Partire è un po’ morire», ha scritto un poeta di cui non ricordo il
nome. Non condivido questa affermazione, per quanto possa sembrare
poetica, perché per me partire, l’atto di andare via, di lasciare un
luogo, porta con sé una carica di sfida, e la sfida è l’essenza
dell’avventura. Iniziare un viaggio significa predisporsi ad accogliere
le novità, le cose sconosciute, inattese, quelle a cui non siamo
abituati. Le nostre abitudini si nutrono dell’influenza che ricevono
dalle altre, così come la nostra cultura dipende dal contatto e dal
sistematico confronto con altre culture. Al di là della bellezza della
frase che mi è servita per iniziare questo testo, rifiuto il suo
eventuale contenuto perché mi sembra una difesa della sedentarietà, e i
corpi sedentari sono inclini all’esaurimento precoce.
La sedentarietà sociale riesce solo a creare pregiudizi e luoghi comuni
che rendono più difficile la comprensione. Chi non ha mai viaggiato
sostiene, per esempio, che in Inghilterra il cibo sia povero ed
insipido, che i vini tedeschi siano maldestre imitazioni, che in Italia
si mangi solo pasta, che in Spagna non conoscano altro che la paella, o
che in Cina la dieta si basi esclusivamente sul riso. Cito luoghi comuni
e apparentemente inoffensivi, e dico apparentemente perché dietro di
loro si acquatta la peggiore delle autoaffermazioni nazionaliste, quella
che sostiene : “Le nostre cose sono le migliori perché sono le uniche
che conosco”. Di qui alla patologia del patriottismo non c’è che un
passo.
Noi esseri umani ci mettiamo in movimento, vale a dire viaggiamo, per
due motivi: uno è la curiosità di sapere cosa accada al di là dei limiti
entro i quali potremmo condurre una vita tranquilla e placidamente
mediocre. Questa curiosità spinge a mettersi in moto e trasforma
in trasgressori,perché osiamo abbandonare la tranquillità e le
abitudini note per confrontarci con altre, senza sapere se ne riceveremo
benessere o inquietudine. L’altro motivo che ci mette in movimento è di
solito involontario: quando ci azzardiamo a protestare contro la
mediocrità che impera nel nostro ambiente, allora ne veniamo espulsi.
Per spiegarmi meglio, racconterò una storia che ho ascoltato tempo fa da
alcuni indios guarandies a El Pantanal, nel territorio umido del Basso
Mato Grosso. Parla di un uomo che viveva ossessionato dal desiderio di
sapere cosa ci fosse oltre la linea verde dell’orizzonte della selva.
Una sera si avvicinò al falò intorno al quale si riunivano i vecchi
saggi della sua tribù. Erano saggi davvero, ma saggi del luogo. Quando
comunicò loro la decisione di camminare verso la linea dell’orizzonte
per vedere cosa ci fosse dall’altro lato, non ricevette i consigli che
sperava e fu invece sottoposto a uno sfinente questionario. Non ti
bastano i dolci frutti della papaia e della guayaba che crescono vicino
al fiume? Forse la manioca non cresce generosa nel tuo orto? Ti sembrano
forse insipidi i pesci che si impigliano nelle tue reti? La pelle dello
yacaré in cui porti le tue frecce non ti sembra abbastanza resistente?
L’uomo rispose di sì a tutte le domande, ma aggiunse che tutto questo
non gli bastava, che non voleva possedere altre cose, bensì sapere cosa
ci fosse dall’altro lato dell’orizzonte. Allora i vecchi saggi si
infuriarono, prima di scagliare come un dardo l’ultima delle loro
inquisizioni: “Ci consideri forse incapaci di rispondere a tutte le tue
domande?”
Stavolta l’uomo rispose che essi potevano parlare di tutto quello che si
trovava da questa parte dell’orizzonte, ma non di quello che c’era
dall’altro alto, perché nessuno di loro si era mai spinto fin laggiù. I
vecchi saggi, incolleriti, lo accusarono di voler sapere di più di ciò
che era consentito e lo espulsero dalla tribù. “Potrai tornare solo se,
dall’altro lato dell’orizzonte, troverai qualcosa di meglio di ciò che
avevi qui”, lo condannarono alla fine i vecchi saggi dall’alto della
loro saggia immobilità. L’uomo si mise in marcia verso l’orizzonte.
Camminò molti giorni attraversando selve e savane, eppure, via via che
avanzava, la verde linea dell’orizzonte restava sempre alla stessa
distanza, inalterabile. Una notte, mentre l’uomo meditava vicino al
fuoco su quello strano prodigio che non lo allontanava, ma che gli
impediva di avvicinarsi all’orizzonte, fu sorpreso dall’arrivo di uno
sconosciuto.
Sembrava stanco. Salutò, poi chiese il permesso di riposare vicino al
fuoco. L’uomo che cercava l’orizzonte notò che l’altro, sebbene parlasse
la sua stessa lingua, non lo faceva con il tono alto delle genti che
vivevano vicino al fiume, abituate a parlare in quel modo per far sì che
il sordo rumore delle acque non portasse via le loro voci. Lo
sconosciuto veniva dalla selva profonda, e per questo il tono della sua
voce era basso: doveva essere abituato a parlare in quel modo per far sì
che le sue parole non restassero prigioniere del fogliame, o per
impedire che si confondessero con le imitazioni della voce umana con cui
si divertivano i pappagalli in cima agli alberi.
Lo sconosciuto si strofinò i piedi, doloranti per il lungo cammino, e
guardò meravigliato l’uomo che cercava l’orizzonte: aveva scostato
qualche tizzone dal fuoco e glielo aveva messo vicino ai piedi. Quel
tepore fu come un balsamo per la sua stanchezza. Allora lo sconosciuto
tirò fuori dalla bisaccia due pezzi di manioca e ne offrì uno all’uomo
che cercava l’orizzonte. Egli lo accettò e senza darvi troppo peso
cominciò ad arrostire il suo pezzo di manioca sulle fiamme. L’altro,
invece, si incamminò verso il folto della selva e ritornò con due grandi
foglie, nelle quali avvolse amorevolmente la sua porzione. Aspettando
che si cuocesse, osservò l’uomo che cercava l’orizzonte mentre cercava
di mangiare la sua razione mezza calcinata. Poi, dopo aver tastato la
sua parte, la ritirò dal fuoco, aprì l’involucro di foglie, ed ecco la
manioca bianca e fragrante. Gliene offrì la metà, e l’uomo che cercava
l’orizzonte seppe di aver trovato qualcosa di meglio di ciò che già
conosceva.
Uno mangiava un cibo dal sapore inimmaginabile, e l’altro provava una
sensazione di sollievo ai piedi che mai prima aveva sperimentato. Dopo
cena, si distesero per riposare, ma prima disposero in terra i loro
talismani protettori. L’uomo che cercava l’orizzonte si meravigliò delle
collane di piume multicolori, e l’altro si commosse alla bellezza delle
pietre verdi e azzurre che il suo anfitrione aveva disposto attorno al
fuoco.
All’alba si prepararono a continuare il cammino. All’uomo che cercava
l’orizzonte piaceva la compagnia dell’altro, e forse per questo gli
chiese dove andasse. “Verso l’orizzonte, voglio vedere cosa c’è
dall’altro lato”, rispose e le sue parole rallegrarono l’uomo che veniva
da fiume. “Allora possiamo andare insieme”, gli disse contento. Ma la
sua allegria durò poco, perché, appena si misero in movimento, l’uomo
della selva cominciò a camminare nella direzione dalla quale veniva lui.
“No, l’orizzonte è di là”, disse l’uomo del fiume.
“Ti sbagli. Io vengo da lì, e l’orizzonte è di fronte ai miei occhi. Perché tu gli dai le spalle?”, chiese l’uomo della selva.
Dopo un istante di esitazione, seppero di star cercando la stessa cosa e di avere iniziato a trovarla.
Allora parlarono a lungo, dei costumi della loro gente, del colore degli
uccelli, della sagacità degli animali, del sapore di frutti, dei
segreti del fiume e della selva, dei loro destini così simili, esiliati
perché volevano sapere più di quanto fosse loro concesso.
Quando i due uomini si separarono, e uno iniziò il cammino di ritorno
verso il fiume, e l’altro verso la selva profonda, sapevano che cercando
l’orizzonte avevano trovato qualcosa di più importante: la certezza
dell’esistenza dell’altro, dell’altro uguale nella forma, ma differente
nelle abitudini, e ciascuno si vide più ricco di quando aveva iniziato
il cammino, perché il viaggio aveva dato loro le conoscenze che mai
avrebbero avuto i vecchi saggi dell’immobilità.
Ciao ti ho raggiunta (si dice) "per caso"...in realtà anch'io mi sono messa in cammino, seppure in una strada virtuale, apparentemente immaginaria, un po' come i hanno fatto i personaggi della storia che hai raccontato in questo interessante post, anch'io cerco l'orizzonte pur sapendo che tutto è condizionato dalla prospettiva e dai vari punti di vista!
RispondiEliminaMa come te sono convinta che ogni viaggio porti con sè nuove mete e nuovi orizzonti...amo viaggiare in tutti i sensi, la curiosità è il mio pane quotidiano che alimenta questo mio desiderio e sogno, piacere di averti incontrata!
CIAO!!!