SPORTELLO DI ASCOLTO PSICOLOGICO GRATUITO

SPORTELLO DI  ASCOLTO PSICOLOGICO GRATUITO
SPORTELLO DI ASCOLTO PSICOLOGICO GRATUITO: Ascolto telefonico e telematico per prevenire/sostenere disagi psicologici Inoltre: prima consultazione in sede gratuita Mail: donatella.ghisu@yahoo.it /telefono: 392 5543431

D.ssa Donatella Ghisu

Psicologa, Counsellor Psicologico e Socio-educativo, Anali Transazionale, Specialista in Psicoterapia Breve Strategica, Psicopedagogista, Specialista in: Disturbi alcol correlati, Chil Abuse, Psicologia forense, Disturbi dell'Apprendimento e del Comportamento, Trainer EMDR. Mi occupo di coppie, adolescenti ed adulti a livello individuale e di gruppo. Sostegno alla genitorialità, agli insegnanti nonché alle aziende pubbliche e private.

domenica 28 novembre 2010

Stress-Benessere Azienda

Lo stress è considerato oggi uno dei problemi sociali più gravi, cui va data una adeguata risposta sia a livello di cura che di prevenzione. Studi sperimentali hanno dimostrato il collegamento stretto tra condizioni alterate di stress e livelli biologici profondi, che giocano un ruolo importante in diverse malattie. Lo stress è inoltre causa diretta di patologie: ansia, attacchi di panico, insonnia, difficoltà di concentrazione e di decisione, pensieri ripetitivi, irritabilità. Sul piano lavorativo, sono ben noti i costi del burnout, effetto diretto di una situazione di stress prolungato.
Le variabili che caratterizzano il passaggio dallo stress "adattivo" a quello cronico e fonte di disagio sono tanto complesse da richiedere un approccio multidimensionale sia per l'intervento - preventivo o terapeutico - che per l'assessment.
Riguardo a quest'ultimo aspetto, le misure di stress in uso sono prevalentemente di tipo indiretto: cioè tengono conto o degli eventi stressanti o dei sintomi conseguenti allo stato di stress.
Obiettivo di questo volume è presentare una modalità multidimensionale di "misurazione" dello stress che utilizzi sia il questionario self-report (la traduzione e adattamento italiano del test Mesure du Stress Psychologique di Tessier e collaboratori, dell'Università Laval del Quebec), sia una serie di griglie di osservazione per la rilevazione dall'esterno di vari aspetti, fra i quali la respirazione, la postura, il movimento, il tono della voce.
La precisa collocazione del soggetto all'interno di una scala stress-benessere consente di valutare - anche quantitativamente - l'efficacia del trattamento praticato, quale che sia l'ottica teorica a fondamento del trattamento stesso; ma la metodologia presentata, rendendo possibile una rilevazione diretta dello stato dell'organismo anche prima che si arrivi a conseguenze di malattia conclamata, è utile per il lavoro preventivo mirante a ridurre i processi di cronicizzazione dello stress e le loro conseguenze in termini di perdita di benessere personale e sociale.

Il progetto Stress-Benessere Aziende si colloca nel recente filone di studi che prende in considerazione in modo innovativo la complessità del mondo del lavoro, il funzionamento di fondo dei soggetti e delle Aziende. E si colloca, anche, nel filone delle più recenti ricerche che si occupano di incrementare le potenzialità sia delle Aziende che degli individui: intervenendo sui meccanismi oggi sempre più diffusi dello Stress (e del conseguente disagio cognitivo, emotivo, psicofisiologico), e recuperando in pieno le risorse umane (su cui l’Azienda fonda le sue possibilità) a vari livelli. 
Oggi è possibile affrontare in modo nuovo e virtuoso il tema del Benessere e dello Stress, così centrale per le Organizzazioni e per la Società in generale, poiché nuove conoscenze scientifiche ne hanno messo in luce i meccanismi profondi, le basi su cui si sviluppa e si cronicizza lo Stress divenendo negativo (di-stress) e gli effetti nocivi che questo ha sulla salute e sui funzionamenti più in particolare di chi lavora e dell’Azienda stessa.
La visione integrata della psicologia Funzionale
La psicologia integrata Funzionale studia da oltre 15 anni questi processi, attraverso una visione integrata e non frammentata, identificando tutte le componenti psicologiche, neurologiche, endocrine, sensoriali-percettive, fisiologiche di questo fenomeno complesso, e le modalità della loro interazione. Solo così si è potuti arrivare ad una comprensione piena del fenomeno, dei meccanismi di base dello Stress: per cui oggi è possibile finalmente fare valutazioni e misurazioni oggettive e precise dello stato di Stress cronico nei soggetti. E attraverso questa visione e a seguito di una valutazione integrata delle varie componenti dello Stress è possibile anche progettare interventi 

precisi e mirati sulle radici profonde del disagio.
L’Organismo Azienda
Il Pensiero Funzionale si caratterizza per la sua capacità di guardare all’interezza e alla multidimensionalità dell’essere umano, con una visione olistica, scientificamente fondata e al contempo fortemente e precisamente operativa. Applicato al mondo del lavoro, si apre la possibilità di ipotizzare che anche l'Azienda, così come un essere umano, possa essere considerata come un vero e proprio organismo vivente, con i suoi meccanismi complessi, con le sue leggi di funzionamento, con la sua vitalità, con la sua capacità di Benessere profondo. L'Azienda non è, dunque, solo strutture, cicli di produzione, prodotti, macchinari; bisogna imparare a vederla anche come un crocevia di emozioni e di sensazioni; uno stratificarsi di vissuti e di vicende, di entusiasmi e di delusioni, di crescita, di creatività, di movimenti. Possiamo pensare all'Azienda come un organismo vivente, possiamo guardarla come un insieme di Funzioni vitali  e di Capacità vitali che la caratterizzano su differenti piani e livelli. Oggi anche l'organismo-Azienda può essere, dunque, valutato in una visione multidimensionale, e nei suoi funzionamenti di fondo, le uniche modalità che assicurino una possibilità di lettura e d'intervento rispondenti alle moderne leggi della complessità, alfine di individuare realmente ciò che può essere ulteriormente migliorato. È possibile, quindi, oggi valutare anche se ci siano condizioni alterate di modalità di lavoro, di organizzazione del lavoro, che possono tendere a produrre Stress. Il pensiero Funzionale applicato all’organismo-Azienda, infine, sviluppa in pieno il concetto nuovo di Benessere: un concetto che può finalmente racchiudere l'interezza del funzionamento, la completezza dello sviluppo. Una concezione in cui il Benessere dell’Azienda non si contrappone al Benessere di chi vi lavora, ma anzi entrambi si rinforzano reciprocamente. Oggi è acclarato che il successo di un'impresa dipende dalla sua capacità di rispondere rapidamente ed efficacemente alle richieste mutevoli del mercato; ed è perciò importante per un’Azienda poter recuperare capacità di Benessere ed efficacia, anche in presenza di una società in rapido sviluppo e con esigenze sempre crescenti, perché la velocità dei processi e la quantità di stimoli provenienti dall’interno dell’organizzazione e dal contesto di riferimento, possono incidere sui delicati equilibri psico-fisici delle persone, generando reazioni negative e sfociando in condizioni di stress cronico altamente improduttive. Occorre, quindi, arrivare pienamente ad una positiva attivazione di tutte le risorse dell’Azienda diretta al conseguimento di obiettivi realistici e concordati, per allontanare ed eliminare il rischio di un graduale esaurimento delle energie, foriero di successivi disagi a tutti i livelli del sistema (micro e macro).
Benessere dell’Azienda, Benessere individuale, Benessere sociale
Oggi, con una visione scientifica complessiva (sviluppata in particolare dal Funzionalismo moderno), possiamo prendere in considerazione i funzionamenti di fondo del Mondo del Lavoro e di chi opera nel Mondo del Lavoro, analizzandone, come abbiamo visto, anche i meccanismi dello Stress e del Benessere. Ciò consente interventi mirati, e quindi più efficaci, e per ciò più idonei a restituire Benessere, a costruire livelli qualitativamente più significativi, a produrre successo: innanzitutto al Mondo del Lavoro, e poi, come riflesso importante, anche alla famiglia e al sociale. La presenza di Benessere nell’Azienda e nel Mondo del Lavoro è una qualità che si comunica a tutti i suoi settori, a tutte le sue componenti, a tutti coloro che vi operano a qualsivoglia livello. Il benessere dell’Azienda non è contrapposto al Benessere del suo Personale; anzi, l’uno potenzia l’altro. Il Benessere sul lavoro è un bene comune che produce ulteriore Benessere: a vari livelli nella Società. L’aumento di efficienza e il miglioramento della salute e sicurezza dei lavoratori avrà come indubbie conseguenze  (art. 1 Accordo interconfederale 9 giugno 2008). L'apporto delle nuove conoscenze scientifiche è il tessuto che rende possibile realizzare questo passaggio a nuovi obiettivi e nuove fasi più positive del mondo del lavoro.


Gestione dell'ansia.

Che cos’è l’ansia?
E’ un sentimento molto angosciante per le persone che lo vivono. La radice etimologica riporta a concetti quali il sentirsi soffocare il sentirsi stretti.
Di fatto è un sentimento naturale che nasce dal tentativo dell’individuo di adattarsi alla realtà di fronte ad uno stress attraverso un meccanismo psicologico che acquista la funzione di anticipare la percezione di un eventuale pericolo. A seguito di ciò vengono messe in azione determinate risposte fisiologiche che hanno la funzione di proteggerci dalle minacce esterne preparandoci all'azione e contemporaneamente motivandoci all'interazione con il mondo circostante. Da un lato quindi un atteggiamento di approfondimento e di esplorazione per individuare il pericolo e dall’altro un comportamento di fuga ed esitamento.
Questa ansia, è del tutto naturale ed è costruttiva in quanto è funzionale alla nostra sopravvivenza. L’ansia in questo caso diventa uno stimolo e agisce come motivazione all’accrescimento.
Basti pensare all’ansia prima di sostenere un esame poco interessante. In questo caso l’ansia agisce come stimolo (ansia da prestazione) e ci spinge ad impegnarci per il raggiungimento dell’obiettivo.
Quando la nostra risposta emotiva ci impedisce di superare la situazione vivendo uno stato di allarme non corrispondente ad un pericolo reale, perdiamo la funzione costruttiva e di adattamento dei questa emozione e ci ritroviamo di fronte ad un comportamento sproporzionato che si presenta come disturbo psichico.
In questa situazione gli stimoli percepiti dai processi cognitivi vengono valutati in maniera errata.
Parliamo di Ansia cattiva-disfunzionale.
La persona sviluppa alcune tipologie di comportamento per tenere sotto controllo l’angoscia.
Abbiamo ad esempio un comportamento di evitamento. La persona evita il contatto con l’oggetto temuto (ad es. se l’ansia è determinata dalla paura dei cani eviterà di mettersi in condizioni di incontrare cani e nei casi più gravi eviterà di uscire).
In altri casi, più patologici, viene rimossa al livello inconscio la fonte della propria ansia e pertanto il soggetto vive un’ansia generalizzata apparentemente senza causa (visibile), in quanto i ricordi minacciosi e spiacevoli non vengono più ricordati.
I sintomi più frequenti sono:

fisiologici:

* l'aumento della tensione
* la tachicardia in cui l'accelerazione dei battiti del cuore
* Aumento della pressione sanguigna;
* l'iperventilazione, cioè l'aumento della frequenza respiratoria al di fuori del controllo della persona
* senso di vertigine e nei casi più gravi ad un annebbiamento della vista e progressiva diminuzione della capacità di comprensione;
* l'aumento della sensibilità dell'organismo agli agenti esterni cognitivi:

* concentrarsi maggiormente sugli aspetti ritenuti più minacciosi
* valutazione della realtà in modo irrealistico (generalizzazione, pregiudizio) come valutazione globale della persona ("se non riesco a fare questo sono un incapace.")
* l'autosvalutazione, pensare di non essere in grado di non essere all'altezza, di non farcela;
* il pensiero catastrofico: convincersi che è qualcosa di incontrollabile
* il perfezionismo, ovvero decidere di rimandare continuamente una decisione di affrontare un problema o un compito fino a quando non ci si sente o non ritiene “perfettamente” pronti.

sabato 27 novembre 2010

PERCHE' LO PSICOLOGO 

Lo psicologo non è il medico dei matti!

La figura dello psicologo è tante volte associata alle persone che hanno gravi ritardi mentali o serie deficienze. In realtà non è così! Il compito dello psicologo è piuttosto quello della prevenzione, aiutando il paziente a capire le cause dei propri problemi e sradicarli alla radice prima che possano crescere e causare gravi danni in futuro.

I MIEI OBIETTIVI


psicologo 24 ore on line consulenze psicologiche online via chat email skype msn

Quando rivolgersi allo psicologo

Sono tante le tematiche e le occasioni in cui la figura dello psicologo può essere di grande sostegno ed aiuto. In particolare quando ci sono difficoltà di convivenza con i figli, i genitori o i partner, amici o colleghi, quando ci sentiamo non capiti da nessuno, quando non riusciamo a reggere l'eccessivo ritmo della vita, quando ci preoccupiamo troppo spesso per cose anche futili, quando ci sentiamo schiacciati dall'ansia e dal panico, quando facciamo ricorrentemente qualcosa o non la facciamo proprio (es: mangiare o dormire).


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Capire, prevenire ed aiutare

- disturbi dell'umore, di ansia e di stress;
- disturbi del sonno, dell'alimentazione e dipendenze;
- disturbi sessuali e problemi con il partner;
- problemi comportamentali e relazionali. e sono solo pochi esempi.


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Le mie consulenze

- consulenza via email;
- consulenza via chat, tramite Windows Live Messenger o Skype;
- consulenza via telefono Skype;
- consulenza classica, in presenza, nei locali dello studio.

TARIFFE

 I costi dei servizi  

La prima consulenza online via email è gratuita: basta che inviate la descrizione della vostra problematica e riceverete la risposta nel più breve tempo possibile. Le seguenti consulenze via email costano 15 euro cadauna.

Le consulenze via chat costano 35 euro l'una e durano 45 minuti, le consulenze via telefono skype costano 30 euro l'una e durano 30 minuti.
La prima consulenza classica presso lo studio  è gratuita, le successive variano da un minimo di 35 euro, in base alla problematica.
 
Modalità di pagamento
Il pagamento delle consulenze deve avvenire necessariamente in modo anticipato. Ci sono diversi modi di pagamento:
- tramite ricarica postepay, costa 1 euro, si effettua in tutti gli uffici postali ed il trasferimento dei fondi è immediato;
- tramite carta di credito o conto paypal, costa il 5% dell'intero importo (dovuto alle commissioni dell'esercente), si effettua online ed il trasferimento dei fondi è immediato;
- tramite bonifico bancario, il costo dipende dalla vostra banca ed il trasferimento avviene in genere in 3/4 giorni lavorativi. Se si sceglie tale modalità bisogna tener presente dunque il ritardo dell'accredito e dunque scegliere per l'appuntamento un giorno non troppo vicino all'attuale;
- tramite contanti, solo per le consulenze classiche dal vivo nello studio della dottoressa.

Da ricordare 

Il servizio offerto dal  portale, quello delle consulenze online, è un servizio che non può sostituire il normale colloquio psicologico a tu per tu con il medico (che potete avere recandovi presso lo studio), ma può essere un valido aiuto per chiunque abbia bisogno di un supporto immediato o, magari, prova imbarazzo nell'esporre le proprie problematiche ad uno sconosciuto. Resta il fatto che le prestazioni della dottoressa sono espressamente svolte nel rispetto del codice deontologico dell'ordine degli Psicologi Italiani, nel rispetto della privacy e delle norme previste dalla legge. Ogni consulenza a pagamento sarà pertanto accompagnata da regolare fattura (deducibile fiscalmente nella dichiarazione dei redditi).

 

codice deontologico

CODICE DEONTOLOGICO DEGLI PSICOLOGI ITALIANI
Capo I - Principi generali
Articolo 1
Le regole del presente Codice deontologico sono vincolanti per tutti gli iscritti all’Albo degli psicologi. Lo psicologo è tenuto alla loro conoscenza, e l’ignoranza delle medesime non esime dalla responsabilità disciplinare.
Articolo 2
L’inosservanza dei precetti stabiliti nel presente Codice deontologico, ed ogni azione od omissione comunque contrarie al decoro, alla dignità ed al corretto esercizio della professione, sono punite secondo quanto previsto dall’art. 26, comma 1°, della Legge 18 febbraio 1989, n. 56, secondo le procedure stabilite dal Regolamento disciplinare.
Articolo 3
Lo psicologo considera suo dovere accrescere le conoscenze sul comportamento umano ed utilizzarle per promuovere il benessere psicologico dell’individuo, del gruppo e della comunità. In ogni ambito professionale opera per migliorare la capacità delle persone di comprendere se stessi e gli altri e di comportarsi in maniera consapevole, congrua ed efficace. Lo psicologo è consapevole della responsabilità sociale derivante dal fatto che, nell’esercizio professionale, può intervenire significativamente nella vita degli altri; pertanto deve prestare particolare attenzione ai fattori personali, sociali, organizzativi, finanziari e politici, al fine di evitare l’uso non appropriato della sua influenza, e non utilizza indebitamente la fiducia e le eventuali situazioni di dipendenza dei committenti e degli utenti destinatari della sua prestazione professionale. Lo psicologo è responsabile dei propri atti professionali e delle loro prevedibili dirette conseguenze.
Articolo 4
Nell’esercizio della professione, lo psicologo rispetta la dignità, il diritto alla riservatezza, all’autodeterminazione ed all’autonomia di coloro che si avvalgono delle sue prestazioni; ne rispetta opinioni e credenze, astenendosi dall’imporre il suo sistema di valori; non opera discriminazioni in base a religione, etnia, nazionalità, estrazione sociale, stato socio-economico, sesso di appartenenza, orientamento sessuale, disabilità.Lo psicologo utilizza metodi e tecniche salvaguardando tali principi, e rifiuta la sua collaborazione ad iniziative lesive degli stessi. Quando sorgono conflitti di interesse tra l’utente e l’istituzione presso cui lo psicologo opera, quest’ultimo deve esplicitare alle parti, con chiarezza, i termini delle proprie responsabilità ed i vincoli cui è professionalmente tenuto. In tutti i casi in cui il destinatario ed il committente dell’intervento di sostegno o di psicoterapia non coincidano, lo psicologo tutela prioritariamente il destinatario dell’intervento stesso.
Articolo 5
Articolo 5
Lo psicologo è tenuto a mantenere un livello adeguato di preparazione professionale e ad aggiornarsi nella propria disciplina specificatamente nel settore in cui opera. Riconosce i limiti della propria competenza ed usa, pertanto, solo strumenti teorico-pratici per i quali ha acquisito adeguata competenza e, ove necessario, formale autorizzazione. Lo psicologo impiega metodologie delle quali è in grado di indicare le fonti ed i riferimenti scientifici, e non suscita, nelle attese del cliente e/o utente, aspettative infondate.
Articolo 6
Lo psicologo accetta unicamente condizioni di lavoro che non compromettano la sua autonomia professionale ed il rispetto delle norme del presente codice, e, in assenza di tali condizioni, informa il proprio Ordine. Lo psicologo salvaguarda la propria autonomia nella scelta dei metodi, delle tecniche e degli strumenti psicologici, nonché della loro utilizzazione; è perciò responsabile della loro applicazione ed uso, dei risultati, delle valutazioni ed interpretazioni che ne ricava. Nella collaborazione con professionisti di altre discipline esercita la piena autonomia professionale nel rispetto delle altrui competenze.
Articolo 7
Nelle proprie attività professionali, nelle attività di ricerca e nelle comunicazioni dei risultati delle stesse, nonché nelle attività didattiche, lo psicologo valuta attentamente, anche in relazione al contesto, il grado di validità e di attendibilità di informazioni, dati e fonti su cui basa le conclusioni raggiunte; espone, all’occorrenza, le ipotesi interpretative alternative, ed esplicita i limiti dei risultati. Lo psicologo, su casi specifici, esprime valutazioni e giudizi professionali solo se fondati sulla conoscenza professionale diretta ovvero su una documentazione adeguata ed attendibile.
Articolo 8
Lo psicologo contrasta l’esercizio abusivo della professione come definita dagli articoli 1 e 3 della Legge 18 febbraio 1989, n. 56, e segnala al Consiglio dell’Ordine i casi di abusivismo o di usurpazione di titolo di cui viene a conoscenza. Parimenti, utilizza il proprio titolo professionale esclusivamente per attività ad esso pertinenti, e non avalla con esso attività ingannevoli od abusive.
Articolo 9
Nella sua attività di ricerca lo psicologo è tenuto ad informare adeguatamente i soggetti in essa coinvolti al fine di ottenerne il previo consenso informato, anche relativamente al nome, allo status scientifico e professionale del ricercatore ed alla sua eventuale istituzione di appartenenza. Egli deve altresì garantire a tali soggetti la piena libertà di concedere, di rifiutare ovvero di ritirare il consenso stesso. Nell’ ipotesi in cui la natura della ricerca non consenta di informare preventivamente e correttamente i soggetti su taluni aspetti della ricerca stessa, lo psicologo ha l’obbligo di fornire comunque, alla fine della prova ovvero della raccolta dei dati, le informazioni dovute e di ottenere l’autorizzazione all’uso dei dati raccolti. Per quanto concerne i soggetti che, per età o per altri motivi, non sono in grado di esprimere validamente il loro consenso, questo deve essere dato da chi ne ha la potestà genitoriale o la tutela, e, altresì, dai soggetti stessi, ove siano in grado di comprendere la natura della collaborazione richiesta. Deve essere tutelato, in ogni caso, il diritto dei soggetti alla riservatezza, alla non riconoscibilità ed all’anonimato.
Articolo 10
Quando le attività professionali hanno ad oggetto il comportamento degli animali, lo psicologo si impegna a rispettarne la natura ed a evitare loro sofferenze.
Articolo 11
Lo psicologo è strettamente tenuto al segreto professionale. Pertanto non rivela notizie, fatti o informazioni apprese in ragione del suo rapporto professionale, né informa circa le prestazioni professionali effettuate o programmate, a meno che non ricorrano le ipotesi previste dagli articoli seguenti.
Articolo 12
Lo psicologo si astiene dal rendere testimonianza su fatti di cui è venuto a conoscenza in ragione del suo rapporto professionale. Lo psicologo può derogare all’obbligo di mantenere il segreto professionale, anche in caso di testimonianza, esclusivamente in presenza di valido e dimostrabile consenso del destinatario della sua prestazione. Valuta, comunque, l’opportunità di fare uso di tale consenso, considerando preminente la tutela psicologica dello stesso.
Articolo 13
Nel caso di obbligo di referto o di obbligo di denuncia, lo psicologo limita allo stretto necessario il riferimento di quanto appreso in ragione del proprio rapporto professionale, ai fini della tutela psicologica del soggetto. Negli altri casi, valuta con attenzione la necessità di derogare totalmente o parzialmente alla propria doverosa riservatezza, qualora si prospettino gravi pericoli per la vita o per la salute psicofisica del soggetto e/o di terzi.
Articolo 14
Lo psicologo, nel caso di intervento su o attraverso gruppi, è tenuto ad in informare, nella fase iniziale, circa le regole che governano tale intervento. È tenuto altresì ad impegnare, quando necessario, i componenti del gruppo al rispetto del diritto di ciascuno alla riservatezza.
Articolo 15
Nel caso di collaborazione con altri soggetti parimenti tenuti al segreto professionale, lo psicologo può condividere soltanto le informazioni strettamente necessarie in relazione al tipo di collaborazione.
Articolo 16
Lo psicologo redige le comunicazioni scientifiche, ancorché indirizzate ad un pubblico di professionisti tenuti al segreto professionale, in modo da salvaguardare in ogni caso l’anonimato del destinatario della prestazione.
Articolo 17
La segretezza delle comunicazioni deve essere protetta anche attraverso la custodia e il controllo di appunti, note, scritti o registrazioni di qualsiasi genere e sotto qualsiasi forma, che riguardino il rapporto professionale. Tale documentazione deve essere conservata per almeno i cinque anni successivi alla conclusione del rapporto professionale, fatto salvo quanto previsto da norme specifiche. Lo psicologo deve provvedere perché, in caso di sua morte o di suo impedimento, tale protezione sia affidata ad un collega ovvero all’Ordine professionale. Lo psicologo che collabora alla costituzione ed all’uso di sistemi di documentazione si adopera per la realizzazione di garanzie di tutela dei soggetti interessati.
Articolo 18
In ogni contesto professionale lo psicologo deve adoperarsi affinché sia il più possibile rispettata la libertà di scelta, da parte del cliente e/o del paziente, del professionista cui rivolgersi.
Articolo 19
Lo psicologo che presta la sua opera professionale in contesti di selezione e valutazione è tenuto a rispettare esclusivamente i criteri della specifica competenza, qualificazione o preparazione, e non avalla decisioni contrarie a tali principi.
Articolo 20
Nella sua attività di docenza, di didattica e di formazione lo psicologo stimola negli studenti, allievi e tirocinanti l’interesse per i principi deontologici, anche ispirando ad essi la propria condotta professionale.
Articolo 21
Lo psicologo, a salvaguardia dell’utenza e della professione, è tenuto a non insegnare l’uso di strumenti conoscitivi e di intervento riservati alla professione di psicologo, a soggetti estranei alla professione stessa, anche qualora insegni a tali soggetti discipline psicologiche. È fatto salvo l’insegnamento agli studenti del corso di laurea in psicologia, ai tirocinanti, ed agli specializzandi in materie psicologiche.
Capo II - Rapporti con l’utenza e con la committenza
Articolo 22
Lo psicologo adotta condotte non lesive per le persone di cui si occupa professionalmente, e non utilizza il proprio ruolo ed i propri strumenti professionali per assicurare a sè o ad altri indebiti vantaggi.
Articolo 23
Lo psicologo pattuisce nella fase iniziale del rapporto quanto attiene al compenso professionale. In ogni caso la misura del compenso deve essere adeguata all’importanza dell’opera. In ambito clinico tale compenso non può essere condizionato all’esito o ai risultati dell’intervento professionale.
Articolo 24
Lo psicologo, nella fase iniziale del rapporto professionale, fornisce all’individuo, al gruppo, all’istituzione o alla comunità, siano essi utenti o committenti, informazioni adeguate e comprensibili circa le sue prestazioni, le finalità e le modalità delle stesse, nonché circa il grado e i limiti giuridici della riservatezza. Pertanto, opera in modo che chi ne ha diritto possa esprimere un consenso informato. Se la prestazione professionale ha carattere di continuità nel tempo, dovrà esserne indicata, ove possibile, la prevedibile durata.
Articolo 25
Lo psicologo non usa impropriamente gli strumenti di diagnosi e di valutazione di cui dispone. Nel caso di interventi commissionati da terzi, informa i soggetti circa la natura del suo intervento professionale, e non utilizza, se non nei limiti del mandato ricevuto, le notizie apprese che possano recare ad essi pregiudizio. Nella comunicazione dei risultati dei propri interventi diagnostici e valutativi, lo psicologo è tenuto a regolare tale comunicazione anche in relazione alla tutela psicologica dei soggetti.
Articolo 26
Lo psicologo si astiene dall’intraprendere o dal proseguire qualsiasi attività professionale ove propri problemi o conflitti personali, interferendo con l’efficacia delle sue prestazioni, le rendano inadeguate o dannose alle persone cui sono rivolte. Lo psicologo evita, inoltre, di assumere ruoli professionali e di compiere interventi nei confronti dell’utenza, anche su richiesta dell’Autorità Giudiziaria, qualora la natura di precedenti rapporti possa comprometterne la credibilità e l’efficacia.
Articolo 27
Lo psicologo valuta ed eventualmente propone l’interruzione del rapporto terapeutico quando constata che il paziente non trae alcun beneficio dalla cura e non è ragionevolmente prevedibile che ne trarrà dal proseguimento della cura stessa. Se richiesto, fornisce al paziente le informazioni necessarie a ricercare altri e più adatti interventi.
Articolo 28
Lo psicologo evita commistioni tra il ruolo professionale e vita privata che possano interferire con l’attività professionale o comunque arrecare nocumento all’immagine sociale della professione. Costituisce grave violazione deontologica effettuare interventi diagnostici, di sostegno psicologico o di psicoterapia rivolti a persone con le quali ha intrattenuto o intrattiene relazioni significative di natura personale, in particolare di natura affettivo-sentimentale e/o sessuale. Parimenti costituisce grave violazione deontologica instaurare le suddette relazioni nel corso del rapporto professionale. Allo psicologo è vietata qualsiasi attività che, in ragione del rapporto professionale, possa produrre per lui indebiti vantaggi diretti o indiretti di carattere patrimoniale o non patrimoniale, ad esclusione del compenso pattuito. Lo psicologo non sfrutta la posizione professionale che assume nei confronti di colleghi in supervisione e di tirocinanti, per fini estranei al rapporto professionale.
Articolo 29
Lo psicologo può subordinare il proprio intervento alla condizione che il paziente si serva di determinati presidi, istituti o luoghi di cura soltanto per fondati motivi di natura scientifico-professionale.
Articolo 30
Nell’esercizio della sua professione allo psicologo è vietata qualsiasi forma di compenso che non costituisca il corrispettivo di prestazioni professionali.
Articolo 31
Le prestazioni professionali a persone minorenni o interdette sono, generalmente, subordinate al consenso di chi esercita sulle medesime la potestà genitoriale o la tutela. Lo psicologo che, in assenza del consenso di cui al precedente comma, giudichi necessario l’intervento professionale nonché l’assoluta riservatezza dello stesso, è tenuto ad informare l’Autorità Tutoria dell’instaurarsi della relazione professionale. Sono fatti salvi i casi in cui tali prestazioni avvengano su ordine dell’autorità legalmente competente o in strutture legislativamente preposte.
Articolo 32
Quando lo psicologo acconsente a fornire una prestazione professionale su richiesta di un committente diverso dal destinatario della prestazione stessa, è tenuto a chiarire con le parti in causa la natura e le finalità dell’intervento.
Capo III - Rapporti con i colleghi
Articolo 33
I rapporti fra gli psicologi devono ispirarsi al principio del rispetto reciproco, della lealtà e della colleganza. Lo psicologo appoggia e sostiene i Colleghi che, nell’ambito della propria attività, quale che sia la natura del loro rapporto di lavoro e la loro posizione gerarchica, vedano compromessa la loro autonomia ed il rispetto delle norme deontologiche.
Articolo 34
Lo psicologo si impegna a contribuire allo sviluppo delle discipline psicologiche e a comunicare i progressi delle sue conoscenze e delle sue tecniche alla comunità professionale, anche al fine di favorirne la diffusione per scopi di benessere umano e sociale.
Articolo 35
Nel presentare i risultati delle proprie ricerche, lo psicologo è tenuto ad indicare la fonte degli altrui contributi.
Articolo 36
Lo psicologo si astiene dal dare pubblicamente su colleghi giudizi negativi relativi alla loro formazione, alla loro competenza ed ai risultati conseguiti a seguito di interventi professionali, o comunque giudizi lesivi del loro decoro e della loro reputazione professionale. Costituisce aggravante il fatto che tali giudizi negativi siano volti a sottrarre clientela ai colleghi. Qualora ravvisi casi di scorretta condotta professionale che possano tradursi in danno per gli utenti o per il decoro della professione, lo psicologo è tenuto a darne tempestiva comunicazione al Consiglio dell’Ordine competente.
Articolo 37
Lo psicologo accetta il mandato professionale esclusivamente nei limiti delle proprie competenze. 
Qualora l’interesse del committente e/o del destinatario della prestazione richieda il ricorso ad altre specifiche competenze, lo psicologo propone la consulenza ovvero l’invio ad altro collega o ad altro professionista.
Articolo 38
Nell’esercizio della propria attività professionale e nelle circostanze in cui rappresenta pubblicamente la professione a qualsiasi titolo, lo psicologo è tenuto ad uniformare la propria condotta ai principi del decoro e della dignità professionale.
Capo IV - Rapporti con la società
Articolo 39
Lo psicologo presenta in modo corretto ed accurato la propria formazione, esperienza e competenza. Riconosce quale suo dovere quello di aiutare il pubblico e gli utenti a sviluppare in modo libero e consapevole giudizi, opinioni e scelte.
Articolo 40
Indipendentemente dai limiti posti dalla vigente legislazione in materia di pubblicità, lo psicologo non assume pubblicamente comportamenti scorretti finalizzati al procacciamento della clientela. In ogni caso, può essere svolta pubblicità informativa circa i titoli e le specializzazioni professionali, le caratteristiche del servizio offerto, nonché il prezzo e i costi complessivi delle prestazioni secondo criteri di trasparenza e veridicità del messaggio il cui rispetto è verificato dai competenti Consigli dell’Ordine. Il messaggio deve essere formulato nel rispetto del decoro professionale, conformemente ai criteri di serietà scientifica ed alla tutela dell’immagine della professione. La mancanza di trasparenza e veridicità del messaggio pubblicizzato costituisce violazione deontologica.
Capo V - Norme di attuazione
Articolo 41
È istituito presso la “Commissione Deontologia” dell’Ordine degli psicologi l'Osservatorio permanente sul Codice Deontologico”, regolamentato con apposito atto del Consiglio Nazionale dell’Ordine, con il compito di raccogliere la giurisprudenza in materia deontologica dei Consigli regionali e provinciali dell’Ordine e ogni altro materiale utile a formulare eventuali proposte della Commissione al Consiglio Nazionale dell’Ordine, anche ai fini della revisione periodica del Codice Deontologico. Tale revisione si atterrà alle modalità previste dalla Legge 18 febbraio 1989, n. 56.
Articolo 42
Il presente Codice deontologico entra in vigore il trentesimo giorno successivo alla proclamazione dei risultati del referendum di approvazione, ai sensi dell’art. 28, comma 6, lettera c) della Legge 18 febbraio 1989, n. 56.






CHE COS’E’ IL BULLISMO? (parte I°)

"Il bullismo è una azione che mira deliberatamente a fare del male o a danneggiare. Spesso è persistente ed è difficile difendersi per coloro che ne sono vittima” (Sharp e Smith, 1995).
L’azione del bullo nei confronti della vittima è compiuta in modo intenzionale e ripetuto. Per parlare di bullismo non è sufficiente quindi che si verifichi un singolo episodio di angheria tra studenti, ma deve instaurarsi una relazione che, cronicizzandosi, crei dei ruoli definiti: il ruolo di colui che le prepotenze le subisce (la vittima) e di chi invece le perpetua (il bullo). Il bullismo implica sempre uno squilibrio in termini di forza: non si dovrebbe perciò usare questo termine quando due compagni, all’incirca della stessa forza fisica o psicologica, litigano o discutono. Per parlare di bullismo è necessario che ci sia un’asimmetria nella relazione”
(Olweus, 1996)

FATTORI CHE QUALIFICANO IL BULLISMO
1. L'INTENZIONALITÀ: il comportamento aggressivo viene messo in atto volontariamente e consapevolmente. ESISTE QUINDI INTENZIONE DI ARRECARE UN DANNO ALL’ALTRO
 2. LA SISTEMATICITÀ: il comportamento aggressivo viene messo in atto più volte e si ripete nel tempo. ESISTE QUINDI PERSISTENZA, CONTINUITÀ NEL TEMPO
 3. L’ASIMMETRIA DI POTERE: tra le parti coinvolte (il bullo e la vittima) esiste una differenza di potere dovuta alla forza fisica, all'età o alla numerosità, quando le aggressioni sono di gruppo. La vittima, in ogni caso, ha difficoltà a difendersi e sperimenta un forte senso di impotenza. ESISTE QUINDI DISEQUILIBRIO, UNA RELAZIONE DI TIPO ASIMMETRICO TRA I SOGGETTI COINVOLTI.

FORME DI BULLISMO
  •    Bullismo diretto: comportamenti in cui viene utilizzata la forza fisica per nuocere all'altro. Ad esempio: picchiare, spingere, fare cadere
  •     Bullismo verbale: comportamenti in cui viene utilizzata la parola per arrecare danno alla vittima. Ad esempio: offese, prese in giro reiterate
  •  Bullismo indiretto: comportamenti che non sono rivolti alla vittima in modo diretto ma che tendono a danneggiarla nelle relazioni con gli altri. Queste modalità spesso risultano poco visibili e portano all'esclusione e all'isolamento della vittima tramite, ad esempio, la diffusione di pettegolezzi e dicerie, l'ostracismo.
 
PREVALENZA DEL BULLISMO nella scuola
 
         NORD EUROPA:
(Olweus 1996; Whitney, Smith 1993)
dal 9% al 27% degli alunni di età compresa tra i 7 e i 16 anni è oggetto di prepotenze all’interno della scuola
          ITALIA:
(Fonzi 1997)
41% nella scuola elementare
26% nella scuola media
         Milano:
(Stop al Bullismo – ASL Città di Milano)
10.000 studenti delle scuole dell’obbligo
 
INCIDENZA DEL BULLISMO  Scuola elementare - STATISTICHE NAZIONALI-
 
PROVINCIA
FONTE
BULLISMO SUBITO
BULLISMO AGITO


maschi
femmine
maschi
femmine
Torino
Fonzi, 1997
35.1%
35.2%
30.4%
24.8%
Bologna
Fonzi, 1997
46.5%
37.1%
34.9%
31.5%
Firenze
Fonzi, 1997
41.0%
50.6%
33.3%
13.5%
Napoli
Fonzi, 1997
50.1%
45.6%
43.6%
31.9%
Cosenza
Fonzi, 1997
21.9%
16.8%
13.8%
6.7%
Palermo
Fonzi, 1997
39.4%
39.6%
26.6%
31.8%
Cagliari
Marini, Mameli, 1999
57.5%
30.7%
42.4%
19.4%
Milano
Stop al Bullismo
51.9%
48.3%
48.5%
39.5%

INCIDENZA DEL BULLISMO
Scuola media - STATISTICHE NAZIONALI-
PROVINCIA
FONTE
BULLISMO SUBITO
BULLISMO AGITO


maschi
femmine
maschi
femmine
Torino
Fonzi, 1997
19.2%
16.5%
21.7%
10.0%
Firenze
Fonzi, 1997
29.2%
31.2%
28.5%
15.1%
Roma
Fonzi, 1997
14.4%
19.4%
20.5%
12.8%
Napoli
Fonzi, 1997
29.6%
32.3%
33.1%
30.3%
Cosenza
Fonzi, 1997
10.6%
16.9%
10.9%
8.4%
Palermo
Fonzi, 1997
17.5%
25.7%
19.9%
20.2%
Milano
Stop al Bullismo
32.0%
29.8%
37.9%
30.9%


INCIDENZA DEL BULLISMO NELLA SCUOLA - STATISTICHE NAZIONALI-
 
RECENTI RICERCHE MOSTRANO CHE
CIRCA IL 50% DEI MINORI ITALIANI 
(ETA’ INTORNO AI 14 ANNI)
HA SUBITO EPISODI DI BULLISMO
DI QUESTI, 
 IL 33% SONO VITTIME RICORRENTI



INCIDENZA DEL BULLISMO NELLA SCUOLA  - STATISTICHE NAZIONALI-


BULLISMO NELLE SCUOLE SUPERIORI:
Tipologia di prepotenze subite
- Valori %
Non c'è nessuno che mi rivolge la parola
3,4
Sono stato offeso per il colore della pelle o per la mia provenienza geografica
5,8
Ho subito furti
6,5
Ho subito danni alle mie cose (oggetti, vestiti, ...)
7,2
Ho ricevuto minacce
10,8
Ho subito dei colpi (pugni, spinte, ...)
16,9
Sono state messe in giro storie sul mio conto
23,4
Ho subito delle offese
30,1
Sono stato preso in giro
41,9
 
 
BULLISMO NELLE SCUOLE SUPERIORI:
Luoghi dove avvengono le prepotenze
- Valori %
Bagni
2,8
Spazi del convitto
3,7
Laboratori
4,5
Mensa interna
4,5
Palestra
5,8
Spogliatoi
7,0
In nessun luogo
12,9
Corridoi
14,4
Cortile
16,8
Aula
27,6
 
INDICATORI DEL BULLO E DELLA VITTIMA A SCUOLA
  •      Gli indicatori primari sono correlati in modo più diretto con la presenza del bullismo
  •      Gli indicatori secondari rivelano anche essi l'esistenza del fenomeno, ma non in maniera altrettanto    forte  
            Quando in un ragazzo sono presenti solo gli indicatori secondari, prima di poter trarre conclusioni definitive, è necessaria una indagine più dettagliata e approfondita.

INDICATORI DELLA POSSIBILE VITTIMA A SCUOLA
 Indicatori primari
I ragazzi “vittima”
* Sono ripetutamente presi in giro in modo in modo pesante, ingiuriati (possono anche avere un soprannome denigratorio), rimproverati, denigrati, messi in ridicolo, intimiditi, umiliati, minacciati, comandati, dominati, sottomessi.
* Sono fatti oggetto di derisione in modo non amichevole.
* Sono aggrediti fisicamente, picchiati, spinti, colpiti con pugni e calci, senza che siano in grado di difendersi in maniera adeguata.
* Sono coinvolti in “litigi” o “scontri” nell'ambito dei quali si dimostrano indifesi e di fronte ai quali tendono a ritirarsi spesso piangendo.
* I loro libri, il loro denaro o altre cose di loro appartenenza vengono presi, danneggiati o sparsi in giro.
* Presentano lividi, ferite, tagli, graffi o vestiti stracciati a cui non si può dare una spiegazione naturale.
 
 
INDICATORI DEL POSSIBILE BULLO A SCUOLA
I possibili bulli sono spesso coloro che, in qualità di attori, mettono in essere le prepotenze sopra descritte come indicatori primari della vittima. Ci riferiamo, in particolare, a quelle classificate “a scuola”. Le richiamiamo di seguito, stavolta nella prospettiva del possibile bullo.

Ricordiamo ancora una volta che questi comportamenti possono essere considerati come “indicatori primari”solo se si ripetono con sufficiente frequenza (diversamente dovranno essere considerati come “indicatori secondari”).

Indicatori
Prendono in giro, ripetutamente ed in modo pesante, rimproverano; intimidiscono, minacciano, ingiuriano, beffeggiano, mettono in ridicolo, comandano a bacchetta, spingono, prendono a pugni, prendono a calci, danneggiano le cose che appartengono agli altri studenti, ecc.
I bulli possono mettere in atto tali comportamenti nei confronti di molti studenti, ma tendono comunque a rivolgersi in particolare agli studenti più deboli e indifesi.

Molti bulli, inoltre, restano dietro le quinte ed inducono alcuni dei loro seguaci a fungere da “manodopera”.
 
CARATTERISTICHE GENERALI DELLA POSSIBILE VITTIMA
I ragazzi “vittima”
* Sono fisicamente più deboli del loro coetanei (ciò si riferisce in particolare i maschi).
* Manifestano particolari preoccupazioni riguardo al proprio corpo: hanno paura di essere feriti o di farsi male; sono fisicamente incapaci nelle attività di gioco, sportive e di lotta; hanno uno scarso coordinamento corporeo (si riferisce in particolare ai maschi).
* Sono cauti, sensibili, tranquilli, riservati, passivi, sottomessi e timidi; piangono facilmente.
 * Sono ansiosi, insicuri, infelici ed abbattuti e hanno un' opinione negativa di se stessi (scarsa autostima). In un certo senso, "segnalano” agli altri che essi sono individui senza valore e inadeguati e che non reagirebbero se venissero attaccati e insultati; condizione questa che li rende dei facili bersagli.
 * Hanno difficoltà ad affermare se stessi nel gruppo dei coetanei, fisicamente,   verbalmente  e in altri modi; sono abitualmente non aggressivi; non prendono in giro e non provocano.
* Spesso si rapportano meglio agli adulti  (genitori, insegnanti) che ai coetanei.
il loro rendimento scolastico è vario  nella scuola elementare, ma, in ogni caso, generalmente si abbassa nella scuola media.

CARATTERISTICHE GENERALI DEL POSSIBILE BULLO
Possono essere fisicamente più forti dei loro compagni di classe e, in particolare, delle loro vittime; possono essere della stessa età o più grandi delle loro vittime; si dimostrano fisicamente capaci nelle attività di gioco,  nello sport e nelle lotte (ciò si riferisce in particolare ai maschi).
* Hanno un  forte bisogno di dominare e sottomettere altri studenti, di affermare se stessi con il potere e la minaccia, di imporre il proprio punto di vista, vantando la propria superiorità sugli altri, reale o immaginaria; presentano un temperamento bollente, si inquietano facilmente, sono impulsivi e hanno una bassa tolleranza alla frustrazione; hanno difficoltà nel rispettare le regole e nel tollerare le contrarietà e i ritardi; tentano di acquisire vantaggi anche con l’inganno.
* Sono oppositivi, insolenti e aggressivi verso gli adulti (compresi insegnanti e genitori) e possono, a volte, spaventarli; sono abili nel tirarsi fuori da situazioni difficili.
* Sono considerati duri e rudi, e mostrano scarsa empatia con gli studenti vittimizzati.
* Non sono ansiosi o insicuri e hanno un’opinione piuttosto positiva di sé (hanno, infatti, un livello di autostima nella media o al di sopra della media).
* In età piuttosto precoce (rispetto ai loro coetanei) prendono parte ad altri comportamenti antisociali tra cui il furto, il vandalismo e l'uso di alcol; frequentano “cattive compagnie”.
 * La loro popolarità può essere nella media, al di sotto o al di sopra di essa. Spesso sono comunque sostenuti da almeno un piccolo numero di coetanei. Nella scuola media gli studenti prevaricatori tendono ad essere meno popolari che nella scuola elementare.
* Il loro rendimento scolastico è vario nella scuola elementare, ma, in ogni caso, generalmente si abbassa nella scuola media. A ciò si accompagna il progressivo delinearsi di un atteggiamento negativo verso la scuola.
IL BULLISMO COME FENOMENO  SOCIALE
MODELLO TEORICO di RIFERIMENTO
Ø      Il bullismo non è un problema individuale ma il risultato di una interazione sociale dove gli adulti educatori e gli spettatori svolgono un ruolo essenziale in quanto mantengono o modificano l’interazione stessa
Ø      IL BULLISMO È UN PRODOTTO SOCIALE

La dinamica del bullismo coinvolge:
- bulli attivi
- bulli passivi (assistenti dei bulli)
- vittime
- difensori delle vittime
- spettatori 
Il “bullo” non è motivato al cambiamento:
- non si percepisce come un soggetto bisognoso di aiuto
- i suoi comportamenti problematici gli permettono di ottenere dei vantaggi immediati
- nel suo repertorio comunicativo ha alcune abilità efficaci
   il bullismo è un problema per gli altri, ma non per il bullo 
L’intervento diretto sulla vittima:
- È utile a fini individuali, ma non riduce il fenomeno del “bullismo”
- Il bullo cercherà un’altra vittima nel medesimo contesto
- Il bullismo non è un problema di singoli studenti ma il risultato di una interazione sociale 

IL BULLISMO COME FENOMENO  SOCIALE: I RUOLI
“RUOLO”:
¨      Atteggiamento che si è fissato nella forma di modello generale di condotta, stabile e ripetuto
¨      Questa caratteristica può favorire lo stabilirsi di ruoli sociali definiti e distinti 
I RUOLI NEL BULLISMO
- Bullo: chi prende attivamente l'iniziativa nel fare prepotenze ai compagni.
- Aiutante: chi agisce in modo prepotente ma come "seguace" del bullo
- Sostenitore: chi rinforza il comportamento del bullo, ridendo, incitandolo o semplicemente stando a guardare
- Difensore: chi prende le difese della vittima consolandola o cercando di far cessare le prepotenze  
 - Esterno: chi non fa niente ed evita il coinvolgimento diretto o indiretto in situazione di prepotenza
- Vittima: chi subisce più spesso le prepotenze 

INTERVENTI POSSIBILI di CONTRASTO AL BULLISMO

a)      INTERVENTI di COMUNITÀ prevenzione primaria
b)      INTERVENTI A SCUOLA realizzazione di una politica contro le prepotenze all’interno del singolo istituto
c)      INTERVENTI NEL GRUPPO CLASSE gli studenti sono coinvolti come classe
d)      INTERVENTI INDIVIDUALI interventi rivolti a singoli studenti prepotenti e vittimizzati

I diversi livelli non si escludono a vicenda e risultano complementari (Menesini 2000)
LA PARTECIPAZIONE

Società
Elezioni -  Media
Decisioni politiche
Forum – Assemblee sui diritti
Scuola
Consigli scolastici – Associazioni studenti – Programmi di insegnamento e studio
Comunità
Gruppi informali – gruppi culturali – associazioni di quartiere –
Programmi istituzionali
Famiglia
Competenze familiari

n      promuovere la partecipazione attiva degli studenti con l’obiettivo di contrastare tempestivamente episodi di prepotenza a scuola
n      Promuovere l’esercizio della democrazia nella scuola per prevenire il bullismo e aumentare i fattori di protezione rispetto a situazioni di disagio e malessere scolastico
            Attivare quindi processi di partecipazione e di responsabilizzazione democratica in quanto il bullismo è pratica di dispotismo e la sua cura consiste nell’esercitare la democrazia attraverso la partecipazione attiva degli alunni alla vita della scuola e della comunità

Progetto Stop al Bullismo:
n      gli adulti educatori e gli spettatori svolgono un ruolo essenziale nel mantenere o modificare l’interazione “bullistica”
n      la continuità dell’intervento è un requisito necessario per ottenere cambiamenti stabili e duraturi
n      la prevenzione e il contrasto del bullismo deve attivare interventi educativi portati avanti dall’intero corpo scolastico e non si può esaurire con l’intervento di un esperto esterno

            Stop al Bullismo si focalizza sul ruolo dell’insegnante:
n      gli insegnanti sono un modello di comportamento per gli studenti
n      gli insegnanti possono condurre interventi educativi con continuità
n      il coinvolgimento degli insegnanti permette l’adattamento dell’intervento alle specifiche esigenze del contesto scolastico 

Sulla base di quanto evidenziato, il modello di intervento offerto da Stop al Bullismo fa notare come non si risolva il problema modificando la personalità del bullo (questa appare essere più una necessità dell’insegnante). Allo stesso modo, intervenire direttamente sulla vittima non produce effetti di riduzione del fenomeno efficaci (Iannaccone, 2001), seppur può essere efficace a fini individuali. La vittima, in questo caso, non sarà più presa di mira ma il bullo ne cercherà presto un’altra nello stesso contesto. Come indica Nicola Iannaccone: “L’insegnante ha il compito di attivare e motivare il gruppo-classe ad agire, rendendolo consapevole e responsabile del suo ruolo nel contrastare e ridurre il fenomeno. Ciò avviene se si migliorano le abilità comunicative introducendo una comunicazione assertiva ed ecologica tra gli alunni e tra alunni e insegnanti. Promuovere una cultura scolastica basata sui valori della democrazia, della legalità e della solidarietà richiede, da parte dell’insegnante, la capacità di cogliere ogni occasione per ribadire i vantaggi dello stare assieme positivamente, sviluppando la competenza sociale in ambito scolastico” (Stop al Bullismo)