SPORTELLO DI ASCOLTO PSICOLOGICO GRATUITO

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D.ssa Donatella Ghisu

Psicologa, Counsellor Psicologico e Socio-educativo, Anali Transazionale, Specialista in Psicoterapia Breve Strategica, Psicopedagogista, Specialista in: Disturbi alcol correlati, Chil Abuse, Psicologia forense, Disturbi dell'Apprendimento e del Comportamento, Trainer EMDR. Mi occupo di coppie, adolescenti ed adulti a livello individuale e di gruppo. Sostegno alla genitorialità, agli insegnanti nonché alle aziende pubbliche e private.

venerdì 28 gennaio 2011

Il viaggio


Partire è un po’ morire», ha scritto un poeta di cui non ricordo il nome. Non condivido questa affermazione, per quanto possa sembrare poetica, perché per me partire, l’atto di andare via, di lasciare un luogo, porta con sé una carica di sfida, e la sfida è l’essenza dell’avventura. Iniziare un viaggio significa predisporsi ad accogliere le novità, le cose sconosciute, inattese, quelle a cui non siamo abituati. Le nostre abitudini si nutrono dell’influenza che ricevono dalle altre, così come la nostra cultura dipende dal contatto e dal sistematico confronto con altre culture. Al di là della bellezza della frase che mi è servita per iniziare questo testo, rifiuto il suo eventuale contenuto perché mi sembra una difesa della sedentarietà, e i corpi sedentari sono inclini all’esaurimento precoce.
La sedentarietà sociale riesce solo a creare pregiudizi e luoghi comuni che rendono più difficile la comprensione. Chi non ha mai viaggiato sostiene, per esempio, che in Inghilterra il cibo sia povero ed insipido, che i vini tedeschi siano maldestre imitazioni, che in Italia si mangi solo pasta, che in Spagna non conoscano altro che la paella, o che in Cina la dieta si basi esclusivamente sul riso. Cito luoghi comuni e apparentemente inoffensivi, e dico apparentemente perché dietro di loro si acquatta la peggiore delle autoaffermazioni nazionaliste, quella che sostiene : “Le nostre cose sono le migliori perché sono le uniche che conosco”. Di qui alla patologia del patriottismo non c’è che un passo.
Noi esseri umani ci mettiamo in movimento, vale a dire viaggiamo, per due motivi: uno è la curiosità di sapere cosa accada al di là dei limiti entro i quali potremmo condurre una vita tranquilla e placidamente mediocre. Questa curiosità spinge a mettersi in moto e trasforma in trasgressori,perché osiamo abbandonare la tranquillità e le abitudini note per confrontarci con altre, senza sapere se ne riceveremo benessere o inquietudine. L’altro motivo che ci mette in movimento è di solito involontario: quando ci azzardiamo a protestare contro la mediocrità che impera nel nostro ambiente, allora ne veniamo espulsi.
Per spiegarmi meglio, racconterò una storia che ho ascoltato tempo fa da alcuni indios guarandies a El Pantanal, nel territorio umido del Basso Mato Grosso. Parla di un uomo che viveva ossessionato dal desiderio di sapere cosa ci fosse oltre la linea verde dell’orizzonte della selva. Una sera si avvicinò al falò intorno al quale si riunivano i vecchi saggi della sua tribù. Erano saggi davvero, ma saggi del luogo. Quando comunicò loro la decisione di camminare verso la linea dell’orizzonte per vedere cosa ci fosse dall’altro lato, non ricevette i consigli che sperava e fu invece sottoposto a uno sfinente questionario. Non ti bastano i dolci frutti della papaia e della guayaba che crescono vicino al fiume? Forse la manioca non cresce generosa nel tuo orto? Ti sembrano forse insipidi i pesci che si impigliano nelle tue reti? La pelle dello yacaré in cui porti le tue frecce non ti sembra abbastanza resistente? L’uomo rispose di sì a tutte le domande, ma aggiunse che tutto questo non gli bastava, che non voleva possedere altre cose, bensì sapere cosa ci fosse dall’altro lato dell’orizzonte. Allora i vecchi saggi si infuriarono, prima di scagliare come un dardo l’ultima delle loro inquisizioni: “Ci consideri forse incapaci di rispondere a tutte le tue domande?”
Stavolta l’uomo rispose che essi potevano parlare di tutto quello che si trovava da questa parte dell’orizzonte, ma non di quello che c’era dall’altro alto, perché nessuno di loro si era mai spinto fin laggiù. I vecchi saggi, incolleriti, lo accusarono di voler sapere di più di ciò che era consentito e lo espulsero dalla tribù. “Potrai tornare solo se, dall’altro lato dell’orizzonte, troverai qualcosa di meglio di ciò che avevi qui”, lo condannarono alla fine i vecchi saggi dall’alto della loro saggia immobilità. L’uomo si mise in marcia verso l’orizzonte. Camminò molti giorni attraversando selve e savane, eppure, via via che avanzava, la verde linea dell’orizzonte restava sempre alla stessa distanza, inalterabile. Una notte, mentre l’uomo meditava vicino al fuoco su quello strano prodigio che non lo allontanava, ma che gli impediva di avvicinarsi all’orizzonte, fu sorpreso dall’arrivo di uno sconosciuto.
Sembrava stanco. Salutò, poi chiese il permesso di riposare vicino al fuoco. L’uomo che cercava l’orizzonte notò che l’altro, sebbene parlasse la sua stessa lingua, non lo faceva con il tono alto delle genti che vivevano vicino al fiume, abituate a parlare in quel modo per far sì che il sordo rumore delle acque non portasse via le loro voci. Lo sconosciuto veniva dalla selva profonda, e per questo il tono della sua voce era basso: doveva essere abituato a parlare in quel modo per far sì che le sue parole non restassero prigioniere del fogliame, o per impedire che si confondessero con le imitazioni della voce umana con cui si divertivano i pappagalli in cima agli alberi.
Lo sconosciuto si strofinò i piedi, doloranti per il lungo cammino, e guardò meravigliato l’uomo che cercava l’orizzonte: aveva scostato qualche tizzone dal fuoco e glielo aveva messo vicino ai piedi. Quel tepore fu come un balsamo per la sua stanchezza. Allora lo sconosciuto tirò fuori dalla bisaccia due pezzi di manioca e ne offrì uno all’uomo che cercava l’orizzonte. Egli lo accettò e senza darvi troppo peso cominciò ad arrostire il suo pezzo di manioca sulle fiamme. L’altro, invece, si incamminò verso il folto della selva e ritornò con due grandi foglie, nelle quali avvolse amorevolmente la sua porzione. Aspettando che si cuocesse, osservò l’uomo che cercava l’orizzonte mentre cercava di mangiare la sua razione mezza calcinata. Poi, dopo aver tastato la sua parte, la ritirò dal fuoco, aprì l’involucro di foglie, ed ecco la manioca bianca e fragrante. Gliene offrì la metà, e l’uomo che cercava l’orizzonte seppe di aver trovato qualcosa di meglio di ciò che già conosceva.
Uno mangiava un cibo dal sapore inimmaginabile, e l’altro provava una sensazione di sollievo ai piedi che mai prima aveva sperimentato. Dopo cena, si distesero per riposare, ma prima disposero in terra i loro talismani protettori. L’uomo che cercava l’orizzonte si meravigliò delle collane di piume multicolori, e l’altro si commosse alla bellezza delle pietre verdi e azzurre che il suo anfitrione aveva disposto attorno al fuoco.
All’alba si prepararono a continuare il cammino. All’uomo che cercava l’orizzonte piaceva la compagnia dell’altro, e forse per questo gli chiese dove andasse. “Verso l’orizzonte, voglio vedere cosa c’è dall’altro lato”, rispose e le sue parole rallegrarono l’uomo che veniva da fiume. “Allora possiamo andare insieme”, gli disse contento. Ma la sua allegria durò poco, perché, appena si misero in movimento, l’uomo della selva cominciò a camminare nella direzione dalla quale veniva lui.
“No, l’orizzonte è di là”, disse l’uomo del fiume.
“Ti sbagli. Io vengo da lì, e l’orizzonte è di fronte ai miei occhi. Perché tu gli dai le spalle?”, chiese l’uomo della selva.
Dopo un istante di esitazione, seppero di star cercando la stessa cosa e di avere iniziato a trovarla.
Allora parlarono a lungo, dei costumi della loro gente, del colore degli uccelli, della sagacità degli animali, del sapore di frutti, dei segreti del fiume e della selva, dei loro destini così simili, esiliati perché volevano sapere più di quanto fosse loro concesso.
Quando i due uomini si separarono, e uno iniziò il cammino di ritorno verso il fiume, e l’altro verso la selva profonda, sapevano che cercando l’orizzonte avevano trovato qualcosa di più importante: la certezza dell’esistenza dell’altro, dell’altro uguale nella forma, ma differente nelle abitudini, e ciascuno si vide più ricco di quando aveva iniziato il cammino, perché il viaggio aveva dato loro le conoscenze che mai avrebbero avuto i vecchi saggi dell’immobilità.

1 commento:

  1. Ciao ti ho raggiunta (si dice) "per caso"...in realtà anch'io mi sono messa in cammino, seppure in una strada virtuale, apparentemente immaginaria, un po' come i hanno fatto i personaggi della storia che hai raccontato in questo interessante post, anch'io cerco l'orizzonte pur sapendo che tutto è condizionato dalla prospettiva e dai vari punti di vista!
    Ma come te sono convinta che ogni viaggio porti con sè nuove mete e nuovi orizzonti...amo viaggiare in tutti i sensi, la curiosità è il mio pane quotidiano che alimenta questo mio desiderio e sogno, piacere di averti incontrata!
    CIAO!!!

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