Il mangiarsi le unghie, ovvero
l’onicofagia si riferisce ad un disturbo di tipo nevrotico a base ansiosa
(rapportabile alle manifestazioni concernenti i disturbi d’ansia). Il
“disturbo” di per sé non è indice di psicopatologia in quanto, almeno per la
maggior parte dei casi (ci sono più indici di gravità), è da annoverarsi al
confine dei “normali” comportamenti adattivi che si verificano in risposta alle
situazioni ansiogene.
Il fascino sottile, discreto e perverso di
mordicchiarsi le unghie
In genere, come tanti altri piccoli disturbi (tic, stereotipie di
movimenti, ecc.), nasce nell’infanzia e si afferma quanto più dall’esterno sono
giunti al soggetto divieti e punizioni. Spesso nasce in situazioni familiari
pesanti, caratterizzate da esplosioni e litigi sistematici tra i genitori,
nasce avanti ad aspettative parentali troppo alte (di tipo scolastico,
agonistico, ecc.), nasce quando il soggetto non sente a sufficienza l’amore dei
genitori, nasce per gelosia verso i fratelli, ecc. Insomma nasce in situazioni
in cui l’affettività, il mondo dei sentimenti, si esprime - dentro al soggetto
e o attorno a lui fuori - come aggressività. Può accadere allora che il
soggetto-bambino cerchi di risolvere l’ansia che quelle situazioni gli
provocano proponendosi inconsciamente come oggetto sacrificale. E mi spiego:
egli offre la propria totale remissività, passività ed impotenza, in cambio
della liberazione della sua famiglia, di se stesso, ecc., da ogni esperienza di
aggressività. Per chiarire pensiamo sia utile uno schema e qualche esempio:
l’onicofagia, come molti altri analoghi rituali di tipo ossessivo, sembra
prodursi grazie alla concomitanza di tre fattori. 1) Il primo fattore è
rappresentato dalla tendenza, in mancanza di procedure dirette e mirate,
ad utilizzare espedienti di tipo metaforico. Nel nostro caso osserviamo: a) che
il gesto del portare qualcosa alla bocca, suggere, richiama
metaforicamente l’esperienza del seno materno e della madre buona e che,
quindi, viene utilizzato per ottenere lo stesso effetto tranquillizzante.
Espedienti analoghi sono: portare alla bocca pipe, sigarette, matite, merendine
ecc; b) invece il gesto di rosicchiare richiama metaforicamente quello
di digrignare (pronti all’aggressione) i denti usualmente associato alle
situazioni di tensione. Espedienti analoghi sono: rosicchiare lo stecchino, la
matita, le lenzuola, masticare chewing gum, ecc. 2) Il secondo fattore è
rappresentato da una sorta di soddisfazione autolesionista (quello che in
sostanza Freud definiva istinto di morte) unita alla capacità di
produrre presenza attraverso la percezione del dolore. Anche in questo caso si
mostra l’ambivalenza inconscia tra tendenza alla quiete mortifera e necessità
di restituirsi alla vita attraverso la percezione del dolore fisico. Per
esempio: alcuni si mordono le labbra, la lingua, l’interno delle gote. 3) Il
terzo fattore infine è rappresentato dal loop ossessivo prodotto dalla
inadeguatezza dell’espediente utilizzato, unito alla rimozione di tale
inadeguatezza. Ciò produce la necessità di ripetere il gesto compensatore (coazione
a ripetere), magari con maggiore determinazione ed intensità, nella
speranza che risulti finalmente adeguato all’appagamento del bisogno. Alcuni,
per esempio, iniziano a grattarsi le gambe per rimediare ad un prurito magari
lieve e per ragioni analoghe rieseguono il gesto ripetutamente con intensità
progressivamente crescente fino a prodursi escoriazioni dolorose e sanguinanti.
L’aggressività di cui il bambino vuole liberare sé ed i suoi cari, è vissuta
dal bambino come poteva viverla il nostro antenato delle caverne: un sentimento
di annientamento radicale che intende ferire o uccidere l’altro, oggetto di
tale sentimento. Dunque: sentimento inaccettabile. Dunque necessità di
esorcizzare la vita personale e la vita dei cari da questo pericolo. Inconsciamente
il bambino promette che sarà bravo per sempre se... Sono promesse che
spesso da bambini facciamo. Ed egli comincia subito ad essere bravo, ossia innocuo:
il gesto del portare qualcosa in bocca da un lato veicola il desiderio del
bambino di regredire nella magica ed edonistica situazione garantita dal seno
materno; ma dall’altro lato dobbiamo considerare gli elementi del gesto:
unghie mangiate dai denti. Entrambi simboli e sopravvivenze di arcaiche
armi che il corpo animale conserva: artigli e zanne. Viene
simbolicamente eliminato quanto servirebbe ad aggredire il mondo.
L’aggressività, forma di energia che è sostanza di ogni essere vivente, uomo compreso,
viene così deviata dal mondo e ritorta contro se stessi in quanto letta e
sperimentata in un suo solo lato, quello negativista, seppure a due livelli:
quello concretistico e primordiale della violenza fisica a livello filogenetico
(memoria e imprinting di specie) e quello della disconferma anche psicologica a
livello ontogenetico (memoria ed imprinting di storia personale). Il persistere
di questo piccolo grande rituale segnala allora che anche da grandi persiste
nell'inconscio del soggetto un conflitto irrisolto rispetto alla gestione
dell’aggressività. Ed essa resta inaccettabile perché ancorata e coincidente
con l’esperienza di scontro mortale. La relazione che il soggetto ha
interiorizzato e sui cui binari conduce la qualità di ogni sua relazione reale
è nevrotica perché basata sui ruoli unilaterali forte-debole,
governante-governato, ecc. E a chi non riconosce legittima la propria
aggressività resta sempre e solo il copione del bisognoso. Però siccome nessun
essere umano può accettare un solo lato, essendo egli portatore dell'unione di
opposti, è proprio il più debole che svilupperà aggressività sempre più forte
quanto meno accettabile dallo stesso soggetto che la esprime. E chi si mangia
le unghie ha da tempo deciso che l’aggressività è cattiva. Non stupiamoci
dunque se proprio tra questi piccoli divoratori, troviamo esempi notevoli di
aggressività manifesta. In realtà l’aggressività è un lato dell’amore. Non c’è
amore vero senza aggressività così come non c’è vita vera se non si accetta
anche quotidianamente di morire, simbolicamente s’intende. Il superamento del
sintomo è subordinato solo alla presa in carico coscienziale da parte del
soggetto di ciò che esso sintomo svela mentre cela e viceversa. Il soggetto può
farsi responsabile del profondo significato trasformativo del sintomo solo se
riesce a passare da una logica di contrapposizione ad un modo di pensare
dialettico dove è prevista, come parte integrante della vita e del pensiero,
l’accettazione della conflittualità quale fondamento ontologico dell’esistente:
per restare nell’ambito della dimensione affettiva di cui stiamo trattando un
esempio è l’amore che si fa esperienza matura e piena solo quando il soggetto
può reggere in sé la convivenza di due opposti sentimenti per la stessa persona:
attrazione e rifiuto. Amore per ciò che in lei è amabile, rifiuto per ciò che
in lei non è avvertito come amabile. Poiché ogni essere umano porta in sé
entrambi i lati, un amore davvero maturo saprà trovare posto e parola per
entrambi gli aspetti. Insomma occorre giungere a riconoscere in noi stessi ciò
che la vita continuamente ci mostra: la duplicità di ogni aspetto. Tale
riconoscimento sancirebbe l’uscita dal pensiero infantile che divide facilmente
il bene dal male, il giusto dall’errore, la pace dalla guerra ecc. e
permetterebbe al soggetto l’avvio di un lavoro di rielaborazione del destino e
della storia dell’aggressività così come egli l’ha fin qui conosciuta e
sperimentata. Come tutti i lati della vita affettiva, essa è presente in noi su
tutti i gradini di evoluzione. Sul primo scalino essa provoca paura mortale.
Sull'ultimo scalino è determinazione virile ad esercitare la funzione
creatrice del mondo. E qui subentra l’altra parola chiave: la pericolosità
di ogni soggetto umano rispetto all’esistente. Ogni vita è turbamento ed ogni
vita turba. Dunque sconvolge, porta differenza, cambia lo stato delle cose. E
ciò ha in sé necessariamente un gradiente di violenza.
Come affrontare il disagio
L’onicofagia è l’espressione di
un disagio psicologico. Quella del mangiarsi le unghie
è un’abitudine che in genere interessa i bambini o i ragazzi,
ma che a volte si riscontra anche nell’età adulta. Si tratta di una manifestazione
emotiva applicata al corpo, che di solito è correlata
alla richiesta del bambino di una maggiore attenzione da parte dei genitori.
L’onicofagia può essere ricondotta a tensioni che
interessano l’ambito familiare. Naturalmente si va dai semplici disagi
che possono essere legati ai consueti eventi della vita familiare a situazioni
molto stressanti che sottopongono il bambino ad una pressione emotiva
eccessiva, come per esempio le continue liti dei genitori. In
ogni caso l’onicofagia è la spia di un disagio che merita di essere indagato,
in nome di un’adeguata cura della salute mentale.La reazione allo stress dipende dalla corteccia. Non tutti quindi reagiamo allo stesso modo agli eventi pressanti. L’onicofagia può essere un modo per scaricare lo stress e l’ansia. Di solito l’onicofagia tende a risolversi spontaneamente o a ripresentarsi in corrispondenza di situazioni di stress. Il punto centrale della questione risiede nel come utilizzare lo stress a nostro vantaggio. Un’adeguata gestione dello stress d’altronde può essere conseguita tramite un consulto con un esperto.
Per questo, specialmente quando l’onicofagia non si risolve, causando anche dei danni ingenti alla dita, è bene rivolgersi ad uno psicologo, per comprendere le ragioni della manifestazione dell’aggressività del bambino. La pratica di uno sport può servire ad esempio ad indirizzare l’aggressività del bambino verso altri canali di scarico. In ogni caso mai adottare sistemi basati sul rimprovero o sul fare vergognare il bambino, perché tutto ciò non farebbe altro che fare aumentare la sua ansia.
grazie per questo scritto, è l'unico finora davvero esplicativo a livello profondo e senza giudizi. continua così!
RispondiElimina