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D.ssa Donatella Ghisu

Psicologa, Counsellor Psicologico e Socio-educativo, Anali Transazionale, Specialista in Psicoterapia Breve Strategica, Psicopedagogista, Specialista in: Disturbi alcol correlati, Chil Abuse, Psicologia forense, Disturbi dell'Apprendimento e del Comportamento, Trainer EMDR. Mi occupo di coppie, adolescenti ed adulti a livello individuale e di gruppo. Sostegno alla genitorialità, agli insegnanti nonché alle aziende pubbliche e private.

lunedì 29 novembre 2010

Aspetti e benefici psicologici dell’allattamento al seno

La donna che,  nella società occidentale, vuole allattare al seno, si trova oggi sottoposta a molte pressioni e conflitti di carattere psicologico. Vive una contraddizione fra il ruolo di donna e quello di mamma, che nel proprio ambiente sono visti come competitivi fra loro; si trova a muoversi "controcorrente", seguendo con il bambino un approccio che si discosta notevolmente dai modelli culturali proposti; la capacità di autoregolazione del neonato e la competenza materna nel comprendere e rispondere in modo appropriato ai suoi bisogni, vengono continuamente messe in dubbio. Si insinua poi paradossalmente che lo stress e l’insicurezza, generati da questo stato di cose, siano invece una conseguenza negativa dell’allattamento al seno. 
Mancanza di esperienza diretta.  
Le madri di oggi sono state bambine nel momento di massimo "boom" del latte in polvere; sono cresciute giuocando con bambole accessoriate di biberon, come se questa fosse la cosa più naturale del mondo. 
L’allattamento è divenuto sempre più raro in pubblico (anzi, spesso condannato e vietato) e nella propria famiglia d’origine. Questo priva la donna di un esempio diretto a cui riferirsi quando ha un neonato fra le braccia (anzi, il primo modello che la madre incontra è ciò che ha visto fare nel reparto di maternità). I semplici gesti di portare, consolare, allattare un bambino sono affidati al suo solo istinto, che però è confuso dai messaggi contrastanti e contraddittori che percepisce ogni giorno intorno a sé. Le informazioni trovate sui libri e provenienti dai Mass Media, spesso condizionati da interessi commerciali in contrasto con quelli di madri e bambini, hanno sostituito il background sociale e culturale. 

Gli esperti dell’allattamento. 
Una certa cultura medica ed anche psicoanalitica hanno finito per dipingere la maternità come una cosa complessa, difficile, rispetto alla quale è facile commettere errori e provocare danni irreparabili al proprio figlio. La competenza materna viene svalutata e la donna facilmente viene colpevolizzata per le scelte che effettua quando segue la sua intuizione. Ella sente quindi la necessità di rivolgersi ad "esperti" più o meno qualificati, che la sollevino da una responsabilità così grave indicandole il modo "giusto" di agire in ogni circostanza. Si dimentica così che esperto è colui che esperisce, e cioè in primo luogo i protagonisti stessi dell’esperienza: la madre e il bambino.

L’ansia degli altri. 
La donna che ha appena partorito spesso è spessodepressa e ansiosa e questo è attribuito ad un effetto della tempesta ormonale che sta subendo. 
C'è tuttavia da chiederti quanta di questa ansia sia, in effetti, determinata da fattori socioculturali (la sensazione di non essere in grado di controllare più la propria vita, le squalifiche ricevute dall’ambiente alla propria autostima...). E quanta di quest’ansia sia in realtà trasmessa alla madre dalle persone che la circondano... 
Una neo-mamma immersa nell'esclusivo rapporto col neonato provoca negli altri forti reazioni emoztive ed in assenza di una cultura che definisca la donna come competente ad occuparsi del proprio piccolo, la conseguenza può essere un comportamento ansioso del prossimo (marito, parenti, pediatra...) e forti interferenze nel rapporto diadico madre-bambino. Quando la mamma allatta al seno tutto ciò si verifica in misura ancora maggiore e la donna deve imparare a "tapparsi le orecchie" per non sentire i continui commenti, spesso pessimistici o allarmistici e comunque contraddittori, di tutti coloro che pensano di sapere più di lei cosa è meglio per lei e per il suo piccolo.

Pressioni sociali

Lavoro fuori casa. Le famiglie di oggi spesso hanno bisogno di due redditi per poter sopravvivere,e questo in particolar modo se hanno bambini. Le leggi italiane sono fra le più favorevoli all’allattamento, consentendo un periodo retribuito dopo il parto se si resta a casa con il bambino e in seguito dei permessi di allattamento che consentono di assentarsi dal luogo di lavoro. Tuttavia queste facilitazioni di recente sono state ridotte sia sul piano dell’orario che su quello economico, costringendo molte donne a non usufruirne per bisogno di soldi o per non perdere il lavoro. Inoltre continua a mancare, per alcune categorie di lavoratrici autonome, un certo tipo di sostegno economico o almeno fiscale, che permetta loro di sospendere o perlomeno ridurre il lavoro durante il periodo dell’allattamento. Tutto ciò può generare l’opinione che l’allattamento al seno sia un lusso che poche si possono permettere; gli alti costi, a fronte del reddito di un lavoro fuori casa, dell’allattamento artificiale (latte in polvere, malattie più frequenti, baby sitters) rientrano in un sistema di vita universalmente diffuso, e quindi non vengono notati facilmente.
Aspettative sociali. Ci si aspetta che la donna che è diventata madre non modifichi affatto il suo stile di vita, ma riprenda al più presto il ritmo e l’organizzazione delle giornate precedenti alla maternità. Spesso il bambino viene vissuto o definito come un peso, un qualcosa che lega e che estrania dal contesto sociale, richiedendo sacrifici alla madre (ad es. diete particolari) e a tutta la famiglia (condizionando tutti agli orari delle poppate e dei sonnellini del bambino, impedendo di frequentare determinati luoghi perché "inadatti" al neonato, ecc.). Il biberon, potendo essere dato al neonato da chiunque, viene poi proposto come la soluzione per "liberarsi" di questo scomodo impedimento.
Parte del problema nasce dall’equivoco che il neonato abbia bisogno di seguire una vita regolare e monotona, cambiando poco ambiente e mangiando e dormendo ad ore prefissate. Questa idea non ha nessun fondamento biologico: i neonati cambiano continuamente i loro ritmi, e si adattano con facilità ai tempi ed agli spostamenti degli adulti, purché possano stare in contatto costante con la mamma ed allattati quando ne manifestano il bisogno.
Una società a misura di adulto. L’individuo per il quale è pensata e strutturata la nostra società è adulto, giovane, alto, sano e possibilmente maschio. L’organizzazione, gli spazi fisici e gli orari dei servizi, dei trasporti, degli uffici pubblici, delle aree commerciali, dei luoghi di svago sono concepiti e realizzati solo per adulti senza bambini al seguito, o al limite solo per bambini forniti di biberon. Trovare un posto dove cambiare un pannolino, ma ancora di più dove sedersi ed allattare quando il bambino piange, spesso è molto difficile. Questo scoraggia le donne dal muoversi insieme al bambino, spingendole o a svezzarlo per poterlo lasciare a qualcun altro, o a chiudersi in casa con lui.

Modelli culturali.

Questo è l’aspetto che più di altri aiuta capire quale sia effettivamente  il limite di base che comprende tutti gli altri, anzi, che è fonte di tutti gli altri limiti: Il limite vero è la società stessa intrisa com'è nella cultura del biberon e della separazione.
Spesso si sente dire che bastano tre, sei, otto mesi di allattamento, senza precisazioni ulteriori; o che il bambino "è grande abbastanza": ma grande per cosa? Per non aver più bisogno del latte materno dal punto vista nutrizionale? Da quello immunologico? O forse per non aver più bisogno del contatto stretto e frequente con la sua mamma? 
Molti articoli sono stati dedicati a questo argomento dai quali risulta abbondantemente chiaro che l'allattamento protratto ben oltre l'anno non solo è la cosa migliore dal punto di vista della salute fisica ed emotiva del bambino, ma  ha anche solide basi evoluzionistiche. É altresì evidente che la donna che allatta ne trae benefici notevoli. Ergo: l'allattamento è una cosa giusta e naturale
Tuttavia, paradossalmente,  non è sempre facile a casua dei troppi ostacoli presenti proprio nella conduzione quotidiana dell'allattamento.
 
Considerazioni psicologiche

Ogni madre che ha allattato un bambino oltre i dodici mesi di vita conosce la tenerezza e l’intimità generati dall’allattamento di un piccolo essere, grande a sufficienza per parlarne. Non abbiamo bisogno di leggere su riviste mediche che l’allattamento materno continuato dà soddisfazione sia alla madre che al bambino. Ma è mai stato pubblicato qualche documento riguardo a questi benefici?
Un articolo scritto dalla psichiatra L.R. Waletzky consiglia lo svezzamento naturale. L'autrice considera traumatico per il bambino lo svezzamento forzato e dice che la maggior parte dei consigli che riguardano lo svezzamento dati dai pediatri “si basa su considerazioni e pregiudizi personali e non su evidenze cliniche”. Aggiunge: “Togliere a un bambino in modo brusco e prematuro l’esperienza emotiva più soddisfacente che egli abbia mai conosciuto potrebbe (...) portare a una significativa e immediata angoscia che si può protrarre nel tempo (...). Un simile approccio considera l’allattamento solo come “fonte di latte” e non riesce a concepire il suo significato come mezzo di conforto, piacere e comunicazione per la madre e per il bambino”.

Le madri che allattano al seno vedono i loro bambini in una luce più positiva 

È scarsa la documentazione sulle ricerche riguardo agli aspetti psicologici dell’allattamento materno. Uno studio, che si occupa specificamente di bambini allattati per più di un anno, mostra un legame significativo fra la durata dell’allattamento e l’inserimento sociale dei bambini fra i sei e gli otto anni. Questa ricerca si è basata su valutazioni fatte dalle madri di questi bambini e dai loro insegnanti Nelle parole dei ricercatori: “Ci sono tendenze statisticamente significative che dimostrano che i disturbi del comportamento diminuiscono con l’aumento della durata dell’allattamento materno”. Molti studiosi sono stati cauti nell’interpretare questi risultati, dicendo che non hanno verificato scientificamente le differenze dell'interazione madre-bambino nell’allattamento materno e in quello artificiale (ciò potrebbe chiarire le differenze osservate nell’inserimento sociale dei bambini più grandi). Ma non ha molta importanza se il miglior inserimento di un bambino è dovuto all’allattamento in sé, o ai comportamenti materni che sono tipici di donne aperte all’idea di allattare i loro bambini per un anno o più. Quello che conta è il risultato: più i bambini sono stati allattati, migliore è stato il loro inserimento sociale. La relazione tra durata dell’allattamento materno e adattamento sociale è stata più forte e coerente quando il comportamento dei bambini è stato valutato dalle madri piuttosto che dagli insegnanti (sebbene per entrambe l’associazione di questi due fattori sia stata significativa), il che suggerisce che le madri che allattano per periodi più lunghi sono portate a vedere i loro bambini in una luce più positiva rispetto alle madri che non lo fanno.

Sono convinta che molte donne sarebbero d’accordo nell’affermare che l’allattamento  aiuta a rapportarci nei confronti dei propri figli in una maniera più positiva. Ci aiuta a sentirci più vicine e affettuose, il che è particolarmente utile per superare le pretese irrazionali e le crisi emotive dei bambini fra gli uno e i tre anni. Anche quando mi sento molto tesa, quando mi siedo per allattare il mio bambino più piccolo succede che alla fine della poppata quasi sempre ci alziamo tutti e due rilassati e allegri.

Gli atteggiamenti culturali influiscono anche sui medici

Quando i medici danno consigli sullo svezzamento, si basano sui risultati della ricerca medica? A quanto pare no, poiché non c’è nessuna indicazione che attesti che l’allattamento materno oltre il primo anno di vita abbia qualche effetto negativo; d’altra parte ci sono ampie prove dei suoi effetti benefici. Allora, su che cosa si basa il consiglio spesso sentito che risuona così: “Svezzate il bambino a un anno”?
Probabilmente, tanti fattori vi concorrono. Uno fra questi può essere rappresentato semplicemente dalle aspettative culturali o, come dice la Waletzky, “dal pregiudizio personale”. Come tutti, anche i medici sono influenzati dalle tendenze culturali. E la tendenza dei genitori nell’allevamento dei figli al giorno d’oggi è quella di avere aspettative di sviluppo precoce e indipendenza anticipata. L’enfasi per lo svezzamento anticipato va di pari passo con la tendenza generale a incoraggiare l’indipendenza precoce. Ironicamente, secondo la Waletzky e molti altri, un precoce svezzamento forzato può ostacolare proprio lo sviluppo emotivo del bambino, e aumentarne la dipendenza.
Un altro fattore che influisce sugli atteggiamenti assunti verso lo svezzamento può essere la vita frenetica della nostra società. Allattare senza restrizioni non sembra compatibile con lo stile di vita moderno. Molti articoli sullo svezzamento esprimono implicitamente l’idea che le madri vogliano smettere di allattare appena le capacità digestive dei loro figli lo rendano possibile.
Può anche essere che i medici, come tutti, siano influenzati da pregiudizi culturali che considerano il seno come un richiamo sessuale. Un bambino abbastanza grande per parlare può essere considerato troppo grande per trovare conforto fisico al seno della mamma.
Il nocciolo della questione può essere semplicemente spiegato dal fatto che nella nostra cultura non è comune allattare per più di un anno, quindi la maggior parte delle persone suppone che la madre di un bambino che abbia compiuto l’anno desideri svezzarlo.

Concetti erronei

Alcuni medici possono essere del parere che l’allattamento al seno possa interferire con il desiderio di un bambino di mangiare altri cibi. Eppure non c’è niente che dimostri che i bambini che ancora poppano tendano maggiormente a rifiutare cibi in aggiunta al latte materno, rispetto ai bambini già svezzati. Infatti, nei paesi del terzo mondo, dove l’appetito di un bambino malnutrito fra l’anno e i tre anni può essere d’importanza critica, la maggior parte dei ricercatori consiglia di proseguire con l’allattamento materno anche nel caso di bambini gravemente malnutriti, suggerendo di aiutare il bambino malnutrito non con lo svezzamento, ma arricchendo la dieta della madre, per migliorare la qualità nutritiva del suo latte e, offrendo al bambino cibi più variati e gustosi per migliorare il suo appetito.






Molti medici son convinti che le madri considerino l’allattamento al seno un fastidio ipiuttosto che un piacere, perciò è molto importante dire al medico che si desidera continuare ad allattare. Se la madre non esprime chiaramente un’opinione diversa, il medico potrebbe pensare che le uniche cose che lei tiene in considerazione siano la nutrizione del bambino e la propria comodità.
Esprimere il proprio punto di vista con sicurezza è probabilmente il modo migliore per influenzare positivamente le idee del medico. Per esempio, si potrebbe dire “Gaia ed io stiamo veramente godendo il nostro rapporto di allattamento. Sembra che le faccia bene: è una bambina felice e cresce così bene”. Paragoniamo questo con un approccio meno sicuro: “Non sono sicura se sia giunto il momento per svezzare Gaia. L’allattamento al seno non sembra che le faccia male, veramente. Pensa che possa continuare?”. 
Quale dei due modi solleciterà più probabilmente una risposta positiva sul proseguire l’allattamento? A voi la risposta...

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