscono gli obiettivi per elaborare in modo cognitivo e comportamentale ciò che si può ritenere utile per risolvere i problemi.
Per tale motivo ritengo importante focalizzarmi, in terapia, sulle emozioni e sulla loro integrazione con l’aspetto cognitivo al fine di produrre un nuovo significato a ciò che pensiamo, sentiamo e facciamo.
Le emozioni emergono in un processo costruttivo che riguarda informazioni affettive, cognitive, motivazionali e senso motorie: tutte aiutano a determinare l’esperienza e l’azione umana.
È pur vero, tuttavia, che nel momento in cui arriviamo ad elaborare ciò che genera un determinato sentimento portandolo al livello di consapevolezza, nel momento in cui rivolgiamo l’attenzione ad una sensazione corporea che è così simbolizzata in consapevolezza. In sintesi, lo schema emotivo che è attivato in una certa situazione, guida il pensiero cosciente, l’azione e il senso degli eventi carico della colorazione emotiva che lo contraddistingue e che possiamo sentire anche a livello corporeo.
È questo che svolge un ruolo decisivo che ci porta verso una decisione, una scelta e che ci fornisce il senso di benessere (“essere in cima al mondo”) o il senso di malessere (“essere giù di corda”).
Le emozioni, allora, fungono da base per la nostra coscienza. Sono sempre presenti e più o meno intense.
Tutti noi organizziamo la nostra esperienza in modo particolare e integrando il nostro apprendimento culturale col nostro senso emozionale di essere al fine di creare nuovi significati.
Se mi sveglio la mattina emotivamente pronto ad affrontare la giornata, intraprenderò dei progetti con entusiasmo e penserò a come portarli avanti. Se, invero, mi sveglio impaurito e depresso, le mie emozioni mi segnalano che qualcosa non va nel modo in cui conduco la mia vita o che è accaduto qualcosa a cui è necessario dare attenzione.
Ascoltando il segnale emotivo inizio a riflettere in modo consapevole su ciò che sto vivendo per riorganizzare il mio mondo.
Per far questo ho, innanzitutto, da tollerare i miei sentimenti e integrarli in ciò che penso di me stesso, per ascoltarli e utilizzarli.
Se da tali sentimenti arriva il segnale che tutto va bene, posso procedere all’azione; ma se ricevo la segnalazione dell’esistenza di un problema, mi attivo in modo consapevole per individuare soluzioni ai problemi che hanno fatto scaturire tale stato d’animo negativo.
In tal modo le emozioni mi motivano, guidano le mie azioni e mi pongono dei problemi per far sì che, razionalmente, io li risolva.
Ma, nel momento in cui mi rendo conto di non riuscire ad utilizzare i segnali inviati dalle emozioni, quando non riesco più a comprendere e gestire il problema che ha generato il mio malessere col quale mi blocco dall’agire, è giunto il momento di ricorrere all’aiuto di un esperto.
Un esperto che faccia sì che il blocco, l’impasse nel quale mi trovo sia superato attingendo alle risorse personali che ho, ma che in quel determinato momento della mia vita, non mi riconosco e non riesco ad utilizzare.
L’esperto mi aiuterà, dunque, a riconoscere ed utilizzare il potere che ho per cambiare la mia vita e i miei modi di fare, pensare e agire disfunzionali rispetto alla realtà che sto vivendo.
giovedì 5 gennaio 2012
L'equilibrio per il benessere della coppia
Sempre più spesso sento coppie
che lamentano disagi nella relazione personale. Disagi causati dalle più
disparate problematiche: la relazione interpersonale col partner relativa ad
incomprensioni sui problemi della vita quotidiana, all’intimità, all’affrontare
difficoltà lavorative, amicali, familiari, al lamentarsi perché non ci si sente
compresi, a dinamiche riguardanti l’educazione dei propri figli, o la gestione
economica familiare, quella della casa in particolare quando anche la donna
lavora fuori casa, e così via.
Son davvero tantissime le
situazioni a causa delle quali insorgono molteplici difficoltà, ma è anche vero
che queste stesse, talvolta, non sono altro che una maschera di qualcosa – che a
volte è di natura inconsapevole – che riguarda altre difficoltà legate all’uno
o all’altro partner o ad entrambe!
Mi capita sovente di ascoltare le
persone che lamentano e sottolineano l’altro come “apparente” causa del proprio
disagio, attribuendo all’altro i motivi delle difficoltà: “Eppure io dico cosa
voglio, come lo voglio. Io dico cosa non va, dico cosa sarebbe bene fare o non
fare. Dico (sempre all’altro) chiaramente cosa non mi va”. Queste sono alcune
delle cose che le persone dicono a me ma in prima battuta a se stesse e, in
questo modo, si scrollano di dosso ogni responsabilità attribuendola – di conseguenza
– all’altro.
Se poi i disagi son causati da
difficoltà dei figli, il problema cresce ancor di più fino ad innescare dei
circoli viziosi, dai quali le persone non riescono ad uscire creando delle
impasses, dei blocchi, che portano i partner stessi, a risolvere (quale unica modalità
definitiva) il problema stesso, con la separazione.
Per tale ragione ritengo opportuno
e alquanto risolutivo e basato su un comportamento Adulto, accostarsi allo Sportello d’Ascolto rivolto alle
Coppie.
L’obiettivo è di creare uno
spazio di accoglienza attivo per tutte le coppie che vogliono confrontarsi con
un esperto su argomenti che ritengono importanti per il loro benessere.
- Creare uno spazio d’ascolto e lettura dei bisogni dell’individuo e della coppia
- Favorire l’elaborazione positiva di particolari momenti di disagio della coppia
- Informare ed orientare sulle risorse offerte dal territorio
L’iniziativa
nasce dall’esigenza nonché dalle richieste, di dare uno spazio di
accoglienza immediato per le coppie ed un punto di riferimento
che sia anche economicamente accessibile a tutti.
Il primo
colloquio è di ascolto e conoscenza delle esigenze e delle problematiche
contingenti. Successivamente insieme si delineerà l’eventuale opportunità di un
percorso psicologico o psicoterapeutico.
Tutti i colloqui
sono estremamente riservati e coperti dal segreto professionale.
Allo sportello
d’ascolto si accede tramite appuntamento telefonando dal lunedì al venerdì dalle 14.00 alle 20.00 al 3925543431
domenica 27 novembre 2011
Dinamiche psicologiche, relazionali e comunicative nel processo educativo: l’incidenza della qualità nel rapporto genitori-figli
v
Da 20 anni mi occupo e mi interesso, del
rapporto genitori-figli prima come educatrice di asilo nido, insegnante di
scuola materna, educatrice di minorati sensoriali e insegnante di scuola
elementare; poi come psicologa e psicoterapeuta. Per tale ragione ho voluto
approfondire gli studi con diversi master e corsi di specializzazione perché, nel
corso degli anni, ho constatato quanto sia fonte di disagio, per i genitori
nell’educare i figli e nella relazione con essi, la scarsa e a volte nulla,
conoscenza a volte di se stessi, a volte dei figli stessi.
v
Proprio per questo, ho capito e notato che la
conoscenza delle necessità e dei bisogni propri e dei figli –appunto- può esser
di sostegno e incoraggiamento in quella che io, ma non solo io, definisco un’ARTE.
Un’arte
che, tuttavia, non si riceve come scienza infusa e che non è data una volta per
tutte: non si nasce genitori, né automaticamente lo si diviene nel momento in
cui nascono dei figli se non dal punto di vista anagrafico e affettivo. La
capacità, la possibilità, la facilità, in qualche modo, di procreare non è,
automaticamente, sinonimo della capacità e facilità d’essere genitori, nel
senso stretto del termine.
v
Sicuramente, per quel che attiene al punto di
vista educativo e relazionale, tutto cambia. Per diventare insegnanti ed
educatori da sempre esistono corsi di studio anche universitari, percorsi
costruiti ad hoc, con i relativi tirocini che prevedono dei supervisori cui
fare riferimento, coi quali confrontarsi e ai quali chiedere supporto, conferme
e suggerimenti.
v
Per divenire genitori no: e sì che se nel primo
caso –a mio parere e sempre per esperienza personale- è sicuramente più
semplice acquisire determinate competenze [ma mi riferisco qui a quelle
prettamente educative, poiché quelle relazionali difficilmente si possono
imparare una volta per tutte] e, per certi aspetti, mantenerle inalterate; nel
secondo caso, ossia nel caso dei genitori, è senz’altro più complesso.
Ma
qual è la differenza?
v
La differenza è davvero “semplice”, ma nel
contempo assai complessa, poiché, davvero va a toccare molteplici aspetti e
tutti tra loro strettamente correlati e interrelati, ma sicuramente
riconducibili ad un’unica peculiarità: l’affettività.
v
L’implicazione affettiva, l’essere coinvolti dal
punto di vista emotivo, cambia completamente il punto d’osservazione, cambia
completamente le lenti degli occhiali coi quali ci si ritrova a guardare e
osservare le situazioni familiari. È sicuramente molto difficile mantenere
l’oggettività quando si è coinvolti emotivamente, no?
Sovente capita, quando ci troviamo coinvolti, in particolare, in situazioni che toccano anche aspetti emotivi che comportano scelte, decisioni per le quali abbiamo da rimanere legati a dati di realtà, di sforzarci e, per certi aspetti anche di essere convinti, di mantenerci “oggettivi”, poiché ci sforziamo di mettere da parte emozioni e sentimenti, per riuscire a stare sul “razionale”. Ma è anche vero che, di fatto, una parte seppur minima di soggettività proprio legata alla sfera emotiva, ai nostri desideri e bisogni si “insinua”. In altre parole e per dirla con F. Perls (padre della terapia della Gestalt), non esiste l’oggettività, in quanto nell’esser oggettivi siamo, sempre e comunque, soggettivi, perché anche nei dati di realtà ci mettiamo ciò che attiene a noi stessi: alla nostra personale percezione delle cose e al nostro personale modo di interpretare la realtà stessa, influenzata dalle nostre arcaiche esperienze di vita, alle nostre credenze e convinzioni.E questo è ancor più vero in riferimento alla relazione tra genitori e figli.
v
La colorazione affettiva che assume la relazione
genitori-figli è altro e non è solo una, in effetti, perché è come se si
trattasse di un prisma estremamente sfaccettato il quale rimanda colori
diversi, ora più intensi ora più tenui; ora singoli e distinguibili ora
molteplici e confondibili con altri, in base a come lo si pone, alla posizione
che assume e in base al modo in cui lo si guarda.
E
tutto questo da cosa dipende? O meglio, da cosa dipendono tutti questi
cambiamenti di colore e della sua intensità?
v
Dall’aspetto affettivo, dalle emozioni che di
volta in volta, emergono nell’uno o nell’altro membro della famiglia; emozioni
che son comunque anche legate alle diverse età dei membri stessi, ma anche dal
ciclo di vita che la famiglia sta attraversando e si trova in quel dato
momento.
v
Il ciclo di vita familiare è essenzialmente
legato anche, ma non solo, alle età dei suoi componenti e, soprattutto, dei
figli stessi e, nel contempo e cosa affatto trascurabile, da quelle della
realtà sociale in cui la famiglia è inserita e vive e delle famiglie d’origine.
v
Devo dire che il ciclo di vita familiare così
come quello individuale, fondamentalmente, resta invariato nel tempo. E, a ben
vedere, è caratterizzato sempre dalle stesse fasi.
In
quello familiare:
Ø
La fase che precede il matrimonio;
Ø
Il matrimonio e quindi la formazione della nuova
coppia coniugale;
Ø
La nascita di un figlio con tutte le fasi
inerenti quest’ultimo in giovane età;
Ø
Quello della fase adolescenziale dei figli in
cui avviene un primo svincolo di questi dalla famiglia;
Ø
La fase in cui i figli si allontanano
fisicamente dalla famiglia d’origine o per lavoro e scelta personale o per
costituire una nuova famiglia, lasciando così il “nido vuoto”;
Ø
La famiglia nella fase terminale col pensionamento,
la vecchiaia e così via.
Ovviamente, ogni fase prevede un cambiamento, un
assestamento, un adeguamento dei suoi componenti ed è anche vero che se i
componenti stessi e tutto il sistema non sono pronti a questo, iniziano le difficoltà,
i problemi, le crisi che, spesso, sfociano in eventi dolorosi e drammatici.
E ciò su cui voglio focalizzarmi è proprio la
fase inerente la relazione coi figli e, rispetto a questa, quella che, nella
fattispecie, riguarda proprio l’aspetto relazionale ed educativo.
Come ho già detto, fondamentalmente, le fasi del
ciclo di vita son sempre le stesse in ogni famiglia. È anche vero, però, che
qualcosa sembra esser cambiata.
In effetti si nota una certa differenza tra le
famiglie di oggi e quelle di un tempo nemmeno tanto lontano, poi.
Guardando anche solo alle nostre famiglie e,
comunque, alle famiglie di 40-50 anni fa e dunque ai nostri genitori, si
percepisce una differenza nella relazione tra loro e noi e tra noi e i nostri
figli.
Viene da chiedersi in cosa consiste tale
cambiamento e perché, tale cambiamento.
È chiaro ed evidente, dunque, il cambiamento e
l’evoluzione che la società ha avuto già del dopoguerra, col passaggio dalla famiglia patriarcale [una famiglia
numerosa, comandata dal padre "patriarca", cioè il capo e in cui i
figli maschi prendevano moglie e restavano in famiglia facendone aumentare i
componenti: genitori, figli, zii, zie, nipoti, nonno, nonna... Essere in
tanti aumentava la forza-lavoro perché per lavorare nei campi servivano
molte braccia. La scuola passava in secondo piano: era più importante lavorare
per poter mangiare che imparare a leggere e a scrivere] alla famiglia nucleare [comunità riproduttiva
composta da madre,
padre e figli che
spessissimo vivono lontano dai genitori . La famiglia nucleare nelle società
occidentali è la forma più diffusa di famiglia. Oltre a questa esistono diverse altre
forme di famiglia o di matrimonio, ovviamente].
Nelle famiglie odierne il numero dei componenti
è notevolmente diminuito con un aumento di quelle che optano per il figlio
unico. Da qui il rovesciamento degli alberi genealogici nel senso che ora,
sull’unico genito, si riversano le attenzioni di genitori, nonni, zie e zii,
sempre più spesso single.
C’è anche da considerare il cambiamento della
condizione femminile e il miglioramento [se così vogliamo chiamarlo, ma che,
per certi aspetti, così è] della situazione lavorativa della donna.
Questo fa sì che la donna sia oggi, spesso, più
autonoma dal punto di vista economico, cosa che si riverbera inevitabilmente
sulla sua autostima e su una maggiore forza e autonomia di pensiero, decisione
e azione.
Proprio per tale ragione, soprattutto la vita
familiare è sicuramente impostata in maniera differente rispetto al passato,
laddove la donna che lavora anche fuori casa, ha maggiori responsabilità e
oneri che vanno a sommarsi a quelli acquisiti col matrimonio e la maternità.
Non ultima è la possibilità della donna, grazie
proprio alla sua indipendenza economica, di svincolarsi, staccarsi e poter fare
a meno, se lo vuole, del vincolo matrimoniale, laddove questo diviene senza
senso e perciò indesiderato per i più svariati motivi.
La donna quindi non è più costretta a perpetrare
il suo matrimonio, la sua convivenza e dipendenza economica ed emotiva con un
uomo (il marito) dal quale ora è libera di separarsi.
Nel nostro millennio, a bene vedere, le esigenze
della vita familiare sono cambiate e i desideri, i bisogni, sia dei genitori,
sia dei figli, cambiano ogni giorno che passa, e sono questi ultimi a diventare sempre più i
principali protagonisti e vittime, allo stesso tempo.
L’infanzia, definita come quel riferimento
prezioso di sogni, di fantasie, di fisicità, di giochi, di sentimenti, di
scoperte, di paure, si manifesta nei confronti dello stile di vita della
società moderna, caratterizzata dal consumismo, come un disagio psicofisico.
In altre parole, i bambini stanno perdendo la
loro diversità: non è più lasciato loro il tempo per stupirsi e scoprire il
mondo. Infatti, appena aprono gli occhi devono consumare, essere adulti e
competere con gli altri.
La nostra è una società che consuma l’infanzia
(laddove per infanzia intendo la fanciullezza, ossia ogni età che precede la
vita adulta), la sua freschezza, i suoi sogni, la sua fantasia e i suoi gesti.
Pertanto, è importante poter usufruire di una
«valutazione qualitativa» nel processo educativo, che pone l’accento
sull’integrazione di diversi fattori che agiscono su ciascuno di noi e, più in
particolare, sui bambini: la valenza affettiva, la conoscenza psicologica, la
modalità relazionale e comunicativa e, infine, la valutazione soggettiva
dell’espressione del sé.
Comunque sia, i genitori, impegnati nel processo
di formazione dei propri figli per mandato biologico, psicologico e sociale,
risulterebbero così i veri agenti “significativi” di tale possibile
integrazione. Diventa, a questo punto, relativamente spontaneo pensare che educare
i propri figli è un fatto naturale per un genitore.
Che
cosa si deve intendere per processo
educativo?
Il concetto di educazione è senza dubbio
molto più ampio di quanto si creda comunemente: coinvolge tutti gli stimoli che
provengono dal mondo esterno, dalle cure familiari ai contatti con il mondo
della scuola e con il sociale.
L’educazione interessa quindi la crescita
psicologica e fisica di ciascuno di noi. La parola educare, infatti,
deriva dal verbo latino ex ducere, che significa «tirar fuori», «sviluppare»,
portare a compimento; in altre parole, educare vuol dire aiutare a crescere in
modo positivo.
In senso molto lato, il termine educazione sta
ad indicare il processo di formazione dell’uomo (inteso sia come individuo sia
come gruppo) nella direzione di una lenta ma autentica scoperta e
chiarificazione di sé, ovvero delle proprie peculiari caratteristiche.
Il processo educativo è, dunque, quell’atto
educativo che, in qualche modo,
prevede un intervento che ha una continuità nel tempo: in pratica, è una
procedura formativa che dura tutta la vita.
Educare un figlio oggi, significa rivelare ai
genitori (sarebbe più giusto parlare di educatori), i segreti per difenderlo
dalla TV che diventa sempre più la “baby-sitter domestica”, dal computer che
indubbiamente rimaneggia le relazioni interpersonali verso un modello sempre
più diadico: «io-computer», dal cibo (problemi alimentari come, ad esempio,
anoressia e bulimia sono in continuo aumento), dalla dipendenza da telefonino
(o “cellularemania”), dalla droga, dai videogames, ecc., cioè da tutti quei
prodotti del presunto ed inefficace benessere attuale, che creano
appunto dipendenza e quindi isolamento sociale.
Le nuove identità infantili e adolescenziali,
oggi paiono il risultato di creazioni non più del contesto familiare o
comunitario, bensì di tutti questi strumenti che tengono in serbo, isolando un
bambino/ragazzo per ogni fascia di età. I figli diventano comunque esseri “a
rischio”.
Questo processo rappresenta però un momento
critico speculare: pesa
cioè non solo sui bambini ma anche sui genitori.
Infatti, è sempre questa realtà, che costringe
questi ultimi a capire e ascoltare meno i bisogni dei loro figli, poiché è più
potente l’influenza dell’attuale sistema sociale dei consumi e della globalizzazione
dei mercati che si riflette sui ritmi di vita delle persone, della società e
sugli impegni lavorativi di noi tutti.
Il mondo dei grandi è sempre più caratterizzato
da modelli di persone come super-manager, super-man, semidei…, in pratica, tutti
“super” impegnati nel ricercare la propria realizzazione, ma poco empatici,
incapaci di ascoltare e parlare con i loro figli e con la speranza di
compensare alla loro assenza attraverso regali sempre più mega, con l’illusione
che, accontentandoli e dando loro ciò che desiderano di materiale, di fatto poi
riescano a porre una pezza nella loro assenza affettiva.
Nella nostra società risulta chiaro come il
sistema famiglia si presenta con delle problematiche che non rendano il
genitore pienamente consapevole e responsabile del suo ruolo (impegni di lavoro
frenetici e totalizzanti, crisi di coppia, separazioni, immaturità psicologiche
che portano a rivestire il ruolo di madre-padre in modo poco responsabile,
incertezza per il futuro e il lavoro, ecc.).
Sembra quindi evidenziarsi uno sviluppo umano e
socioculturale in continuo espandersi, dove i genitori sembra non abbiano più
“tempo e spazio”, a causa degli impegni, per poter stare con il proprio
bambino, mostrando così carenza di valori affettivo-emotivi e ludici che nella
normale vita quotidiana frantumano e disturbano la relazione e i suoi aspetti
interattivi.
Ma la qualità della relazione genitori-figli,
quale mezzo e oggetto della comunicazione, induce a sottolineare l’importanza
degli aspetti personali, relazionali e sociali che permettono di privilegiare
nel rapporto la dimensione dell’ascolto, in senso lato, allo scopo di cogliere
le difficoltà del bambino.
Il come educare i propri figli richiede
dunque dei momenti di confronto e di relazione con loro, ovviamente, che
valorizzino il proprio ruolo, le proprie risorse, che diano la possibilità di
esternare le dinamiche interiori e fare in modo che siano affettivamente
sostenuti.
Essere genitore non garantisce il saper fare i
genitori, risulta chiaro che questo ruolo (o mestiere!) non è così facile. Di
certo, non esiste un decalogo del bravo genitore: non esistono né genitori né
figli perfetti e non ci sono nozioni scientifiche o informazioni tecnico
pratiche che possano dire con assoluta certezza cosa sia giusto fare o non fare
con un figlio, o libri che possano spiegare come non sbagliare mai.
Col grande Bruno Bettelheim possiamo confermare
che “nel lavoro di crescere i figli, le cose importanti si fanno momento per
momento, mentre accadono i fatti della vita. Non esistono lezioni né momenti
specifici per imparare”.
Fare il genitore è, pertanto, un’ “impresa
creativa” che si formula in modo soggettivo, che nasce dal confronto delle
esperienze della propria vita e stili comportamentali acquisiti empiricamente,
si evolve attraverso la consapevolezza delle proprie modalità relazionali e
comunicative e si consolida nel riconoscere il cambiamento (visto,
appunto, come aspetto caratteristico di qualunque crescita) come una risorsa, e
non come aspetto negativo.
In questo senso, abbiamo da ricordare sempre che
la comunicazione è molto importante nel rapporto genitori-figli poiché è una conditio
sine qua non, fondamentale e indispensabile della vita umana e
dell’ordinamento sociale.
Ma per comunicare nella relazione coi propri
figli abbiamo da ascoltare i loro bisogni per salvare insieme a loro anche gli
adulti e così l’umanità. [Qui apro una parentesi, per spiegare cosa intendo per
“salvare insieme ai figli anche gli adulti e l’umanità”: Ogni cosa che noi facciamo, in bene e in male,
è imitata, presa e appresa dai minori e le acquisizioni fatte che si porteranno
dietro, caratterizzeranno la loro vita futura e la vita di coloro coi quali
entreranno poi in relazione, ivi compresi quelli che saranno li loro figli].
Per riuscire a fare questo,
credo sia necessario imparare ad ascoltare i propri bisogni e a riconoscere e
distinguere le proprie emozioni da quelle dei bambini.
Per ascoltare le emozioni dei propri figli è
indispensabile tener conto del fatto che, nella crescita umana, intervengono un
insieme di fattori, quali: l’unicità del figlio e il suo personale modo di
rispondere agli stimoli; l’unicità dei genitori che si pongono di fronte al
proprio figlio con il loro peculiare modo d’essere; infine, l’unicità della
loro interazione dovuta al particolare incontro di quel determinato individuo
con quei genitori.
Questo significa che il processo di crescita è
molto complesso e va al di là di semplici interazioni causa-effetto del tipo
“Se attiverò questo comportamento, otterrò questa reazione”.
Molto importanti, sono i comportamenti, gli
atteggiamenti e gli stili che i genitori possono dare a loro stessi e al
figlio, al fine di facilitare un “sano” sviluppo di quest’ultimo e una loro
efficace interazione.
Ci sarebbe davvero tanto ancora da dire, in un
discorso che è davvero impossibile esaurire in poche parole: è pur vero,
tuttavia, che il messaggio principale che io vorrei inviare tramite questo
articolo, è che, proprio come si evince dal titolo stesso, è necessario sapersi
prender cura di sé, per potersi prender cura dei propri figli e, soprattutto,
che se è vero che è importante conoscere le fasi di evoluzione dei propri
figli, caratterizzati da determinati bisogni e mete di sviluppo differenti per
ogni fase; è altrettanto vero che è necessario tener conto dei comportamenti
che aiutano i figli ad attraversare quella determinata fase evolutiva definiti
“compiti” dei genitori verso i figli stessi; e, ancora, conoscere i potenziali
problemi dovuti ad un’inadeguata genitorizzazione, evidenziando gli interventi
che possono, invero, sortire effetti positivi sulla crescita. È, inoltre, vero
che i GENITORI hanno da ricordare e considerare e mai da metter da parte, i
PERMESSI che hanno bisogno di dare a se stessi e i bisogni che è importante soddisfare,
per essere in grado di avere cura dei propri figli nel momento in cui ri-sperimenteranno
insieme a questi ultimi, quel determinato stadio di sviluppo.
mercoledì 29 giugno 2011
L'Analisi Transazionale nella scuola
L'Analisi Transazionale può senz'altro accrescere l'efficacia in quasi tutte le imprese umane nelle quali le persone siano in interazione con altre persone.
L'AT è utilizzata in una grande varità di setting educativi e organizzativi. Ciascuno di essi ha le proprie caratteristiche ed esigenze.
La teoria fondamentale dell'AT è la stessa per il lavoro educativo e organizzazionale (EO) che per le applicazioni cliniche. Ma vi sono delle differenze di acentuazione e di tecniche.
Nel lavoro clinico il contratto è di solito bilaterale, perché è negoziato tra terapeuta e paziente. All'opposto i contratti nei setting EO sono il più delle volte trilaterali. Il contratto d'affari sarà negoziato tra il terapeuta e l'ente a favore di altri membri di questo ente. Per esempio, un'azienda può assumere un fromatore di AT per lavorare coi suoi dipendenti. Il contratto di trattamento probabilmente sarà anch'esso almeno in parte negoziato tra il terapeuta e l'ente, più che coi singoli o i gruppi coi quali egli lavorerà effettivamente.
Questo implica che tutte le parti devono essere particolarmente attente a mantenere chiare e nette procedure contrattuali per evitare dei giochi a tre. Per esempio un'azienda può assegnare dei dipendenti a un corso di formazione in AT anche se questi non hanno nessuna motivazione iniziale a seguirlo. A meno che il punto di partenza sia reso esplicito nellke trattative di contratto tra l'azienda, il terapeuta e i membri del gruppo, ci sono immediate possibilità che tutte e tre le parti assumano dei ruoli del triangolo drammatico con successivi passaggi e giochi.
Nel lavoro con le EO il terapeuta fugne da facilitatore, da addestratore o allenatore pià che da terapeuta. Il più delle volte inviterà i membri del gruppo ad affrontare ciò che sta avvenendo a livello sociale più che a livello psicologico.
Nel lavoro con le EO, dunque, il terapeuta si incentrerà il più delle volte su come la persona o il gruppo possono risolvere nel modo più efficace dei problemi pensando e agendo nel presente piuttosto che esplorando quale problema del passato debba risolvere una persona.
L'autonomia implica chiarezza di pensiero ed efficacia nel risolvere i problemi. L'educatore mira ad aiutare i propri studenti a sviluppare queste capacità. Pertanto l'autonomia è un obiettivo generale altrettanto importante nei setting educativi come nel lavoro clinico.
L'educatore di solito avrà modo di rapportarsi coi propri studenti su un periodo più lungo e in modo più personale di quanto sia possibile al terapeuta di organizzazioni. Per la natura stessa dei setting educativi è particolarmente probabile che gli studenti possano mettere il viso di qualcun altro su quello dell'insegnante e che questi a sua volta possa rispondere a queste riproposizioni del passato, assumendo un ruolo Genitoriale. Può evitare di farlo acquisendo una coscienza della teoria del copione e imparando il contenuto del proprio copione.
Le teorie dell'AT sullo sviluppo infantile possono guidare l'educatore ad affrontare efficacemente i giovani in svariate fasi dello sviluppo.
STATI DELL'IO
Il modello fondamentale degli stati dell'Io è chiaramente comprensibile ai bambini sin dall'età in cui cominciano ad andare a scuola. La semplicità di linguaggio dell'AT aiuta in questo. Esaminando il contributo e le motivazioni di tutti e tre gli stati dell'Io, gli studenti diventano più capaci di imparare con una chiara consapevolezza delle proprie intenzioni e desideri. Le esperienze d'apprendimento stesse sono, probabilmente, più efficaci se fanno appello a tutti e tre gli stati dell'Io. E' particolarmente importante rendersi conto che il Bambino Libero è la fonte della creatività e dell'energia nella personalità e va coinvolto nel processo di apprendimento.
Lo stesso educatore deve avere libero accesso a tutti e tre i propri stati dell'Io. Per gran parte del tempo egli esibirà una capacità di problem solving propria dell'Adulto. Spesso avrà bisogno di porre dei netti limiti a partire dal Genitore Normativo positivo e di prendersi cura degli altri a partire dal Genitore Affettivo positivo. Può entrare nel proprio Bambino per modellare la spontaneità, la capacità intuitiva e la gioia dell'apprendere.
TRANSAZIONI , CAREZZE, STRUTTURAZIONE del TEMPO
L'analisi delle transazioni è utile nel mantenere la cominicazione tra gli insegnanti e gli studenti chiara, produttiva e libera da programmi nascosti. L'impiego delle opzioni può aiutare sia gli insegnanti sia gli studenti a uscire dalle interazioni "bloccate" Genitore-Bambino.
Individuare ed evitare il comportamento Spinta può essere di grande aiuto nel chiarire la cominicazionie. C'è una grande differenza tra imparare qualcosa e cercare d'impararla. Chi tiene una lezione giunge più chiaramente agli altri quando si prende il tempo necessario invece di sbrigarsi. Gli studenti migliorano le loro tecniche di studio quando si accontentano di studiare abbastanza, invece di cercare di essere perfetti studiando tutto.
L'attenzione agli schemi delle carezze e della strutturazione del tempo è impoertante nella scuola in modo molto simile che nel lavoro con le organizzazioni. L'aula e la sala conferenze sono dei terreni di coltura di giochi e racketeering [1] particolarmente fertili.
Gli studenti possono effettuare giochi quali "Lo Stupido", "Non Puoi Costringermi a" o "Fammi Qualcosa" (col suo potenziale passaggo a "Guarda Cosa mi hai Fatto Fare"). Gli insegnanti possono giocare a "Non è la Volontà che mi Manca", "Sto Solo Cercando di Aiutarti", "Perchè non..." o "Il Difetto". Una conoscenza dell'analisi dei giochi permette agli studenti e agli insegnanti di evitare questi scambi improduttivi e di passare all'attività d'insegnamento o di apprendimento.
L'impiego della stipulazione dei contratti aiuta gli educatori e i discenti a raggiungere un chiaro e manifesto accordo su cosa devono fare e sul modo migliore per ottenerlo.
AFFRONTARE LA PASSIVITA'
Nei setting educativi è particolarmente probabile che ci si aspetti una simbiosi. Questa aspettativa può persino essere manifesta in alcune culture nelle quali gli insegnanti sono tradizionalmente tenuti a impersonare il ruolo di Genitore e di Adulto mentre lo studente fa il Bambino. Gi attuali approcci all'educazione sono d'accordo con l'AT nel considerare questa una svalutazione delle capacità di entrambe le parti.
Una conoscenza dei concetti schiffiani aiuta gli insegnanti e gli studenti a rimanere fuori della simbiosi e a fare pieno impiego di tutti e tre gli stati dell'Io. Gli educatori possono imparare a riconoscere i quattro comportamnti passivi e ad affrontarli, invece di entrare nei giochi. Se il setting istituzionale lo rende possibile si possono costituire dei gruppi e delle classi di esercitazione che forniscano un ambiente reattivo nel quale insegnanti e studenti si assumano la reciproca responsabilità di promuovere chiarezza di pensiero e attiva risoluzione dei problemi.
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