SPORTELLO DI ASCOLTO PSICOLOGICO GRATUITO

SPORTELLO DI  ASCOLTO PSICOLOGICO GRATUITO
SPORTELLO DI ASCOLTO PSICOLOGICO GRATUITO: Ascolto telefonico e telematico per prevenire/sostenere disagi psicologici Inoltre: prima consultazione in sede gratuita Mail: donatella.ghisu@yahoo.it /telefono: 392 5543431

D.ssa Donatella Ghisu

Psicologa, Counsellor Psicologico e Socio-educativo, Anali Transazionale, Specialista in Psicoterapia Breve Strategica, Psicopedagogista, Specialista in: Disturbi alcol correlati, Chil Abuse, Psicologia forense, Disturbi dell'Apprendimento e del Comportamento, Trainer EMDR. Mi occupo di coppie, adolescenti ed adulti a livello individuale e di gruppo. Sostegno alla genitorialità, agli insegnanti nonché alle aziende pubbliche e private.

giovedì 9 dicembre 2010

Hai bisogno di aiuto?


Non sei il solo ad avere dei problemi, non rassegnarti a stare male in silenzio...

Chi si rivolge a noi sovente non trova la strada da solo per superare un problema o una situazione di dolore o di infelicità...
Lo psicologo e la psicoterapia sono strumenti che aiutano ad interrompere la sofferenza, la confusione, l'incertezza; per riconquistare l'equilibrio interiore, permettere alla vita di tornare a scorrere percorrendo la propria strada. La propria strada non è già definita, non si può copiarla da un altro, bisogna  cercarla: è una strada che cresce passo dopo passo.


 Quando chiedere aiuto ad uno psicologo ?

Trovare il coraggio di prendere il telefono e comporre il numero di uno psicologo è sempre una cosa molto molto difficile. Rimandiamo per giorni, settimane, a volte mesi. Molte volte ci fa una paura terribile pensare di dover affidare le parti più intime di noi ad uno sconosciuto, ci da fastidio sentirci deboli e viviamo come un fallimento il non essere riusciti a risolvere da soli problemi che troppe volte definiamo (o altri definiscono per noi, "banali"). Se siamo malati nel corpo ci sembra ovvio recarci dal dottore, se siamo malati nell'umore, nel cuore, se ci sentiamo tristi, ansiosi, spaventati, arrabbiati, ci sembra normale "farcela da soli". Perchè?
 
Lo psicologo vuole e deve essere un punto di riferimento, proprio come il medico di base lo è per i problemi legati alle malattie del corpo, per capire insieme a te che cosa sta succedendo nella tua vita, perchè stai così male e quali combiamenti portare nel tuo modo di relazionarti agli altri e a te stesso per poter stare meglio. Lo psicologo deve, almeno inzialmente, solo ascoltare e aiutarti a capire. Successivamente, se sarà necessario, ti potrà proporre una terapia, ma sarai sempre tu a scegliere, portando dubbi e perplessità, ma anche desideri e speranza.

martedì 7 dicembre 2010

Dalle emozioni ai sintomi: le malattie psicosomatiche

 
La caratteristica comune dei Disturbi Psicosomatici o Somatoformi è la presenza di sintomi fisici che inducono a pensare ad una condizione medica generale, da cui non sono invece giustificati così come non sono spiegati dagli effetti diretti di una sostanza o di un altro disturbo mentale. 



Stanchezza cronica, disturbi gastro-intestinali, dermatite, cefalea, crampi e molti altri sintomi, non intenzionali e fuori dal controllo della volontà, causano spesso un disagio o una menomazione nel funzionamento sociale, lavorativo, o in altre aree.
I Disturbi Psicosomatici sono quindi malattie fisiche che provocano danni a livello degli organi dell’individuo, ma vengono scatenate da dinamiche psico-emotive che si esprimono attravero il corpo. I sintomi psicosomatici sono dunque il risultato di situazioni di forte stress, disagio, paura, ansia che attivano ed iper-attivano, come in un continuo stato di emergenza il sistema nervoso autonomo, che a sua volta reagisce con risposte vegetative che provocano problemi fisici.

Generalmente i Disturbi Psicosomatici si manifestano a danno:
  • dell’apparato gastrointestinale (gastrite, colite, ulcera),
  • dell’apparato cardiocircolatorio (tachicardia, aritmia, ipertensione),
  • dell’apparato respiratorio (asma, iperventilazione),
  • dell’apparato urogenitale (dolori mestruali, impotenza, eiaculazione precoce, anorgasmia, enuresi),
  • della pelle (psoriasi, acne, dermatite, prurito, orticaria, secchezza cutanea e delle mucose, sudorazione eccessiva),
  • del sistema muscolore (cefalea, crampi, torcicollo, mialgia, artrite).
L’obiettivo dell’intervento di sostegno psicologico rivolto a chi soffre di questi disturbi prevede una comprensione profonda della personalità dell’individuo, con il quale è possibile pianificare un intervento personalizzato ed indebolire e eliminare i processi che sostengono il disturbo: infatti il modo più efficace per cambiare i sintomi è modificare i modelli che li sostengono. In questo senso è importantissima l’ "alleanza terapeutica" la cui essenza è rappresentata dalla motivazione del paziente a vincere la sua malattia, la sua infelicità. 
Nel percorso di sostegno si andrà ad intervenire su due livelli:
  • il primo è quello sintomatico, un intervento circoscritto alla situazione attuale che produce stress e disagio.  Favorendo l’elaborazione del vissuto ed aiutando il paziente a risolvere la situazione conflittuale che sta attraversando, si ottengono risultati importanti nella direzione del superamento della malattia psicosomatica.
  • il secondo è quello della causa o del sistema di concause che generano il disagio e le malattie psicosomatiche. In questa direzione si va a percorrere un cammino più intenso e significativo che corrisponde ad un’analisi del funzionamento del paziente per mettere a fuoco come certi giudizi, certi comportamenti, certe credenze finiscono per costruire un substrato in cui alcune situazioni stressanti mettono radici per svilupparsi poi come malattie psicosomatiche.
Anche in questo contesto, è possibile allargare l’intervento anche alla famiglia o al partner: questo permette di modificare non solo il soggetto, ma l’intero sistema funzionale della famiglia.

Un pericolo per il cuore: la perdita di una persona amata.


Il lutto di una persona molto cara, che si tratti di un compagno di vita o di un figlio, non è solo un peso a tratti insostenibile, ma anche un serio rischio per il cuore. Anche se in generale è noto e intuitivo che una persona provata dal dolore possa subire pesanti ripercussioni a livello di salute, uno studio dell’Università di Sydney propone un bilancio quantitativo dei danni di un lutto. Un campione di 78 persone che avevano subito una perdita entro le due settimane precedenti è stato monitorato a livello cardiaco 24 ore su 24, confrontando poi i dati a disposizione con un campione di individui estranei al lutto.
Le conseguenze più clamorose del lutto recente sono i cambiamenti della frequenza del battito: se tra i fortunati che vivono una vita normale il cuore ha una media di 70,7 battiti al minuto, tra coloro che sono traumatizzati dalla vedovanza o dalla perdita di un figlio invece questa frequenza sale a 75.1 battiti al minuto, il che rappresenta una risposta normale all’ansia e alla tristezza. Ma la condizione osservata con maggior preoccupazione dal team australiano, guidato dal professor Thomas Buckley, è l’irregolarità cardiaca che interessa le persone che stanno vivendo un lutto e che può portare a seri rischi per la salute se il problema viene sottovalutato. In generale tra questi ultimi è stata registrata una media di 2,23 episodi di tachicardia nelle prime settimane successive al lutto, contro gli 1,23 episodi che si presentano normalmente in una vita tranquilla. Consola però pensare che dopo un periodo di circa sei mesi il cuore delle persone colpite da una perdita definitiva torna normale, anche quando le cicatrici non sono certo guarite. Ma se il battito cardiaco torna a uniformarsi ai valori normali, la tristezza resta ancora per molto tempo. Forse per sempre.
L’équipe ha preso in esame infatti anche il tasso di depressione dei volontari, attribuendo un punteggio a ciascuno in termini di tristezza. Il risultato è che tra le persone colpite da lutto il livello di depressione è di 26,3, mentre tra i volontari privilegiati (non a lutto) il tasso di depressione considerato nella norma è stato fissato a 6,1. In questo caso dopo 6 mesi si ha un calo significativo della disperazione e una normalizzazione, ma la depressione rimane 3 volte più alta nei vedovi e nei genitori che hanno perso un figlio rispetto a chi non conosce questo dolore.
Come ha precisato Richard Stein, della New York University School of Medicine, lo studio rappresenta un primo e significativo passo in avanti nel cercare di comprendere e misurare le conseguenze del cordoglio, anche per poter monitorare e aiutare meglio coloro che sono colpiti da un trauma del genere. Quello che emerge è la maggior reattività del fisico rispetto alla mente. Il cuore accelera e rischia molto, specie nelle persone che hanno una predisposizione verso le patologie cardiache, ma dopo appena sei mesi torna esattamente come prima. La psiche invece farà molta più fatica a tornare come prima. E non sempre ci riuscirà: spesso non da sola.

martedì 30 novembre 2010

Trailer - Il primo giorno d'inverno - The first day of winter - Le premi...

Il Binge Eating Disorder (in italiano sindrome da alimentazione incontrollata) è unIl Binge Eating Disorder disturbo del comportamento alimentare che solo di recente è stato descritto in modo chiaro ed esaustivo. Cos'è il Binge Eating Disorder – Si tratta di una patologia che spinge il soggetto a compiere grandi abbuffate, in modo veloce e vorace, finché non è completamente sazio. Perché si possa parlare di Binge Eating Disorder occorre che coesistano un certo numero di comportamenti:
  • le abbuffate devono avvenire almeno due volte alla settimana;
  • devono verificarsi per un periodo di almeno sei mesi;
  • in genere sono indipendenti dallo stimolo della fame;
  • quasi sempre avvengono in solitudine;
  • il soggetto non trova gratificazione, ma prova un senso di colpa;
  • non esistono meccanismi di compensazione (come nella bulimia: vomito, lassativi, esagerato esercizio fisico).

A causa dell'ultimo punto il soggetto è in netto sovrappeso. Infatti il Binge Eating Disorder sembra colpire il 2-3% della popolazione, ma il 30% degli obesi. In genere non colpisce adolescenti, ma soggetti fra i 30 e i 40 anni. Le cause – Ci sono solo ipotesi. La più gettonata è che il Binge Eating Disorder sia legato a uno stato depressivo del soggetto anche se non è chiaro se sia la depressione a innescare il Binge Eating Disorder o il contrario. Di certo un umore negativo (rabbia, frustrazione, noia ecc.) facilita la patologia. Capire le cause è molto importante perché a seconda della causa si può scegliere il terapeuta adatto. Dal punto di vista psicologico il soggetto affetto da Binge Eating Disorder avrebbe una scarsa autostima di sé e l'abbuffata non sarebbe che il modo per riempire il proprio vuoto interiore. Sicuramente sono cause plausibili, ma non del tutto provate. A mio avviso le cause del Binge Eating Disorder possono essere meglio capite se si esaminano gli attuali risultati nella cura della malattia. Infatti, come è spiegato più avanti, una delle strade più promettenti è quella dell'impiego degli inibitori della ricaptazione della serotonina; storditi dagli effetti metabolici del cibo (frutto dell'azione di insulina e glucagone), ci si è ultimamente dimenticati degli aspetti psichici. L'assunzione di cibi appetibili (in particolare carboidrati: classico l'esempio della Nutella) favorisce la produzione di serotonina: il cibo diventa cioè un antidepressivo naturale. Logico pensare che in alcuni soggetti possa scattare un meccanismo di compensazione: la serotonina prodotta dà benessere e ciò ci spinge ad assumere altro cibo, finché il meccanismo si blocca e il soggetto, realizzando la sua situazione, ricade nel senso di colpa. La NES (Night-eating syndrome) – Tale tesi  può essere ulteriormente avvalorata dalla sindrome dei mangiatori notturni, studiata per la prima volta nel 1955 da Albert Stunkard: alcuni soggetti presentano le stesse caratteristiche del Binge Eating Disorder, ma le loro abbuffate avvengono solo di notte. Dopo circa 40 anni di studi, Stunkard è giunto alla conclusione (1999) che in tali soggetti esiste un'inversione del ritmo ormonale giorno-notte (melatonina che influisce sul sonno e leptina che influisce sull'appetito). Chi soffre di NES non sarebbe altro che un soggetto affetto da Binge Eating Disorder con ritmo giorno-notte invertito. Anche per chi soffre di NES si sono ottenuti risultati con le stesse cure impiegate nel Binge Eating Disorder.
I casi "mascherati" – In realtà probabilmente il Binge Eating Disorder non è altro che una condizione permanente di una situazione che può riguardare tutti. L'eccessiva gratificazione del cibo (a causa dei processi ormonali antidepressivi che si innescano) per contrastare una situazione potenzialmente depressiva è sicuramente non patologica e comune a molte persone. Addirittura alcuni soggetti non riescono a evitare il sovrappeso solo perché incorrono periodicamente nel fenomeno dell'abbuffata antidepressiva. Ovvio che se hanno una coscienza salutista riescono a limitare le occorrenze e assumono un comportamento non patologico.  
Le cure farmacologiche – Le cure sono di due tipi, psicologiche e farmacologiche. Queste ultime si basano su antidepressivi (i serotoninergici, cioè gli inibitori della ricaptazione della serotonina come il citalopram o la paroxetina). Funzionano bene, ma hanno il difetto che dopo pochi mesi i risultati si attenuano.
Le cure psicologiche – Diventano pertanto indispensabili le cure psicologiche, basate sul controllo dell'assunzione di cibo con una variazione delle abitudini alimentari fino ad arrivare a una vera e propria coscienza alimentare. Raggiunto quest'ultimo stadio il soggetto è in grado di limitare le abbuffate, diventando un caso "mascherato". Ovviamente, se nel frattempo la personalità o il vissuto evolvono positivamente, verranno anche rimosse tutte le cause all'origine della depressione, rendendo inutile il meccanismo di compenso che è alla base del Binge Eating Disorder.

dott.ssa Donatella Ghisu
Psicologa, Psicopedagogista
Counsellor psicologico e socio-educativo
Psicoterapia breve strategica
Psicologa forense